97.
Il mio primo approccio
all’immersione tecnica... ovvero la scoperta del Trimix
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Faccio
immersioni con l’autorespiratore ad aria dal lontano 1995 e
oramai posso dire di essere diventato quello che viene definito
un "subacqueo esperto". In questi anni mi sono immerso ovunque
c’è acqua: mari, laghi, fiumi... piscine, ma la mia voglia di
scoprire e di imparare non si è ancora placata.
Nel
2007, assieme a mia moglie Angela (che ormai da parecchio
tempo è il mio compagno abituale d’immersione, cioè il mio "buddy", come si
suole dire) ho conseguito il brevetto "Decompression Diver"
rilasciato
dall’SSI, che è l’agenzia didattica alla quale sono sempre stato
legato fin dall’inizio del mio percorso subacqueo. Grazie a
questo corso ho appreso le tecniche per fare immersioni profonde
respirando aria e utilizzando una miscela arricchita di ossigeno
per la decompressione. Da allora quasi tutte le mie immersioni
sono state con decompressione e, dopo aver superato la fatidica
soglia dei 40 metri (il limite delle cosiddette immersioni
"ricreative"), ho potuto ammirare quello che si nasconde a 50 o
60 metri di profondità. Questo mi ha consentito di coltivare la
mia grande passione per i relitti delle navi sommerse, che,
purtroppo, si trovano spesso oltre la profondità delle
immersioni ricreative. Quasi senza accorgermene avevo sconfinato
nel campo delle cosiddette immersioni "tecniche"... |
Però,
con il passare del tempo e l’aumentare della mia esperienza, mi
sono reso conto che il modo in cui affrontavo le mie immersioni non era molto sicuro e
che avrei avuto bisogno di ben altra esperienza e di
addestramento specifico per continuare il mio percorso subacqueo
in sicurezza.
Già
da alcuni anni avevo sentito parlare del sistema Hogarthiano o
DIR (Doing It Right), nato negli Stati Uniti all’inizio
degli anni '80 nell’ambito della ristretta comunità di subacquei
dediti alle immersioni nel complicato sistema di grotte della
Florida. L’eco di questo sistema d’immersione (quasi una
filosofia...) che propugnava i benefici e i vantaggi di una
configurazione dell’attrezzatura minimalista e standardizzata
era arrivato anche in Italia da diversi anni e aveva catturato
l’attenzione dei molti subacquei avanzati attenti a cogliere
tutte le novità provenienti dal resto del mondo. Ben presto in
tutto il mondo molti subacquei cominciarono ad adottare la
configurazione e le tecniche sperimentate e utilizzate dai team
di speleosub che per primi esplorarono le grotte nel nord della
Florida. Questa configurazione pulita e idrodinamica è
caratterizzata dal concetto di minimalismo e originariamente fu
denominata "Hogarthiana", dal nome di William Hogarth Main che
la concepì. In questo tipo di configurazione la regola
fondamentale è utilizzare e portare con sé in acqua soltanto ciò
che serve, evitando accessori inutili ed eccessivamente
ridondanti. Per me, che sino allora ero solito portare in acqua
tutto quello che "forse" avrebbe potuto servirmi, si trattava di
una vera rivoluzione. La questione cominciò ad interessarmi e,
man mano che leggendo e parlando con altri subacquei
approfondivo le mie conoscenze tecniche intervenivo sulla mia
attrezzatura con modifiche volte a renderla più pratica e
funzionale.
Ma
il concetto d’immersione adottato dai subacquei DIR, ovviamente,
va ben oltre la semplice configurazione minimalista
dell’attrezzatura, perché si tratta di un vero e proprio "stile"
d’immersione (quasi una specie di filosofia), che garantisce la
cura di ogni aspetto dell’immersione, a partire dalla
fondamentale pianificazione fatta a terra, ponendo una
particolare attenzione all’aspetto della sicurezza in acqua.
L’immersione
di questo tipo richiede un’organizzazione precisa ed è basata
sul concetto di "team", ossia di squadra di subacquei che
utilizza un vero e proprio "sistema d’immersione" unificato, ideato per
affrontare e risolvere tutti gli eventuali problemi che possono
capitare sott’acqua nel modo più rapido, efficace ed efficiente
possibile.
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Attrezzatura tecnica con sistema DIR
(foto di Simone Nicolini) |
Un parco di bibombola in
configurazione DIR
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Una
caratteristica fondamentale del "sistema DIR" è che tutti gli elementi che lo compongono
non possono essere modificati o tralasciati, perché altrimenti
risulterebbe compromesso il sistema nel suo complesso, dal
momento che ogni sua parte è stata attentamente concepita e sviluppata per
essere complementare al resto del sistema. Dopo aver riflettuto
su questo concetto, mi resi conto che si trattava di un "sistema" veramente interessante e affascinante. Se il risultato
finale era una maggiore sicurezza in acqua, sentivo l’assoluto
bisogno di approfondire questo sistema!
Inizialmente
cominciai con l’adottare alcuni aspetti della configurazione Hogarthiana, ma dopo alcuni anni d’immersioni "tecniche" fatte
senza un preciso indirizzo, mi resi conto che era arrivato il
momento di fare un salto di qualità e di... ricominciare tutto
da capo.
Ormai
ero arrivato alla mezza età e mi era venuta la voglia di mettere in
discussione il mio modo di andare in acqua, di misurami con me
stesso e di incominciare tutto da capo abbandonando schemi e
modelli comportamentali che avevo adottato da tanto tempo. Dopo
quindici anni di attività subacquea e centinaia d’immersioni con
decompressione mi sono reso conto che avevo bisogno di nuovi
stimoli e di nuovi obiettivi, ma soprattutto di un "metodo".
Dovevo assolutamente migliorare il mio modo di andare in acqua.
Volevo acquisire una maggiore consapevolezza e sicurezza e fare
nuove esperienze, riconsiderando criticamente tutto quello che
avevo fatto fino allora. Era arrivato il momento di approcciare
seriamente l’immersione "tecnica"!
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Così
nel 2011 io e la mia buddy Angela abbiamo deciso di metterci in
discussione e insieme abbiamo deciso di intraprendere un vero
percorso "tecnico", ricominciando in pratica tutto da zero.
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Anche
se avevamo sposato ormai da diverso tempo il sistema "Hogarthiano",
avevamo capito da soli che il concetto d’immersione "tecnica" va
ben oltre la semplice configurazione delle attrezzature, ma è un
vero e proprio stile d’immersione che garantisce la cura di ogni
aspetto dell’immersione stessa. Perciò, oltre a perfezionare la
nostra attrezzatura, dovevamo cambiare la nostra impostazione e
il nostro modo di andare in acqua con l’obiettivo di una
maggiore sicurezza.
Il "sistema DIR" sostiene che i subacquei
configurati in modo uguale e che s’immergono con attrezzature e
procedure similari sono più efficienti ed efficaci
nell’affrontare situazioni d’emergenza o nel riconoscere
problemi nell’attrezzatura del compagno e che ciò è fondamentale
per aumentare la sicurezza in acqua. In pratica, la "filosofia"
DIR parte dal presupposto che subacquei che adottino la stessa
configurazione, standardizzata, pulita e ben concepita, sono più
sicuri in acqua e sono in grado di darsi assistenza reciproca
molto più facilmente.
Ritengo questo principio
assolutamente condivisibile.
Da subacquei esperti
e avanzati io e la mia buddy avevamo ormai ben chiaro che una
reazione confusa o ritardata di fronte ad una situazione
d’emergenza sott’acqua costituisce un rischio molto pericoloso.
Adesso avevamo solo la necessità di dare un’impostazione
didattica alla nostra convinzione. Inoltre, da diverso tempo
avevamo sentito parlare dei vantaggi delle immersioni fatte
respirando Trimix anziché aria. Perciò la scelta di frequentare
un corso tecnico per noi è stata quasi obbligata.
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Sulla
destra il mio "bibo D12" (12 + 12 litri) assemblato in
configurazione DIR.
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L’immersione
tecnica, in effetti, comporta importanti cambiamenti nel modo di
andare in acqua. Per esempio, qualsiasi problema si dovesse presentare
durante l’immersione deve essere risolto sul fondo e non in
superficie, perché ci sono di mezzo le soste di decompressione
obbligatorie e saltarle potrebbe portare a gravi conseguenze.
Anche i tempi di fondo e la scorta di gas necessaria devono
essere valutati attentamente durante la programmazione, perché
in questo tipo d’immersioni non è certo possibile decidere di
risalire semplicemente quando si raggiungono i fatidici 50 bar.
Ecco il motivo per il quale i corsi che insegnano l’immersione tecnica devono
dare molto e pretendere molto dai loro allievi. Oltre al
perfezionamento delle proprie attitudini di subacqueo durante il
corso base in cui s’insegnano i "fondamentali" dell’immersione
tecnica (vale a dire la corretta respirazione, il pinneggiamento
efficiente in vari modi, la capacità di mantenere un assetto
ottimale, le corrette procedure di condivisione dell’aria,
ecc.), è essenziale ampliare anche le conoscenze teoriche,
toccando argomenti fondamentali come la narcosi, la teoria dei
gas, i modelli e i metodi decompressivi. Inoltre, deve essere
molto approfondito l’aspetto relativo alla sicurezza
dell’immersione, cioè tutto quello che riguarda la preparazione
dell’immersione e la prevenzione degli incidenti. Preparazione
significa avere piena coscienza e conoscenza di ciò che avviene
o potrebbe avvenire sott’acqua, in modo da essere preparati a
intervenire con rapidità ed efficacia nel caso in cui si
verifichi qualunque imprevisto, dai guasti alla rubinetteria
alla perdita della maschera, da un crampo alla perdita della
stazione decompressiva. La prevenzione invece, oltre che una
valutazione attenta delle proprie condizioni psicofisiche e
della situazione ambientale, riguarda soprattutto
l’equipaggiamento, che deve essere adeguato al tipo d’immersione
che si vuole fare ed essere disposto in maniera tale da
consentire immediati interventi di emergenza da parte propria o
del compagno. |
In assetto orizzontale durante il
corso TEK 1 |
OK Ci siamo! |
Esercizio di valve drill: chiusura
del manifold |
Avendo
ben chiari questi concetti, io e la mia compagna abbiamo scelto
l’istruttore e non la didattica e avendo piena fiducia nel
nostro amico Simone Nicolini, dell’Argentario Divers di Porto
Ercole - subacqueo espertissimo e meticoloso, oltre che
istruttore tecnico - la scelta è caduta sull’UTR Tek, una delle
didattiche che adotta il sistema DIR.
Nel
corso del 2011
abbiamo prima frequentato l'indispensabile corso
"Correctly Diving", durante
il quale Simone Nicolini ci ha insegnato i
"fondamentali" dell’immersione
tecnica e successivamente abbiamo frequentato il corso
"Trimix Tek 1". Questi due corsi sono stati molto intensi e
interessanti e hanno assorbito tutte le nostre risorse fisiche e
psichiche. Si è trattato di una vera e propria full immersion
durante la quale Simone non ha deluso le nostre aspettative,
riservandoci un’attenzione particolare nel cercare di correggere
i nostri inevitabili errori. A questo proposito è stata
utilissima la ripresa di tutte le nostre immersioni di corso con
una telecamera subacquea, che ci ha permesso di rivedere in aula
i nostri esercizi e di evidenziare i difetti da correggere e gli
errori commessi. Durante il corso abbiamo impiegato un Trimix
"leggero", contenente solo il 35% di elio
(Trimix normossico 21/35), ma abbiamo scoperto
il piacere di poter visitare i fondali tra i 50 e i 60 metri con
la lucidità corrispondente a quella che si ha respirando aria a
quote ricreative. |
Marcello e Angela: esercizi di
risalita in assetto
Angela prova
l'assetto con il bibombola, due bombole di fase sul fianco e una
bombola stage decompressiva posteriore ...
Marcello:
immersione tecnica a Giannutri - relitto del Nasim - prof. 60
metri
|
IL TRIMIX
(Ossigeno - Azoto - Elio)
Ed
ora ecco un po’ di spiegazioni su questa
"miscela miracolosa”
che abbatte notevolmente l’effetto narcotico, che io ho scoperto
da poco.
Il Trimix è una
miscela gassosa ternaria composta di
ossigeno, elio e azoto, che viene impiegata per le
immersioni più impegnative (generalmente quelle oltre i 40
metri), oppure quando si oltrepassano i normali tempi di fondo
di NDL (i tempi di non decompressione indicati dalle tabelle).
Ora, dato che l’elio è un gas più leggero, entra in soluzione
nei tessuti del corpo umano più velocemente dell’azoto, ma allo
stesso tempo fuoriesce dai tessuti con altrettanta velocità
permettendo al subacqueo di desaturarsi più rapidamente.
Lo scopo essenziale delle
miscele Trimix quindi, è di poter svolgere immersioni ad alte
profondità oppure anche a profondità minori per un lungo tempo
di fondo, senza incorrere in problemi di iperossia o di
tossicità dell’ossigeno né tantomeno di narcosi da azoto.
Le percentuali dei tre gas
presenti nella miscela Trimix sono variabili in funzione di vari
parametri, quali la durata programmata dell’immersione, la
profondità massima prevista, la pressione parziale dell’ossigeno
e dell’azoto desiderata, il
livello di narcosi d’azoto
equivalente e questi parametri sono decisi dal subacqueo stesso
in fase di pianificazione dell’immersione.
Il fatto di poter valutare
quale fosse la
"best mix"
per la mia immersione e di poter decidere che miscela impiegare
mi dava una grande consapevolezza ma anche una grande
responsabilità. Finalmente ero il
"padrone"
delle mie immersioni. D’ora in poi sarei stato io ad andare
presso il centro di ricarica delle bombole e dire quale tipo di
back gas e di deco gas avrei voluto utilizzare a secondo della
mia pianificazione dell’immersione fatta a tavolino... Una vera
rivoluzione nel mio modo di andare in acqua!
Ma non basta. La
quantità di ossigeno presente all’interno della miscela Trimix
secondo la didattica
deve rispettare una pressione parziale dell’ossigeno corretta e
comunque non superiore a 1.2 - 1.3 bar. Questo parametro è
fondamentale, giacché sappiamo che l’ossigeno puro può essere
utilizzato alla massima profondità di 6 metri corrispondenti a
una pressione parziale di 1.6 bar, oltre la quale diventa
tossico e provoca quella che viene chiamata “TCNS” (Toxicity Central
Nevrous System). Rispettando questo parametro, con un
calcolo molto semplice si può dire che oltre i 66 metri di
profondità se si respira aria (che contiene il 21% di ossigeno)
si supera la pressione parziale limite di 1.6 bar; mentre
respirando una miscela Trimix si riporta questo limite entro il
valore corretto di PPO2.
Ora sappiamo bene
che l’azoto è un gas pesante che dopo la profondità di 30 metri
(equivalente a 4 bar) diventa narcotico perché entra in
soluzione negli strati lipidici che compongono i neuroni e
interferisce con i normali segnali elettrici trasmessi dal
cervello, dando un senso di stordimento e di ubriachezza (il
cosiddetto
"effetto Martini"), che diventa sempre più forte man
mano che aumenta la pressione ambiente. La presenza di elio (gas
non narcotico) nella miscela Trimix diminuisce la quantità di
azoto contenuto nell’aria che respiriamo in superficie e questo
comporta un minor effetto narcotico e quindi più lucidità
durante le immersioni profonde.
L’elio però
presenta dei problemi rilevanti, soprattutto superati i 150
metri di profondità, perché se la velocità di discesa superasse
i 30 metri al minuto si potrebbe incorrere in quella che viene
chiamata “HPNS” (High Pressure Nervous Syndrome). Ma, data la
profondità alla quale si manifesta questo fenomeno, si tratta di
un problema che certamente non mi riguarda...
Per quanto
riguarda le tappe decompressive, il Trimix impone le prime tappe
a profondità molto superiori rispetto alle tabelle di
decompressione ad aria o Nitrox. E questo ha formato oggetto
specifico della preparazione teorico-pratica del mio corso tecnico
TEK1. |
Per
adesso io e la mia buddy ci siamo fermati all’utilizzo del
cosiddetto
"Trimix normossico" (vale a dire quello in cui la
percentuale di ossigeno contenuta nella miscela oscilla dal 17%
al 22%), impiegando un TX 21/35 che ci ha permesso di abbattere
la narcosi da azoto senza
incorrere in problemi di iperossia o di tossicità dell’ossigeno.
Ma adesso che questo corso ci ha aperto nuove
prospettive, vedremo
quali potranno essere gli eventuali futuri sviluppi successivi...
Non si finisce mai di imparare! |
LA CONFIGURAZIONE
DIR DELL'ATTREZZATURA
Sopra il routing corretto delle fruste per il
bibombola e per il monobombola in configurazione tecnica DIR.
Qui
di seguito
riporto un elenco
tratto dal libro "Doing It Right: i fondamentali per immergersi in modo
migliore" di Jarrod Jablonski, degli elementi della configurazione DIR standard.
-
Maschera: una
maschera con un piccolo volume interno riduce la resistenza
idrodinamica e richiede un minimo sforzo per lo svuotamento.
-
Erogatore Primario:
erogatore di ottima qualità che viene ceduto al subacqueo in
emergenza.
-
Frusta corta: la
frusta deve essere di lunghezza sufficiente per permettere
una respirazione agevole, ma non troppo lunga da creare
resistenza o aggrovigliamenti (55-60 cm.).
-
Erogatore di Backup:
erogatore di ottima qualità che il subacqueo utilizza come
riserva in caso di failure dell'erogatore primario o in caso
di emergenza del compagno.
-
Frusta lunga:
opzionale in immersioni poco profonde, ricreative, ma
obbligatoria in immersioni profonde. La frusta lunga 210 cm.
permette di condividere l'aria con il compagno in caso di
emergenza. Quando utilizzata, la frusta lunga che alimenta
l'erogatore primario, deve sempre arrivare dal lato destro
del subacqueo.
-
Luce di Backup:
disposta in posizione ottimale per ridurre la resistenza e
raggiungibile ed attivbile semplicemente con una mano sola.
-
Testa illuminante primaria con maniglia
Godman: maneggiabile semplicemente
con una mano sola, lasciando libera la mano stessa di
operare su altra attrezzatura.
-
Muta Stagna:
necessaria per permettere al subacqueo una immersione
confortevole termicamente. La muta deve permettere agevoli
movimenti in acqua.
-
Imbracatura-Sottocavallo:
regolato su misura al subacqueo, ospita due anelli D-Ring.
Uno funge da aggancio per lo scooter subacqueo (a questo
anello il subacqueo non dovrebbe agganciare nessun altro
oggetto, poiché risulterebbe troppo basso rispetto alla
sagoma del subacqueo). L'altro anello, posteriore e prossimo
alla piastra, funge da aggancio per altra attrezzatura
(bombole di stage, altro scooter). Il sottocavallo ha anche
la funzione di mantenere l'equilibratore d'assetto in
posizione ed evita che questo si distacchi dal corpo
fluttuando ed aumentando la resistenza.
-
Cappuccio:
necessario per il comfort termico del subacqueo.
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Cinghiolo della maschera:
robusto e resistente alla rottura, offre maggiore confort al
subacqueo in quanto è regolato sulla propria testa.
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Collarino per erogatore secondario:
disegnato per mantenere l'erogatore secondario in posizione
di facile accesso (l'erogatore di backup dovrebbe essere
raggiungibile anche senza l'aiuto delle mani).
-
Tubo corrugato:
dovrebbe essere lungo sufficientemente per non interferire
con la testa del subacqueo e permettere il gonfiaggio
contemporaneo della muta stagna, ma non troppo lungo da
incrementare la resistenza idrodinamica.
-
Sistema di gonfiaggio:
sufficientemente accessibile, ma tale da non creare
aggrovigliamenti o aumento di resistenza.
-
Manometro:
di qualità, in metallo cromato, con cassa girevole, di
facile lettura ed affidabile.
-
Coltello: collocato
in posizione ventrale sul fascione dell'imbrago, accessibile
con entrambe le mani (va messo in posizione quasi centrale).
-
Frusta del manometro:
di lunghezza appropriata (55 -57 cm.), deve consentire al
subacqueo una facile lettura dello strumento dopo
averlo sganciato dal D-Ring. Non deve fluttuare creando
rischio per il subacqueo di impigliarsi.
-
D-Ring:
2 sul petto, 1 sul fianco sinistro all'altezza del bacino, 2
sul sottocavallo, davanti e dietro: in totale 5 D-Ring.
-
Tasche: due tasche,
una per lato, montate sulle gambe della muta stagna. La
tasca destra è in genere la tasca contenente la maschera di
riserva, il wetnote, lo spool. La tasca sinistra è la tasca
di sicurezza, contenente gli oggetti ridondanti, pallone,
spool, eccetera.
-
Manopole bombole:
di gomma, per evitare la rottura, dovrebbero essere
completamente in posizione aperta.
-
Valvole:
una per ogni bottiglia del bibombola ed una centrale del
manifold. Il sistema bibombola con bombole collegate
mediante il manifold è preferibile per motivi di sicurezza e
ridondanza.
-
O-Ring: tutte le
guarnizioni delle valvole e del manifold sono ridondanti.
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Equilibratore d'assetto:
differente a seconda del tipo di immersione, con monobombola
o bibombola. Deve avere un volume sufficiente per permettere
il galleggiamento della sola attrezzatura in superficie.
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Bombole: bibombola
in acciaio per il back gas e bombole in alluminio per la
decompressione.
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Piastra ed imbracatura:
disegnate per adattarsi perfettamente al subacqueo, favorire
un agevole controllo d'assetto ed evitare resistenza
fluidodinamica.
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Illuminatore primario:
testa illuminante separata, con batteria nel canister
montato sul fianco destro del subacqueo. Maniglia Godman per
permettere di illuminare lasciando la mano libera.
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Pallone di segnalazione:
alloggiato nella tasca porta-pallone sulla schiena del
subacqueo. Il pallone serve come segnalazione. Potrebbe
essere necessario possedere anche un pallone di sollevamento
o una zattera di emergenza.
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Pee-valve: permette
al subacqueo di urinare durante l'immersione per mezzo di un
catetere collegato a un preservativo in lattice.
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Profondimetro e timer:
montati sui polsi, in genere con cinturini in corda
elastica, molto affidabili e di facile utilizzo.
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Bussola: montata
sul polso, in genere con cinturini in corda elastica, molto
affidabile e di facile utilizzo.
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Pinne: non devono
avere ganci di plastica che possono essere un facile punto
di rottura. Si utilizza in genere un cinghiolo in gomma o
meglio una molla elastica in inox. Le pinne ideali sono ricavate da
un unico stampo di gomma, e sono negative in acqua.
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Reel e spool: il
reel è agganciato al D-Ring posteriore del sottocavallo. Lo spool è collocato nella tasca destra della muta, mentre
nella tasca sinistra è consigliabile alloggiare uno spool di
backup.
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