72.
IL GAV (Giubbotto ad Assetto Variabile)
di Marcello
Polacchini
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Internazionalmente il GAV (Giubbotto
ad Assetto Variabile) è conosciuto con l’acronimo di BCD (Buoyancy
Control Device) cioè “strumento per il controllo dell’assetto”;
oppure anche come BC (Buoyancy Compensator), cioè come
“compensatore di assetto”.
Il GAV è un
accessorio fondamentale utilizzato nelle immersioni subacquee
per regolare l’assetto del subacqueo in acqua, consentendogli di
raggiungere uno assetto neutro e di muoversi verticalmente.
Impiegando opportunamente il GAV è possibile controllare meglio
il livello di profondità sott’acqua, mantenendo un assetto
stabile e una profondità costante; inoltre, è possibile
immergersi o emergere in modo lento e controllato. Infine, in
superficie, il GAV permette al subacqueo di
riposare e di galleggiare senza fare sforzo.
Il principio fisico
di funzionamento
Il GAV funziona
attraverso un’opportuna applicazione del principio di Archimede.
I modelli più moderni sono composti da un sacco espandibile
costruito in materiali sintetici e fatto a forma di giubbotto (e
come tale indossato dal sub sopra alla muta), in cui viene
immessa dell’aria. L’aria immessa nel sacco, sia che provenga
dalla bombola, sia che venga espirata a bocca dal sub, è aria
precedentemente compressa e quindi una volta entrata nel sacco
incrementa il suo volume. L’incremento di volume dell’aria
permette di modificare il rapporto massa/volume del subacqueo e
quindi influisce sulla sua spinta idrostatica: al crescere del
volume infatti, cresce il peso della quantità d’acqua spostata e
quindi il subacqueo riceve una spinta verso l’alto maggiore.
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L’assetto normale del
subacqueo è generalmente negativo, cioè tende ad affondare a causa dei
pesi in genere alloggiati nella cintura (o anche nel GAV stesso) e
quindi l’incremento di aria nel sacco del GAV serve proprio a
contrastare questa spinta negativa; cioè permette di bilanciare il peso
del corpo, della zavorra e dell’attrezzatura.
La quantità di aria
necessaria è regolata tramite un meccanismo di gonfiaggio molto
semplice: una valvola su una frusta di bassa pressione comandata da due
pulsanti per gonfiaggio e sgonfiaggio (comando VIS). Per accelerare lo
sgonfiaggio sono previste anche delle apposite valvole di scarico rapido
che, azionate da semplici cordini da tirare, liberano l’aria molto
velocemente.
Nei GAV c’è sempre anche
una valvola di sicurezza, che serve ad evitare un eccessivo gonfiaggio.
Quando la pressione supera i 2 bar una molla interna si rilascia
automaticamente, consentendo all’aria di fuoriuscire. Qualche GAV
incorpora anche una piccola bombola di pochi litri da utilizzare nelle
emergenze.
Controllo dell’assetto
Dosando
opportunamente la quantità d’aria da immettere nel sacco (in
realtà aria da far espandere e crescere di volume) si può
raggiungere un assetto neutro (cioè di equilibrio idrostatico),
con il quale il subacqueo si trova praticamente a non avere
spinte né verso l'alto (emersione) né verso il basso
(affondamento), potendo mantenere senza alcuno sforzo la quota
raggiunta. Questa condizione è spesso paragonata a quella
dell’assenza di gravità; sebbene l’accostamento sia solo
approssimativo, dato che la forza di gravità continua ad avere
influenza su tutto l’organismo del sub che, in realtà, è solo
adagiato su una specie di invisibile sostegno liquido.
In realtà l’assetto
perfettamente neutro è possibile solo in assenza di
respirazione. Infatti, la normale inspirazione aumenta il volume
del corpo attraverso l’espansione dei polmoni e, ovviamente,
l’espirazione lo riduce. Perciò l’assetto considerato “neutro” è
in realtà lievemente viziato da minime oscillazioni di quota
dovute alla respirazione del subacqueo. In pratica, in posizione
orizzontale, il subacqueo immobile che respira avrà praticamente
le caviglie ferme e il torace che sale e scende di poche decine
di centimetri (a seconda della profondità) rispetto alla
posizione neutra, semplicemente per effetto della sua
respirazione.
Durante la risalita
in superficie la diminuzione della pressione esterna provoca una
crescente espansione dell’aria contenuta nel GAV e questo (se il
GAV non è dotato di accorgimenti meccanici per lo sfiato
automatico d’emergenza e la conseguente riduzione della
pressione in eccesso) può essere molto pericoloso, e può causare
la cosiddetta risalita incontrollata "a pallone" a velocità
eccessiva rispetto alla curva di sicurezza. |
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Per evitare ciò, in
genere nei corsi di subacquea si insegna a svuotare il GAV man
mano che si risale o prima di iniziare la risalita.
Anche durante la
discesa l’effetto della crescente pressione esterna si fa
sentire, neutralizzando man mano l’effetto stabilizzante del
jacket, dato che si sommano la riduzione di volume dell’aria nel
jacket, quella del neoprene della muta subacquea e quella del
volume polmonare e ciò può consentire una sensibile
accelerazione della velocità di discesa, sebbene questa sia più
agevolmente controllabile dal sub (ad esempio assumendo la
posizione "a paracadute" e sfruttando l’attrito dell’acqua)
oppure gonfiando leggermente il GAV.
Caratteristiche
Il GAV oggi viene impiegato
nelle immersioni con l’ARA, anche se i primi
subacquei non lo utilizzavano e ancora qualcuno continua a non
usarlo, preferendo immergersi con il cd. “schienalino”.
Nella storia della
subacquea il GAV è stato concepito molto tempo fa come possibile
evoluzione del giubbotto salvagente, del quale mutua la
condizione variabile di riempimento, ma è giunto sul grosso
mercato della subacquea sportiva solo intorno agli anni
Settanta.
Vediamo le tappe
principali della sua storia. |
Già
negli anni Cinquanta, i
sommozzatori della U.S. Navy adottarono, per le loro operazioni
subacquee, i giubbetti salvavita. Allora lo
scopo era quasi prettamente di "salvataggio", per consentire un più
agevole galleggiamento in superficie; perciò la sua
forma era
a "ciambella" e l’attrezzo
veniva indossato infilandolo dalla testa e fissandolo con delle cinghie.
I primi modelli si indossavano intorno al collo (il cd. "collarino"), o
intorno alla testa (cd."caschetto") ed erano fissati al corpo con delle
cinghie o delle semplici sagole. Questi giubbetti potevano essere
gonfiati a bocca per mezzo di un corrugato (un tubo flessibile) chiuso
da una valvolinoa oppure con un bombolino (in genere da 400 cm³,
derivato dai primi miniestintori portatili), ricaricabile dalla bombola
principale tramite una frusta aggiuntiva. In questi primi modelli lo
sfiato si eseguiva esclusivamente portando verso l’alto il corrugato
d’insufflazione a bocca ed aprendo la valvolina. Questo sistema, anche
in presenza di altri accorgimenti (come ad esempio l’airtrim), è
tradizionalmente ancora usato dai subacquei più esperti ed anche i
modelli più recenti continuano a consentirlo; altri invece utilizzano un
sistema di controllo più avanzato (air trim appunto).
Questi giubbetti
degli anni Cinquanta erano conosciuti come "Mae West" dal nome
del modello disegnato nel 1935 dal fondatore della Air Cruisers,
James F. Boyle, come
sistema di galleggiamento individuale per gli aviatori che
sopravvivevano in caso di ammaraggio. Questi
giubbetti, costruiti in tela gommata, potevano essere
gonfiati manualmente
soffiando in un piccolo tubo o tirando una corda collegata ad
una voluminosa cartuccia di CO2. La loro struttura
permetteva alla testa
del pilota di restare fuori dall’acqua, anche nel caso fosse
incosciente. Il limite di questo jacket era
quello di dover essere attivato manualmente, ciò che rendeva
problematica la situazione se il pilota entrava in acqua in
stato di incoscienza. Il problema fu risolto in seguito grazie a
modifiche apportate da Nelson Beck, che permettevano il gonfiaggio
automatico al contatto con l’acqua e questo
salvò la vita di molti piloti durante la Seconda Guerra
Mondiale. Tutti i
giubbetti di salvataggio moderni presenti sugli aerei discendono
proprio da questo modello.
All’inizio
degli anni Sessanta, la maggior parte dei
subacquei sportivi
(in particolar modo negli USA, seguendo la tendenza della U.S.
Navy) utilizzavano questo tipo di giubbetto, come materiale
standard. Sulla schiena era però necessario un sostegno autonomo
per la bombola (il cd. "schienalino"), che oggi è integrato nel
GAV.
Nel tempo,
grazie alle evoluzioni e alle sperimentazioni,
il GAV, da semplice strumento di galleggiamento in superficie
divenne uno strumento per compensare la galleggiabilità anche
sott’acqua. Il
primo sistema di
galleggiamento disegnato specificamente per i subacquei
fu un
collarino gonfiabile introdotto nel 1961 dalla ditta francese
Fenzy e comprendeva un bombolino d’aria
compressa che si riempiva dalla bombola. |
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L’aria passava dal
bombolino al collarino attraverso una piccola valvola e il
collarino si gonfiava e si trasformava in una piccola riserva
extra d’aria. In seguito Fenzy commercializzò il giubbetto con
il nome "Sea Quest". Questo modello ridisegnato si trasformò nel
primo vero giubbetto
equilibratore idrostatico. In seguito i GAV
anulari, poco ergonomici, vennero sostituiti dai jacket. Il
vantaggio del jacket
rispetto al GAV anulare è la comodità quando il
subacqueo si trova in posizione verticale con il GAV gonfio, e
la comodità dei cinghioli in posizione addominale e toracica
anziché inguinale.
I modelli attuali
I modelli
attuali di GAV sono principalmente a jacket o gilet (che è anche
il nome francese del GAV) e possono essere dotati di tasche
portazavorra, tasche portaoggetti, fermafruste, passasagole,
ganci, moschettoni, anelli o di altri ausilii funzionali.
In genere i GAV
incorporano uno schienalino sagomato per l’alloggiamento della o
delle bombole e le relative fasce e fibbie di serraggio.
Nella maggior parte
dei modelli l’assetto del GAV è moderatamente negativo.
A parte le
eccezioni, la maggior parte dei produttori ha optato per il
fissaggio alla bombola nella parte posteriore: sono jackets
molto più confortevoli per immergersi e permettono di
distribuire l’aria in modo uniforme intorno al sub. |
Le innovazioni introdotte
più di recente riguardano nuovi sistemi di insufflaggio dell’aria,
oppure la distribuzione dei dislocamenti dell’aria nelle sacche, con la
possibilità (anche escludibile) di riempire solo la parte dorsale
(sebbene l’assetto tipico con questi modelli sia pericoloso in caso di
incidente, poiché mantengono la faccia tendenzialmente immersa in
superficie).
Di solito i GAV possono
avere le seguenti caratteristiche e dotazioni:
-
una frusta a bassa pressione che porta il gas
dalle bombole al regolatore del jacket;
-
delle bretelle (spallacci) con fibbie a
sgancio veloce (fastex), per indossare il jacket in maniera più
agevole;
-
una piastra di plastica oppure metallica (in
acciao inox o in alluminio) per sorreggere le bombole;
-
una eventuale contropiastra metallica per dare
rigidezza alla struttura di sostegno delle bombole (di solito
adottata quando si usa il bibombola);
-
un sistema integrato di pesi, a volte dotato
di un meccanismo per lo sgancio veloce;
-
varie tasche e anelli metallici (D-rings) per
riporre o attaccare al jacket attrezzatura ausiliaria come lampade,
rocchetti, bombole decompressive, ecc.;
-
una valvola di gonfiaggio che porta il gas
dalla frusta alla camera d’aria del jacket e una valvola di sfiato
che permette lo svuotamento della camera d’aria (valvola di
carico/scarico, il cd. comando VIS);
-
una o più valvole di sfogo in caso di
pressione eccessiva, che si apre automaticamente in caso di
necessità (valvola di sovrapressione). La maggior parte dei GAV ha
almeno due di queste valvole: una sulla parte superiore e una sulla
parte inferiore del giubbotto, in modo da facilitare lo sfogo
dell'aria indipendentemente dall’assetto e dalla posizione del
subacqueo.
Attualmente è
disponibile una gamma abbastanza articolata di modelli di GAV,
differenziati per:
-
dislocamento della sacca o delle
sacche;
-
volume massimo (litraggio) che
determina la capacità di spinta e di sostentamento;
-
dispositivi di gonfiaggio e di sfiato;
-
dispositivi per lo sgancio rapido;
-
resistenza del tessuto sintetico di
rivestimento (in nylon o in cordura), espressa in denari.
Il jacket
monosacco, inventato nel 1976 dall’americana Scubapro, venne in
seguito sviluppato anche in versioni bisacco ed equipaggiato con
spallacci sganciabili che permettono una maggiore flessibilità e
possibilità di regolazione dello strumento. |
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Come abbiamo visto il
corrugato ora è comandato dall’aria della bombola per mezzo del
collegamento alla rubinetteria con una frusta di bassa pressione
e i pulsanti di gonfiaggio e sgonfiaggio (VIS) sono posti ad
un’estremità del corrugato e sono manovrabili con una sola mano,
anzi semplicemente spostando una delle dita da un pulsante
all’altro. Il sistema
di scarico rapido, grazie ad un cavetto di acciaio che corre
all’interno del corrugato e arriva alla valvola
situata sulla spalla, permette di non dover più sollevare in
alto il corrugato per riuscire a sgonfiare completamente il GAV,
ma semplicemente di tirarlo verso il basso.
Oggi
esistono anche GAV con la
zavorra integrata, che viene inserita in tasche removibili,
spesso con sistemi di sgancio rapido. Utilizzare
questo tipo di GAV permette di non usare la tradizionale cintura
con la zavorra, perché i piombi vengono direttamente inseriti in
queste speciali tasche del GAV.
Da pochi anni è
stato creato e sviluppato
l’HUB: il
modello è sempre a jacket, ma
il corrugato in questo GAV non
esiste più e l’eventuale gonfiaggio a bocca
avviene per mezzo di un lungo tubicino, nascosto in una tasca
quando non serve. Le fruste di bassa pressione sono integrate
nel GAV ed inserite in modo da non ostruire i movimenti, il
dispositivo di gonfiaggio e sgonfiaggio (airtrim) è in basso, a
sinistra, appena visibile e manovrabile senza quasi muovere il
braccio. Esistono modelli con gonfiaggio a meccanismo meccanico
o pneumatico, che differiscono per il tempo di risposta dopo
aver premuto i pulsanti.
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Come detto sopra il corrugato ora è
comandato dall’aria della bombola per mezzo del collegamento alla
rubinetteria con una frusta di bassa pressione e i
pulsanti di gonfiaggio e sgonfiaggio (VIS) sono posti ad un’estremità
del corrugato e sono manovrabili con una sola mano, anzi semplicemente
spostando una delle dita da un pulsante all’altro.
Il sistema di scarico rapido, grazie
ad un cavetto di acciaio che corre all’interno del corrugato
e arriva alla valvola situata sulla spalla, permette di non dover più
sollevare in alto il corrugato per riuscire a sgonfiare completamente il
GAV, ma semplicemente di tirarlo verso il basso.
Oggi
esistono anche GAV con la zavorra
integrata, che viene inserita in tasche removibili, spesso con sistemi
di sgancio rapido. Utilizzare questo tipo di GAV
permette di non usare la tradizionale cintura con la zavorra, perché i
piombi vengono direttamente inseriti in queste speciali tasche del GAV.
Da pochi anni è stato
creato e sviluppato l’HUB:
il modello è sempre a jacket, ma
il corrugato in questo GAV non esiste
più e l’eventuale gonfiaggio a bocca avviene per mezzo
di un lungo tubicino, nascosto in una tasca quando non serve. Le fruste
di bassa pressione sono integrate nel GAV ed inserite in modo da non
ostruire i movimenti, il dispositivo di gonfiaggio e sgonfiaggio (airtrim)
è in basso, a sinistra, appena visibile e manovrabile senza quasi
muovere il braccio. Esistono modelli con gonfiaggio a meccanismo
meccanico o pneumatico, che differiscono per il tempo di risposta dopo
aver premuto i pulsanti.
I dettagli del GAV
1. Comandi
Il
funzionamento del GAV si basa semplicemente sull’immissione e
sullo scarico dell’aria; queste operazioni vengono controllate
tramite dei comandi situati sull'estremità del corrugato (il
comando VIS), oppure sul blocco comandi dell’airtrim (sistema di
gonfiaggio/sgonfiaggio pneumatico). Il sistema di gonfiaggio
avviene tramite l’apertura di una valvola, o tramite un pistone.
Come detto sopra,
negli ultimi anni si è diffuso l’utilizzo dell’HUB, un jacket
senza corrugato controllato da pulsanti fissi nella parte bassa
sinistra del GAV (comando airtrim) e collegati sempre alla
bassa pressione tramite una frusta nascosta all’interno. Questi
sistemi presentano il vantaggio di poter essere
gonfiati/sgonfiati in qualsiasi posizione, senza dover portare
il corrugato verso l’alto, come nei GAV tradizionali.
2. Camera d’aria
La
sacca d’aria del GAV è quella che assolve alla funzione di
variazione del volume, regolando così in modo semplice l’assetto
del subacqueo. A seconda del modello, la sacca ha varie forme e
vari posizionamenti: jacket con la sacca lateroposteriore (più
avvolgenti) o posteriore (adottati dai subacquei tecnici),
jacket con sacca singola o doppia (abbinata ad un doppio tubo
corrugato dotato di VIS).
Nella
subacquea tecnica ma sempre più anche in quella ricreativa si
utilizzano i cosiddetti GAV “tutto dietro”, che permettono una
maggiore libertà di movimento e forniscono una maggior spinta
positiva (necessaria per chi scende in profondità con più
bombole), senza gravare sul torace del subacqueo in quanto tutto
il volume d’aria viene contenuto in una sacca posteriore.
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Il GAV nasce come
monosacco; ma nel 1973 venne realizzato il primo GAV bisacco. Il
sacco interno (quasi sempre in poliuretano) serve per la tenuta
dell’aria, mentre quello esterno (in poliammide, nylon, cordura
o kevlar) serve di protezione e permette una maggiore robustezza
e resistenza dell’insieme. Negli ultimi anni, grazie allo
sviluppo della tecnologia di saldatura ad alta frequenza il
monosacco torna in auge perché è più economico. In questo
modello le tasche e le cuciture sono solo nella parte esterna,
che non serve per la tenuta dell’aria.
Oggi i GAV
monosacco sono preformati (il sacco si adatta cioè al corpo del
subacqueo anche quando è gonfio) e sono molto diffusi, anche se
qualcuno continua a ritenere che il bisacco sia più affidabile
ed abbia una durata maggiore.
3. Metodi di vestizione
Ci
sono diversi modi per indossare il GAV (o meglio il gruppo ARA)
a seconda delle situazioni e delle abilità del subacqueo, sia in
acqua che fuori dall’acqua: da seduti oppure per incappuccia
mento.
Però, dato che il
peso complessivo del gruppo ARA supera normalmente i 18 kg, va
ricordato che, se indossato con scarsa cautela o con eccessiva
fretta, può provocare lesioni o strappi alla schiena, talvolta
anche seri.
È necessario quindi
fare attenzione durante la vestizione, sia in acqua che fuori,
per evitare spiacevoli inconvenienti che potrebbero
compromettere l'immersione o addirittura pregiudicare l'attività
subacquea futura. Ovviamente un'adeguata preparazione da parte
di un istruttore durante un corso può aiutare a rendere
improbabili simili errori. La pratica dell'attività subacquea in
Italia non è infatti vincolata ad alcun obbligo di detenzione di
brevetto; è però consigliabile frequentare dei corsi appositi
per apprendere la teoria e la tecnica necessarie. |
Al di là
delle mode e dei colori è essenziale che il GAV calzi alla perfezione.
E’ molto importante indossarlo bene e possederne uno per conoscerlo e
sapere dove cercare i cinghioli, le valvole, eccetera, evitando brutti
contorsionismi che in situazioni di emergenza potrebbero essere
pericolosi. Molte fabbriche di attrezzatura subacquea ormai producono
dei GAV appositamente studiati per le donne, con una diversa
distribuzione del peso della bombola e una forma ad hoc.
Caratteristiche
fondamentali necessarie di un GAV
Le caratteristiche
fondamentali che deve avere qualunque GAV sono:
-
sufficiente spinta di galleggiamento (in superficie)
in rapporto alla corporatura ed alle caratteristiche del sub;
-
valvola di sovrappressione che consente lo scarico
in caso di gonfiaggio eccessivo o di aumento del volume dell’aria
contenuta in risalita
-
sistema di gonfiaggio a bassa pressione
-
lo scarico dell’aria deve essere effettuato
per mezzo di un corrugato
di diametro ampio che permette uno scarico rapido
-
idrodinamicità
-
valvole di scarico aggiuntive, poste in alto sulle
spalle e in basso, nella parte posteriore del GAV, sono utili
soprattutto quando ci si ritrova in immersione in posizioni
particolari nelle quali non è agevole sgonfiare il giubbetto solo
con il corrugato
-
vestibilità: un GAV troppo largo può essere molto
scomodo quando è gonfio e scivolare verso l’alto insieme alla
bombola; mentre un GAV stretto limita nei movimenti e, quando è
gonfio, può dare una sensazione di soffocamento.
I GAV a sacco
posteriore
Oggi questi GAV
vengono utilizzati
soprattutto da chi pratica la cd. subacquea tecnica: essi
permettono una maggiore spinta idrostatica in immersione,
importante soprattutto per chi scende ad alte profondità,
(alle quali la muta si comprime maggiormente per effetto della
pressione) ed è equipaggiato con più di una bombola. Il volume
maggiore, in un GAV a giubbetto, comprimerebbe eccessivamente il
torace.
La funzione di galleggiabilità
in superficie in questo tipo di GAV quasi scompare, sostituita
da quella di compensazione di galleggiabilità in immersione.
In superficie questo
tipo di GAV tende a costringere il subacqueo ad una posizione a
testa in giù e quindi non è un grosso aiuto per mantenere la
galleggiabilità in superficie e una posizione comoda;
questo è il motivo per il quale questo tipo di GAV non ha preso
molto piede nell’immersione ricreativa, mentre è
molto utilizzato in quella
tecnica.
Gli
speleologi
subacquei usano GAV a
forma di ferro di cavallo, posto tra la schiena e la bombola; i
cinghiaggi sono sostituiti da una sorta di imbracatura (spesso
costituita da una fettuccia continua), dalla quale il sacco è
indipendente. Questa conformazione permette un
assetto orizzontale più stabile, che è utile per
gli speleosub.
Il GAV non è un
ascensore!
Anche se
sembrerebbe molto comodo usare il GAV come un ausilio per salire
in superficie o per scendere in profondità, il GAV non ha
propriamente questa funzione, ma serve solo a mantenere
l’assetto ottimale; perciò deve essere:
-
gonfiato in superficie per riposarsi,
-
sgonfiato quando si scende sott'acqua,
-
regolato per ottenere il giusto
assetto durante l’immersione,
-
sgonfiato nuovamente quando si risale,
poichè la diminuzione di pressione in risalita comporta un
aumento del volume dell’aria contenuta nel GAV (in base alla
legge di Boyle, sul rapporto tra pressione e volume di un
gas) e pertanto, se non viene sgonfiato, potrebbe accelerare
eccessivamente la risalita (pallonata).
Tutto questo viene
insegnato già nel corso Open Water Diver e, con l’aumentare del
numero di immersioni e dell’esperienza, si comprende che il GAV
serve per la regolazione iniziale dell’assetto e che i polmoni e
il respiro sott’acqua possono bastare per le successive
regolazioni dell’assetto, se si evita di zavorrarsi
eccessivamente! |
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La manutenzione
del GAV
Per poter
conservare a lungo il proprio GAV e non incorrere in
malfunzionamenti è necessario prendersene cura dopo ogni
immersione. Farlo è molto semplice, basta abituarsi ad
effettuare alcune operazioni.
1)
Controllo:
verificare se si notano dei piccoli tagli o danni sia al tessuto
che ai ganci. Nel caso si notasse qualcosa sarà più semplice
ripararlo subito piuttosto che quando il danno sarà più grande.
Vanno controllate anche le valvole, inoltre bisogna soffiare
nel corrugato e controllare che i pulsanti si muovano bene,
perché potrebbero esserci dei granuli di sabbia o cristalli di
sale che vanno lavati. Una volta gonfio il GAV va immerso in
acqua per verificare eventuali fuoriuscite di bolle d’aria.
Pulizia: è
bene lavare in acqua dolce il jacket dopo ogni utilizzo in mare.
Soprattutto la pulsantiera del corrugato deve essere ben
risciacquata. Anche l’interno deve essere ben lavato e per farlo
occorre riempire il GAV di acqua e aria, scuoterlo e far
fuoriuscire l’acqua dalla valvola di scarico.
Anche il velcro del
fascione centrale deve essere ben pulito, togliendo con una
spazzola eventuali sporcizie residue.
Conservazione:
il GAV deve essere mantenuto parzialmente gonfio durante il
periodo di non utilizzo e va protetto da raggi solari e umidità. |
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