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di Tecnica & Medicina

 

Tecnica & Medicina Subacquea

 

72.  IL GAV (Giubbotto ad Assetto Variabile)

 

di Marcello Polacchini

Internazionalmente il GAV (Giubbotto ad Assetto Variabile) è conosciuto con l’acronimo di BCD (Buoyancy Control Device) cioè “strumento per il controllo dell’assetto”; oppure anche come BC (Buoyancy Compensator), cioè come “compensatore di assetto”.

Il GAV è un accessorio fondamentale utilizzato nelle immersioni subacquee per regolare l’assetto del subacqueo in acqua, consentendogli di raggiungere uno assetto neutro e di muoversi verticalmente. Impiegando opportunamente il GAV è possibile controllare meglio il livello di profondità sott’acqua, mantenendo un assetto stabile e una profondità costante; inoltre, è possibile immergersi o emergere in modo lento e controllato. Infine, in superficie, il GAV permette al subacqueo di riposare e di galleggiare senza fare sforzo.

 

Il principio fisico di funzionamento

Il GAV funziona attraverso un’opportuna applicazione del principio di Archimede. I modelli più moderni sono composti da un sacco espandibile costruito in materiali sintetici e fatto a forma di giubbotto (e come tale indossato dal sub sopra alla muta), in cui viene immessa dell’aria. L’aria immessa nel sacco, sia che provenga dalla bombola, sia che venga espirata a bocca dal sub, è aria precedentemente compressa e quindi una volta entrata nel sacco incrementa il suo volume. L’incremento di volume dell’aria permette di modificare il rapporto massa/volume del subacqueo e quindi influisce sulla sua spinta idrostatica: al crescere del volume infatti, cresce il peso della quantità d’acqua spostata e quindi il subacqueo riceve una spinta verso l’alto maggiore.

L’assetto normale del subacqueo è generalmente negativo, cioè tende ad affondare a causa dei pesi in genere alloggiati nella cintura (o anche nel GAV stesso) e quindi l’incremento di aria nel sacco del GAV serve proprio a contrastare questa spinta negativa; cioè permette di bilanciare il peso del corpo, della zavorra e dell’attrezzatura.

La quantità di aria necessaria è regolata tramite un meccanismo di gonfiaggio molto semplice: una valvola su una frusta di bassa pressione comandata da due pulsanti per gonfiaggio e sgonfiaggio (comando VIS). Per accelerare lo sgonfiaggio sono previste anche delle apposite valvole di scarico rapido che, azionate da semplici cordini da tirare, liberano l’aria molto velocemente.

Nei GAV c’è sempre anche una valvola di sicurezza, che serve ad evitare un eccessivo gonfiaggio. Quando la pressione supera i 2 bar una molla interna si rilascia automaticamente, consentendo all’aria di fuoriuscire. Qualche GAV incorpora anche una piccola bombola di pochi litri da utilizzare nelle emergenze.

 

Controllo dell’assetto

Dosando opportunamente la quantità d’aria da immettere nel sacco (in realtà aria da far espandere e crescere di volume) si può raggiungere un assetto neutro (cioè di equilibrio idrostatico), con il quale il subacqueo si trova praticamente a non avere spinte né verso l'alto (emersione) né verso il basso (affondamento), potendo mantenere senza alcuno sforzo la quota raggiunta. Questa condizione è spesso paragonata a quella dell’assenza di gravità; sebbene l’accostamento sia solo approssimativo, dato che la forza di gravità continua ad avere influenza su tutto l’organismo del sub che, in realtà, è solo adagiato su una specie di invisibile sostegno liquido.

In realtà l’assetto perfettamente neutro è possibile solo in assenza di respirazione. Infatti, la normale inspirazione aumenta il volume del corpo attraverso l’espansione dei polmoni e, ovviamente, l’espirazione lo riduce. Perciò l’assetto considerato “neutro” è in realtà lievemente viziato da minime oscillazioni di quota dovute alla respirazione del subacqueo. In pratica, in posizione orizzontale, il subacqueo immobile che respira avrà praticamente le caviglie ferme e il torace che sale e scende di poche decine di centimetri (a seconda della profondità) rispetto alla posizione neutra, semplicemente per effetto della sua respirazione.

Durante la risalita in superficie la diminuzione della pressione esterna provoca una crescente espansione dell’aria contenuta nel GAV e questo (se il GAV non è dotato di accorgimenti meccanici per lo sfiato automatico d’emergenza e la conseguente riduzione della pressione in eccesso) può essere molto pericoloso, e può causare la cosiddetta risalita incontrollata "a pallone" a velocità eccessiva rispetto alla curva di sicurezza.

Per evitare ciò, in genere nei corsi di subacquea si insegna a svuotare il GAV man mano che si risale o prima di iniziare la risalita.

Anche durante la discesa l’effetto della crescente pressione esterna si fa sentire, neutralizzando man mano l’effetto stabilizzante del jacket, dato che si sommano la riduzione di volume dell’aria nel jacket, quella del neoprene della muta subacquea e quella del volume polmonare e ciò può consentire una sensibile accelerazione della velocità di discesa, sebbene questa sia più agevolmente controllabile dal sub (ad esempio assumendo la posizione "a paracadute" e sfruttando l’attrito dell’acqua) oppure gonfiando leggermente il GAV.

 

Caratteristiche

Il GAV oggi viene impiegato nelle immersioni con l’ARA, anche se i primi subacquei non lo utilizzavano e ancora qualcuno continua a non usarlo, preferendo immergersi con il cd. “schienalino”.

Nella storia della subacquea il GAV è stato concepito molto tempo fa come possibile evoluzione del giubbotto salvagente, del quale mutua la condizione variabile di riempimento, ma è giunto sul grosso mercato della subacquea sportiva solo intorno agli anni Settanta.

Vediamo le tappe principali della sua storia.

Già negli anni Cinquanta, i sommozzatori della U.S. Navy adottarono, per le loro operazioni subacquee, i giubbetti salvavita. Allora lo scopo era quasi prettamente di "salvataggio", per consentire un più agevole galleggiamento in superficie; perciò la sua forma era a "ciambella" e l’attrezzo veniva indossato infilandolo dalla testa e fissandolo con delle cinghie. I primi modelli si indossavano intorno al collo (il cd. "collarino"), o intorno alla testa (cd."caschetto") ed erano fissati al corpo con delle cinghie o delle semplici sagole. Questi giubbetti potevano essere gonfiati a bocca per mezzo di un corrugato (un tubo flessibile) chiuso da una valvolinoa oppure con un bombolino (in genere da 400 cm³, derivato dai primi miniestintori portatili), ricaricabile dalla bombola principale tramite una frusta aggiuntiva. In questi primi modelli lo sfiato si eseguiva esclusivamente portando verso l’alto il corrugato d’insufflazione a bocca ed aprendo la valvolina. Questo sistema, anche in presenza di altri accorgimenti (come ad esempio l’airtrim), è tradizionalmente ancora usato dai subacquei più esperti ed anche i modelli più recenti continuano a consentirlo; altri invece utilizzano un sistema di controllo più avanzato (air trim appunto).

Questi giubbetti degli anni Cinquanta erano conosciuti come "Mae West" dal nome del modello disegnato nel 1935 dal fondatore della Air Cruisers, James F. Boyle, come sistema di galleggiamento individuale per gli aviatori che sopravvivevano in caso di ammaraggio. Questi giubbetti, costruiti in tela gommata, potevano essere gonfiati manualmente soffiando in un piccolo tubo o tirando una corda collegata ad una voluminosa cartuccia di CO2. La loro struttura permetteva alla testa del pilota di restare fuori dall’acqua, anche nel caso fosse incosciente. Il limite di questo jacket era quello di dover essere attivato manualmente, ciò che rendeva problematica la situazione se il pilota entrava in acqua in stato di incoscienza. Il problema fu risolto in seguito grazie a modifiche apportate da Nelson Beck, che permettevano il gonfiaggio automatico al contatto con l’acqua e questo salvò la vita di molti piloti durante la Seconda Guerra Mondiale. Tutti i giubbetti di salvataggio moderni presenti sugli aerei discendono proprio da questo modello.

All’inizio degli anni Sessanta, la maggior parte dei subacquei sportivi (in particolar modo negli USA, seguendo la tendenza della U.S. Navy) utilizzavano questo tipo di giubbetto, come materiale standard. Sulla schiena era però necessario un sostegno autonomo per la bombola (il cd. "schienalino"), che oggi è integrato nel GAV.

Nel tempo, grazie alle evoluzioni e alle sperimentazioni, il GAV, da semplice strumento di galleggiamento in superficie divenne uno strumento per compensare la galleggiabilità anche sott’acqua. Il primo sistema di galleggiamento disegnato specificamente per i subacquei fu un collarino gonfiabile introdotto nel 1961 dalla ditta francese Fenzy e comprendeva un bombolino d’aria compressa che si riempiva dalla bombola.

L’aria passava dal bombolino al collarino attraverso una piccola valvola e il collarino si gonfiava e si trasformava in una piccola riserva extra d’aria. In seguito Fenzy commercializzò il giubbetto con il nome "Sea Quest". Questo modello ridisegnato si trasformò nel primo vero giubbetto equilibratore idrostatico. In seguito i GAV anulari, poco ergonomici, vennero sostituiti dai jacket. Il vantaggio del jacket rispetto al GAV anulare è la comodità quando il subacqueo si trova in posizione verticale con il GAV gonfio, e la comodità dei cinghioli in posizione addominale e toracica anziché inguinale.

 

I modelli attuali

I modelli attuali di GAV sono principalmente a jacket o gilet (che è anche il nome francese del GAV) e possono essere dotati di tasche portazavorra, tasche portaoggetti, fermafruste, passasagole, ganci, moschettoni, anelli o di altri ausilii funzionali.

In genere i GAV incorporano uno schienalino sagomato per l’alloggiamento della o delle bombole e le relative fasce e fibbie di serraggio.

Nella maggior parte dei modelli l’assetto del GAV è moderatamente negativo.

A parte le eccezioni, la maggior parte dei produttori ha optato per il fissaggio alla bombola nella parte posteriore: sono jackets molto più confortevoli per immergersi e permettono di distribuire l’aria in modo uniforme intorno al sub.

Le innovazioni introdotte più di recente riguardano nuovi sistemi di insufflaggio dell’aria, oppure la distribuzione dei dislocamenti dell’aria nelle sacche, con la possibilità (anche escludibile) di riempire solo la parte dorsale (sebbene l’assetto tipico con questi modelli sia pericoloso in caso di incidente, poiché mantengono la faccia tendenzialmente immersa in superficie).

 

Di solito i GAV possono avere le seguenti caratteristiche e dotazioni:

  • una frusta a bassa pressione che porta il gas dalle bombole al regolatore del jacket;
  • delle bretelle (spallacci) con fibbie a sgancio veloce (fastex), per indossare il jacket in maniera più agevole;
  • una piastra di plastica oppure metallica (in acciao inox o in alluminio) per sorreggere le bombole;
  • una eventuale contropiastra metallica per dare rigidezza alla struttura di sostegno delle bombole (di solito adottata quando si usa il bibombola);
  • un sistema integrato di pesi, a volte dotato di un meccanismo per lo sgancio veloce;
  • varie tasche e anelli metallici (D-rings) per riporre o attaccare al jacket attrezzatura ausiliaria come lampade, rocchetti, bombole decompressive, ecc.;
  • una valvola di gonfiaggio che porta il gas dalla frusta alla camera d’aria del jacket e una valvola di sfiato che permette lo svuotamento della camera d’aria (valvola di carico/scarico, il cd. comando VIS);
  • una o più valvole di sfogo in caso di pressione eccessiva, che si apre automaticamente in caso di necessità (valvola di sovrapressione). La maggior parte dei GAV ha almeno due di queste valvole: una sulla parte superiore e una sulla parte inferiore del giubbotto, in modo da facilitare lo sfogo dell'aria indipendentemente dall’assetto e dalla posizione del subacqueo.

Attualmente è disponibile una gamma abbastanza articolata di modelli di GAV, differenziati per:

  • dislocamento della sacca o delle sacche;
  • volume massimo (litraggio) che determina la capacità di spinta e di sostentamento;
  • dispositivi di gonfiaggio e di sfiato;
  • dispositivi per lo sgancio rapido;
  • resistenza del tessuto sintetico di rivestimento (in nylon o in cordura), espressa in denari.

Il jacket monosacco, inventato nel 1976 dall’americana Scubapro, venne in seguito sviluppato anche in versioni bisacco ed equipaggiato con spallacci sganciabili che permettono una maggiore flessibilità e possibilità di regolazione dello strumento.

Come abbiamo visto il corrugato ora è comandato dall’aria della bombola per mezzo del collegamento alla rubinetteria con una frusta di bassa pressione e i pulsanti di gonfiaggio e sgonfiaggio (VIS) sono posti ad un’estremità del corrugato e sono manovrabili con una sola mano, anzi semplicemente spostando una delle dita da un pulsante all’altro. Il sistema di scarico rapido, grazie ad un cavetto di acciaio che corre all’interno del corrugato e arriva alla valvola situata sulla spalla, permette di non dover più sollevare in alto il corrugato per riuscire a sgonfiare completamente il GAV, ma semplicemente di tirarlo verso il basso.

Oggi esistono anche GAV con la zavorra integrata, che viene inserita in tasche removibili, spesso con sistemi di sgancio rapido. Utilizzare questo tipo di GAV permette di non usare la tradizionale cintura con la zavorra, perché i piombi vengono direttamente inseriti in queste speciali tasche del GAV.

Da pochi anni è stato creato e sviluppato l’HUB: il modello è sempre a jacket, ma il corrugato in questo GAV non esiste più e l’eventuale gonfiaggio a bocca avviene per mezzo di un lungo tubicino, nascosto in una tasca quando non serve. Le fruste di bassa pressione sono integrate nel GAV ed inserite in modo da non ostruire i movimenti, il dispositivo di gonfiaggio e sgonfiaggio (airtrim) è in basso, a sinistra, appena visibile e manovrabile senza quasi muovere il braccio. Esistono modelli con gonfiaggio a meccanismo meccanico o pneumatico, che differiscono per il tempo di risposta dopo aver premuto i pulsanti.

 

Come detto sopra il corrugato ora è comandato dall’aria della bombola per mezzo del collegamento alla rubinetteria con una frusta di bassa pressione e i pulsanti di gonfiaggio e sgonfiaggio (VIS) sono posti ad un’estremità del corrugato e sono manovrabili con una sola mano, anzi semplicemente spostando una delle dita da un pulsante all’altro. Il sistema di scarico rapido, grazie ad un cavetto di acciaio che corre all’interno del corrugato e arriva alla valvola situata sulla spalla, permette di non dover più sollevare in alto il corrugato per riuscire a sgonfiare completamente il GAV, ma semplicemente di tirarlo verso il basso.

Oggi esistono anche GAV con la zavorra integrata, che viene inserita in tasche removibili, spesso con sistemi di sgancio rapido. Utilizzare questo tipo di GAV permette di non usare la tradizionale cintura con la zavorra, perché i piombi vengono direttamente inseriti in queste speciali tasche del GAV.

Da pochi anni è stato creato e sviluppato l’HUB: il modello è sempre a jacket, ma il corrugato in questo GAV non esiste più e l’eventuale gonfiaggio a bocca avviene per mezzo di un lungo tubicino, nascosto in una tasca quando non serve. Le fruste di bassa pressione sono integrate nel GAV ed inserite in modo da non ostruire i movimenti, il dispositivo di gonfiaggio e sgonfiaggio (airtrim) è in basso, a sinistra, appena visibile e manovrabile senza quasi muovere il braccio. Esistono modelli con gonfiaggio a meccanismo meccanico o pneumatico, che differiscono per il tempo di risposta dopo aver premuto i pulsanti.

 

I dettagli del GAV

 

1. Comandi Il funzionamento del GAV si basa semplicemente sull’immissione e sullo scarico dell’aria; queste operazioni vengono controllate tramite dei comandi situati sull'estremità del corrugato (il comando VIS), oppure sul blocco comandi dell’airtrim (sistema di gonfiaggio/sgonfiaggio pneumatico). Il sistema di gonfiaggio avviene tramite l’apertura di una valvola, o tramite un pistone.

Come detto sopra, negli ultimi anni si è diffuso l’utilizzo dell’HUB, un jacket senza corrugato controllato da pulsanti fissi nella parte bassa sinistra del GAV (comando airtrim)  e collegati sempre alla bassa pressione tramite una frusta nascosta all’interno. Questi sistemi presentano il vantaggio di poter essere gonfiati/sgonfiati in qualsiasi posizione, senza dover portare il corrugato verso l’alto, come nei GAV tradizionali.

 

2. Camera d’aria La sacca d’aria del GAV è quella che assolve alla funzione di variazione del volume, regolando così in modo semplice l’assetto del subacqueo. A seconda del modello, la sacca ha varie forme e vari posizionamenti: jacket con la sacca lateroposteriore (più avvolgenti) o posteriore (adottati dai subacquei tecnici), jacket con sacca singola o doppia (abbinata ad un doppio tubo corrugato dotato di VIS).

Nella subacquea tecnica ma sempre più anche in quella ricreativa si utilizzano i cosiddetti GAV “tutto dietro”, che permettono una maggiore libertà di movimento e forniscono una maggior spinta positiva (necessaria per chi scende in profondità con più bombole), senza gravare sul torace del subacqueo in quanto tutto il volume d’aria viene contenuto in una sacca posteriore.

Il GAV nasce come monosacco; ma nel 1973 venne realizzato il primo GAV bisacco. Il sacco interno (quasi sempre in poliuretano) serve per la tenuta dell’aria, mentre quello esterno (in poliammide, nylon, cordura o kevlar) serve di protezione e permette una maggiore robustezza e resistenza dell’insieme. Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo della tecnologia di saldatura ad alta frequenza il monosacco torna in auge perché è più economico. In questo modello le tasche e le cuciture sono solo nella parte esterna, che non serve per la tenuta dell’aria. 

Oggi i GAV monosacco sono preformati (il sacco si adatta cioè al corpo del subacqueo anche quando è gonfio) e sono molto diffusi, anche se qualcuno continua a ritenere che il bisacco sia più affidabile ed abbia una durata maggiore.

 

3. Metodi di vestizione Ci sono diversi modi per indossare il GAV (o meglio il gruppo ARA) a seconda delle situazioni e delle abilità del subacqueo, sia in acqua che fuori dall’acqua: da seduti oppure per incappuccia mento.

Però, dato che il peso complessivo del gruppo ARA supera normalmente i 18 kg, va ricordato che, se indossato con scarsa cautela o con eccessiva fretta, può provocare lesioni o strappi alla schiena, talvolta anche seri.

È necessario quindi fare attenzione durante la vestizione, sia in acqua che fuori, per evitare spiacevoli inconvenienti che potrebbero compromettere l'immersione o addirittura pregiudicare l'attività subacquea futura. Ovviamente un'adeguata preparazione da parte di un istruttore durante un corso può aiutare a rendere improbabili simili errori. La pratica dell'attività subacquea in Italia non è infatti vincolata ad alcun obbligo di detenzione di brevetto; è però consigliabile frequentare dei corsi appositi per apprendere la teoria e la tecnica necessarie.

Al di là delle mode e dei colori è essenziale che il GAV calzi alla perfezione. E’ molto importante indossarlo bene e possederne uno per conoscerlo e sapere dove cercare i cinghioli, le valvole, eccetera, evitando brutti contorsionismi che in situazioni di emergenza potrebbero essere pericolosi. Molte fabbriche di attrezzatura subacquea ormai producono dei GAV appositamente studiati per le donne, con una diversa distribuzione del peso della bombola e una forma ad hoc.

 

Caratteristiche fondamentali necessarie di un GAV

Le caratteristiche fondamentali che deve avere qualunque GAV sono:

  • sufficiente spinta di galleggiamento (in superficie) in rapporto alla corporatura ed alle caratteristiche del sub;
  • valvola di sovrappressione che consente lo scarico in caso di gonfiaggio eccessivo o di aumento del volume dell’aria contenuta in risalita
  • sistema di gonfiaggio a bassa pressione
  • lo scarico dell’aria deve essere effettuato per mezzo di un corrugato di diametro ampio che permette uno scarico rapido
  • idrodinamicità
  • valvole di scarico aggiuntive, poste in alto sulle spalle e in basso, nella parte posteriore del GAV, sono utili soprattutto quando ci si ritrova in immersione in posizioni particolari nelle quali non è agevole sgonfiare il giubbetto solo con il corrugato
  • vestibilità: un GAV troppo largo può essere molto scomodo quando è gonfio e scivolare verso l’alto insieme alla bombola; mentre un GAV stretto limita nei movimenti e, quando è gonfio, può dare una sensazione di soffocamento.

 

I GAV a sacco posteriore

Oggi questi GAV vengono utilizzati soprattutto da chi pratica la cd. subacquea tecnica: essi permettono una maggiore spinta idrostatica in immersione, importante soprattutto per chi scende ad alte profondità, (alle quali la muta si comprime maggiormente per effetto della pressione) ed è equipaggiato con più di una bombola. Il volume maggiore, in un GAV a giubbetto, comprimerebbe eccessivamente il torace.

La funzione di galleggiabilità in superficie in questo tipo di GAV quasi scompare, sostituita da quella di compensazione di galleggiabilità in immersione. In superficie questo tipo di GAV tende a costringere il subacqueo ad una posizione a testa in giù e quindi non è un grosso aiuto per mantenere la galleggiabilità in superficie e una posizione comoda; questo è il motivo per il quale questo tipo di GAV non ha preso molto piede nell’immersione ricreativa, mentre è molto utilizzato in quella tecnica.

Gli speleologi subacquei usano GAV a forma di ferro di cavallo, posto tra la schiena e la bombola; i cinghiaggi sono sostituiti da una sorta di imbracatura (spesso costituita da una fettuccia continua), dalla quale il sacco è indipendente. Questa conformazione permette un assetto orizzontale più stabile, che è utile per gli speleosub. 

Il GAV non è un ascensore!

Anche se sembrerebbe molto comodo usare il GAV come un ausilio per salire in superficie o per scendere in profondità, il GAV non ha propriamente questa funzione, ma serve solo a mantenere l’assetto ottimale; perciò deve essere:

  • gonfiato in superficie per riposarsi,
  • sgonfiato quando si scende sott'acqua,
  • regolato per ottenere il giusto assetto durante l’immersione,
  • sgonfiato nuovamente quando si risale, poichè la diminuzione di pressione in risalita comporta un aumento del volume dell’aria contenuta nel GAV (in base alla legge di Boyle, sul rapporto tra pressione e volume di un gas) e pertanto, se non viene sgonfiato, potrebbe accelerare eccessivamente la risalita (pallonata).

Tutto questo viene insegnato già nel corso Open Water Diver e, con l’aumentare del numero di immersioni e dell’esperienza, si comprende che il GAV serve per la regolazione iniziale dell’assetto e che i polmoni e il respiro sott’acqua possono bastare per le successive regolazioni dell’assetto, se si evita di zavorrarsi eccessivamente! 

La manutenzione del GAV

Per poter conservare a lungo il proprio GAV e non incorrere in malfunzionamenti è necessario prendersene cura dopo ogni immersione. Farlo è molto semplice, basta abituarsi ad effettuare alcune operazioni.

1) Controllo: verificare se si notano dei piccoli tagli o danni sia al tessuto che ai ganci. Nel caso si notasse qualcosa sarà più semplice ripararlo subito  piuttosto che quando il danno sarà più grande. Vanno controllate anche le valvole, inoltre  bisogna soffiare nel corrugato e controllare che i pulsanti si muovano bene, perché potrebbero esserci dei granuli di sabbia o cristalli di sale che vanno lavati. Una volta gonfio il GAV va immerso in acqua per verificare eventuali fuoriuscite di bolle d’aria.

Pulizia: è bene lavare in acqua dolce il jacket dopo ogni utilizzo in mare. Soprattutto la pulsantiera del corrugato deve essere ben risciacquata. Anche l’interno deve essere ben lavato e per farlo occorre riempire il GAV di acqua e aria, scuoterlo e far fuoriuscire l’acqua dalla valvola di scarico.

Anche il velcro del fascione centrale deve essere ben pulito, togliendo con una spazzola eventuali sporcizie residue.

Conservazione: il GAV deve essere mantenuto parzialmente gonfio durante il periodo di non utilizzo e va protetto da raggi solari e umidità.

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