58. IMMERSIONI...
PARTICOLARI
Articolo di Romano
Barluzzi, tratto dalla rivista "Mondo Sommerso"
Certe immersioni
non sono proprie del principiante, nel senso che richiedono già una
certa esperienza generale e specifica. Tuttavia non sono nemmeno
riservate a pochi, anzi costituiscono tipicamente la più naturale
evoluzione nella crescita tecnica di qualsiasi subacqueo, nella sua
ricerca di esperienze nuove e sempre più coinvolgenti. Si tratta di
immersioni particolari per luogo o circostanza: notturna, con scarsa
visibilità, in corrente, su secche, su relitti, in parete ecc.; e
vengono così suddivise soltanto perché è più comodo farlo dal punto di
vista espositivo-didattico. Nella pratica infatti costituiscono la
globalità delle immersioni che un visitatore medio di ambienti sommersi
si troverà a fare, spesso anzi potrà capitargli d’incontrare nello
stesso momento più di una di quelle situazioni: su una secca in mare
aperto è difficile non trovare corrente, e c’è di solito almeno un lato
di questa specie di isola sommersa che precipita verso il fondo con una
maestosa parete verticale. Il fattore che le accomuna è comunque
l’elevato contenuto emotivo, potenziale fonte di rischio per un neofita,
per cui è quanto mai necessario frequentare uno dei tanti corsi che
tutte le didattiche mettono a disposizione per ciascuna di queste
immersioni: noi ci limiteremo a passarle in rassegna con semplici
consigli pratici e qualche curiosità.
Immersione
notturna
Immergersi di notte, ovvero come trovarsi dentro un vero e proprio sogno
pur avendo gli occhi aperti! Resta indimenticabile il momento in cui per
la prima volta si riesce a vincere l’istintiva ritrosia di fronte alla
superficie nera del mare in cui si entra, per trovarsi catapultati d’un
sol colpo in un’altra dimensione, di vita e di colori, del respiro che
da concitato si fa sommesso, del battito del cuore che rallenta
all’improvviso come rapito da tanta meraviglia… Tutti i sensi sono in
allerta: eppure, allo stesso tempo, è come trovarsi a casa, nel posto
più nostro… Sono rare le emozioni così! Qualsiasi fonte di luce stiamo
utilizzando ci fa assomigliare a Diogene: possiamo illuminare solo una
porzione molto ristretta dello spazio che ci circonda, quella davanti a
noi o poco più. Ci manca la visione d’insieme. Potremmo non accorgerci
in tempo di una rete da pesca e finirci dentro. Ecco una raccomandazione
pratica generale: conoscere bene il fondale dove si vuol fare la discesa
notturna e perlustrarlo quando è ancora giorno. Possibilmente, è anche
bene presidiarlo finché non cala la notte, perché certi sistemi di pesca
vengono posizionati proprio in serata. Oppure iniziare l’immersione
appena tramontato il sole, in modo da fare il percorso di andata con
ancora un po’ di luce e solo quello di ritorno col buio pesto. In questo
modo, fra l’altro, specie all’inizio, l’esperienza risulterà più
progressiva. In ogni caso, mai dimenticare l’amico coltello,
verificandone per tempo la perfetta affilatura della lama. Dei
moltissimi tipi d’illuminazione oggi disponibili diciamo anzitutto che
il parametro che più di ogni altro deve interessare per una notturna
sicura è l’autonomia: inutile e rischioso portarsi un faretto da 100
watt che dura solo 25 minuti: troppa luce per troppo poco tempo!
Importante, inoltre, la robustezza e la resistenza agli urti,
inevitabili in queste immersioni e nei vari preparativi. Gli
interruttori a dispositivo magnetico anziché meccanico presentano il
vantaggio di evitare una possibile via a infiltrazioni d’acqua. Se però
s’indossa la bussola al polso, è bene tenere la lampada con l’altra
mano, onde impedire al magnete dell’interruttore d’influenzare la
lettura dello strumento. Peso in acqua e tipo d’impugnatura contano
molto, al fine di evitare l’affaticamento precoce del polso e della
mano. La parabola montata determina l’ampiezza del fascio di luce
emesso: meglio dunque un raggio concentrato o uno diffuso? Dipende molto
dai gusti: secondo alcuni, il diffuso toglie fascino alla notturna
perché… ricorda troppo il «giorno»! Ma è certo che se ci si trova
davanti a una bella parete, vederla esplodere di mille colori per
diversi metri quadri è più entusiasmante che illuminare pochi centimetri
alla volta. D’altronde il concentrato permette d’inquadrare meglio il
pesce che, restandone abbagliato, s’immobilizza più facilmente. Insomma,
ognuno può scegliere di che luce brillare. Ma non esageriamo
nell’abbagliare i pesci! Dopotutto, è facile immaginare come si sentano:
basta pensare all’effetto che fa a noi il fascio di luce del compagno
puntato in faccia! Oltre alla luce principale, che svolge il ruolo
d’illuminazione, ce ne sono altre non meno necessarie: quella di
posizione, di solito uno stick di luce chimica fluorescente, tipo "cyalume",
di colori diversi, oppure una piccola strobo lampeggiante. Anche qui,
pro e contro: il "cyalume" permette d’identificarsi a vicenda in base al
colore ma è efficace solo in acqua limpida; la strobo è fin troppo
potente in queste circostanze, il suo lampeggiare continuo può
infastidire i compagni, però se c’è sospensione e la visibilità
sott’acqua non è molta diventa l’ideale. A prescindere dal tipo, ciò che
conta della lucetta di posizione è che sia avvistabile dalla maggior
parte delle angolazioni possibili, quindi va montata per esempio sullo
snorkel o sul cinghiolo della maschera o sulla rubinetteria. Altra luce
fondamentale è quella con funzione di riserva, detta anche seconda
lampada, qualora la principale ci lasci al buio sul più bello:
naturalmente, dovendo assicurare di terminare l’immersione e di
rientrare, non è necessario che abbia caratteristiche di luminosità
spiccate come la principale; anche in questo caso però dovrà essere
affidabile, robusta, facile da accendere «al volo» e di buona autonomia.
Essendo di solito più piccola, sta dentro una tasca del jacket oppure
fissata con sagolino e moschettone, comunque sempre a portata di mano.
Ci sono infine da mettere le luci per individuare il punto di rientro,
cioè sotto la chiglia della barca e lungo l’ultimo tratto al fondo della
cima dell’ancora: di solito si tratta di strobo più grosse di quelle di
posizione. Se l’immersione invece è da riva, avremo provveduto in
precedenza a posizionarci due luci, diverse per grandezza, visibili da
ogni lato, una più in alto e arretrata, l’altra più in basso e vicino
alla battigia, in modo da permettere di allinearle guardandole dal mare
una volta emersi. Doveroso infine ricordare la luce di superficie
lampeggiante gialla su 360°, che di notte è per legge l’equivalente
della bandiera segna sub di giorno. Luci utili possono rivelarsi quelle
che in barca illuminano il pozzetto (o comunque la zona dove ci si
prepara e ci si sveste), quelle che fuoribordo individuano le sagole
dove vengono fissati in galleggiamento i gruppi ara, eccetera.
Immersione in
corrente
La corrente rappresenta una situazione non sempre prevedibile, che
quindi bisogna conoscere bene per non restarne sorpresi. Infatti, mentre
è logico aspettarsi corrente intorno a una secca o al versante di una
parete, più complesso diventa chiedersi se ci sarà o no corrente in
questo o in quell’altro punto in base per esempio alle condizioni
stagionali o meteorologiche; o perfino a seconda dei substrati viventi
che possiamo notare sul fondale. Un trucco molto empirico per una stima
sommaria della situazione della corrente prima di scendere consiste nel
fare una pallina di gomma da masticare e gettarla, guardando cosa
succede: essa ha infatti il peso specifico e la forma adatta per
affondare con la velocità giusta per farsi osservare per un po’. Il suo
eventuale spostamento dalla verticale ci svelerà immediatamente la
presenza e la direzione di una corrente nei primissimi metri di discesa.
Bisogna poi tener presente che la velocità dell’acqua è comunque minore
nelle vicinanze del fondo e che ogni masso, ogni rialzo del fondale
possono rappresentare altrettanti punti di temporaneo riposo,
esattamente come si trova riparo dal vento dietro l’angolo di una casa.
L’andatura rasente al fondo potrà quindi procedere a zigzag, compiendo
solo brevi tratti per volta e mai perpendicolarmente controcorrente:
sarebbe una gara persa in partenza! Si deve invece cercare di spostarsi
in diagonale rispetto alla direzione dell’acqua in movimento: ne
risulterà una specie di bolina, con la quale si può anche risalire un
po’ la corrente - come fanno le barche a vela col vento - senza mai
contrastarla, arrivando anzi a farsi trasportare dal fiume subacqueo,
pur di guadagnarne l’uscita… che magari si trova poco sopra o poco sotto
di noi. Infatti, le caratteristiche del moto laminare con cui si
spostano le masse liquide fanno sì che, anche se non ce ne accorgiamo,
tali masse scorrano letteralmente le une sulle altre, senza mescolarsi,
oppure si mantengano incuneate fra margini invisibili simili a sponde
d’acqua più tranquilla, addirittura ferma. Altro ottimo accorgimento è
quello di aver cura che il proprio assetto sia il più possibile
bilanciato e idrodinamico: occorre cioè non solo avere una perfetta
zavorratura e un buon jacket che ci diano risposte pronte ai comandi di
variazione di quota, ma anche eliminare orpelli sporgenti dalla propria
sagoma, evitare di avere fra le mani oggetti voluminosi, tenere
l’equipaggiamento ben aderente in modo che nessuna sua componente faccia
da vela alla corrente. Raccomandazione principale è sempre e comunque
quella di procedere risalendo la corrente nella prima parte
dell’immersione, cioè all’andata, così da trovarsi col "vento" in poppa
all’atto del percorso di ritorno quando si è più stanchi. Accessorio che
in queste immersioni può rivelarsi davvero prezioso è la boetta
affusolata di segnalazione cui restiamo collegati con l’apposita sagola
e che può essere srotolata, gonfiata e spedita in superficie - nel caso
la corrente abbia avuto la meglio e ci abbia costretto ad andare un po’
alla deriva - per farci notare e tenere d’occhio dall’assistenza in
barca senza dover per forza emergere subito e al contempo senza
allontanarci dalla visuale della barca stessa.
Immersione in
parete e sulle secche
Attenzione alle modalità
di ancoraggio dell’imbarcazione! È questa la raccomandazione che
accomuna più di ogni altra queste due situazioni, obiettivamente tali da
richiedere una perizia da barcaiolo di consumata esperienza. Ciò
premesso, sull’immersione in parete c’è poco altro da dire e… molto da
fare! Anche in questo caso forti emozioni suscitate da scenari irreali,
tagli di luce e colori da vertigine, la possibilità di avere a portata
di mano in pochi metri di escursione batimetrica praticamente ogni tipo
di ambiente biologico, come visitando più palcoscenici uno sopra
l’altro. Richiede una perfetta padronanza dell’assetto e della
respirazione: non c’è il fondo sotto a portata di mano su cui
appoggiarsi! E d’altronde la sensazione visiva di sospensione nel vuoto
può distrarre dal rispetto della quota che ci si è imposti. Né ci si può
aggrappare alla parete stessa: a ogni contatto maldestro rovineremmo
decine di organismi viventi. Le secche in mare aperto, per la biologia e
l’osservazione naturalistica, costituiscono l’equivalente subacqueo
delle oasi nel deserto: su questi ambienti spettacolari è infatti
possibile ogni genere d’incontro, per la presenza molto ricca
dell’intera catena alimentare, quindi anche dei grandi pesci pelagici.
Come già accennato, spesso sulle secche ci imbattiamo contemporaneamente
nelle caratteristiche delle altre situazioni descritte: correnti e
pareti a strapiombo nel blu.
Immersione sui
relitti
Prima di tutto occorre dire con chiarezza che l’immersione sportiva
dovrebbe occuparsi esclusivamente della visita esterna ai relitti e
bandire, per ragioni di sicurezza perfino ovvie, qualunque penetrazione
all’interno di essi. Ma è esperienza comune che tali ragioni tanto ovvie
poi non lo siano, se è vero che di esplorazioni all’interno dei relitti
ne vengono fatte di continuo, spesso in modo davvero sconsiderato. Le
strutture interne di una nave affondata da anni e magari rimasta
appoggiata sul fondo in posizione diversa da quella dell’assetto di
navigazione non danno alcuna garanzia di solidità: è noto che possono
esserci strutture fatiscenti soggette a crolli o spostamenti improvvisi
per le sollecitazioni impresse dal passaggio dei sub, dall’aria che
liberano con i respiratori, da urti accidentali, eccetera. C’è poi il
rischio - forse ancora maggiore - di ferirsi o restare imbrigliati in
cavi o lamiere contorte, oppure di sollevare con le pinne la sospensione
depositata in basso, o di far cadere a pioggia quella presente ovunque
all’interno con le bolle d’aria emesse, creando all’improvviso una
cortina impenetrabile di nebbia, tale da nascondere ogni via d’uscita.
Per quanto riguarda invece la perlustrazione esterna al relitto,
assimilabile a quella di una secca, senz’altro priva di grossi
inconvenienti, siamo di fronte a immersioni ricche di un fascino strano
e molto intenso: trovarsi sott’acqua al cospetto della grande nave
affondata è già per tutti una situazione mozzafiato, per alcuni può
rivelarsi anche angosciante al punto da innescare fenomeni di
sollecitazione neuropsichica anomali. È nota una maggior frequenza di
episodi della cosiddetta narcosi durante immersioni intorno a relitti,
anche su profondità inferiori a quelle di solito a rischio per questo
incidente. Infine si dovrebbe preferire d’immergersi sui relitti solo in
condizioni di buona visibilità dell’acqua, in quanto tutto intorno
possono esserci reti da pesca di ogni tipo, magari perdute e ammatassate
lì da tempo. Il relitto costituisce infatti per la pesca da un lato un
rischio, ma dall’altro un’opportunità per l’azione di forte richiamo
faunistico e di colonizzazione da parte di specie ittiche che esercita
sui dintorni. Insomma, il relitto presenta esaltate tutte le
caratteristiche positive e negative delle altre immersioni particolari:
questa consapevolezza è il fattore che più di tutti ci permetterà di
divertirci senza correre inutili rischi
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