48. INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DELLE ATTIVITA' SUBACQUEE di Salvo Capodieci L'attività subacquea ha subito nell'arco degli anni una profonda trasformazione: da sport riservato a pochi esperti dotati di grandi capacità fisiche è diventata un'attività ludica di massa aperta ad un vastissimo pubblico. Questo cambiamento ha fatto sì che anche l’identità e il profilo psicologico del subacqueo d’oggi non corrispondono a quello di chi si dedicava alle immersioni fino a 25 anni fa. Il subacqueo, sia tecnico che ricreativo, fino agli anni ’60 e ’70, era nella maggior parte dei casi una persona con spiccate caratteristiche di individualismo tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello sportivo. La struttura di personalità era, infatti, più simile a quella dell’alpinista o del paracadutista nel senso di atleti che cercano di migliorare gradualmente le proprie capacità e di riuscire a superare i propri limiti tramite un training continuo e impegnativo. Le rivoluzionarie innovazioni tecnologiche hanno invece profondamente modificato l’immersione subacquea consentendo praticamente a tutte le persone – compresi i portatori di handicap – di effettuare delle piacevoli immersioni ricreative. L’andare sott’acqua si è man mano differenziato in una serie di ulteriori discipline sportive con numerose variabili, come riportato nella Tabella N. 1, e ha consentito anche la nascita di attività collaterali all’immersione (v. Tabella N. 2).
Specificità dell’attività subacquea Riporto alcune caratteristiche che ritengo possano differenziare l’immersione subacquea di tipo sportivo (anche tecnica) da altre discipline, facendone un’esperienza con una forte valenza emotiva oltre che una pratica sportiva: · è uno sport nel quale il principiante, pur non possedendo alcuna competenza specifica, può raggiungere i traguardi prefissati dall’istruttore in pochissimo tempo a differenza di altre attività dove occorrono anni di impegno per ottenere risultati importanti; · il raggiungimento degli obiettivi sottostà alla presenza di stress e di un particolare stato d’animo (apprensione, senso di panico) in maniera più significativa rispetto ad altre discipline sportive; · i fattori età, sesso e forza fisica sono del tutto relativi se raffrontati con l’importanza che assumono in altri sport, dove la competizione è l’elemento fondamentale; · l'elemento discriminante che fa sì che un sub possa diventare nel tempo un “esperto” è la cosiddetta "acquaticità". Con questo termine si intende una naturale confidenza che l’essere umano ha per l’acqua fin dalla nascita. E’ facile osservare come un bambino di pochi mesi si trovi perfettamente a suo agio nell'acqua da alcuni elementi che vanno dall’assoluta tranquillità e piacevolezza procurata dal trovarsi immerso in un liquido allo spontaneo "riflesso all'apnea" (interruzione volontaria della respirazione) attivato dal semplice contatto dell'acqua sul viso. Il timore che a volte alcuni bambini manifestano col passare del tempo è spesso il risultato riflesso delle paure degli adulti con cui i bambini si rapportano e, quindi, del mancato mantenimento della primitiva confidenza. · gli elementi di "piacevolezza" degli altri sport come la fatica, l'arrivare per primo, la tolleranza al dolore causato dalla tensione muscolare, non appartengono al subacqueo che, al contrario, deve stare attento a non fare eccessiva fatica, che se avverte dolori muscolari o se si accorge che l'impegno diventa un sacrificio eccessivo deve interrompere la sua attività sportiva, che deve vigilare e stare attento al compagno e rispettare il posto che la guida subacquea o l’istruttore gli hanno assegnato durante il briefing, che precede l’immersione (1).
La motivazione all’immersione subacquea La psicoanalisi e altre scienze psicologiche si interessano della motivazione. Ci si potrebbe chiedere: "Perché X è attirato dalla subacquea?" nei suoi diversi aspetti. E X potrebbe rispondere che si immerge "perché vuole vedere pesci interessanti e coralli colorati" oppure "con lo scopo di raggiungere dei cambiamenti", compreso il superare la paura.
E’ possibile
cercare di capire cosa spinge X a immergersi esplorando nel suo
inconscio, nella sua storia personale, andando indietro alla sua
infanzia e indagando nei suoi aspetti evolutivi. Parlando di motivazione all’attività subacquea è utile proporre un’altra importante considerazione, anche se solo teorica e di direzione opposta, che è la seguente. Prendiamo in esame un sommozzatore professionista, militare o civile, che si sia imbattuto casualmente in questo lavoro e di riscontrare, sulla base delle sue caratteristiche psicodinamiche, che non è adatto a questa professione. Nonostante porti a termine in modo soddisfacente il corso, non è contento del suo ambiente e l’accumulo di sofferenza gli causa abbattimento e lo rende in poco tempo inefficiente e stressato. In questo caso quali aspetti della personalità possono essere una controindicazione all’immersione subacquea e perché pur essendoci le capacità attitudinali di tipo fisico insorge insoddisfazione, stress e inefficienza? Non è facile dare una risposta a questo interrogativo, perché c’è ancora molto da studiare relativamente alla psicologia dell’attività subacquea. E’ possibile, comunque, applicare un più ampio sistema concettuale, come quello psicodinamico, agli aspetti che attualmente conosciamo e cercare di formulare delle ipotesi su cui costruire delle teorie scientifiche.
Sappiamo dagli studi della psicofisiologia che l’attivazione sottocorticale può essere modificata dallo stato delle funzioni cognitive. Infatti, in un sub che sta per compiere la sua immersione, il vissuto relativo alla situazione che sta per vivere concorrerà a determinare il grado di eccitamento sottocorticale; quest’ultimo agendo sul tono delle funzioni corporee influenzerà la prestazione stessa. L’emotional arousal è un fattore che influisce direttamente su attenzione, concentrazione e sulla performance. Esso può variare all’interno dei due poli di una curva gaussiana andando dal sonno profondo all’estrema eccitazione. Normalmente in ogni attività motoria si riscontra un livello di attivazione superiore a quello di riposo anche se non troppo alto. Polani (2) sottolinea come in attività dove sono richieste abilità di resistenza, forza e rapidità elevate, i livelli di arousal possono facilitare la prestazione (turismo subacqueo, fotografia subacquea, archeologia subacquea); dove, invece, compaiono compiti di coordinazione fini o aspetti che richiedono strategie decisionali complesse, come ad esempio un record di apnea, è richiesto un livello di arousal più modesto. E’ per questo che quando si parla di punto ottimale di attivazione, esso deve essere correlato al tipo di attività svolta (2). Nel rapporto arousal/prestazione influisce molto, infine, il livello di abilità del soggetto. Un soggetto esperto controllerà con maggiore facilità il suo stato di attivazione a differenza di un subacqueo inesperto o poco allenato. Il numero di chili utilizzati e la quantità di bar di aria residui, come sanno tutti i subacquei, sono un buon indicatore di questo rapporto. I pericoli più frequenti nell’attività subacquea sono dati dalla tensione emotiva che, se necessaria a livelli ottimali per la concentrazione necessaria, quando supera con un’impennata improvvisa il suo graduale andamento ascensionale (cosa che si verifica in particolar modo prima di una prestazione), rischia di diventare una tensione emotivamente incontrollabile, un’ansia patologica (2). Si può affermare che le migliori prestazioni subacquee dipendono da una situazione di reale equilibrio tra la calma e l’attività, che corrisponde ad un buon equilibrio neurovegetativo. Non bisogna scordare che più è complessa l’immersione che il sub intraprende, più rapida può essere la caduta della prestazione. La scrupolosa programmazione dell’immersione nella misura in cui consente al sub di immaginare in anticipo la prestazione che si sta predisponendo ad effettuare è una buona strategia per impedire che lo stato emotivo diventi eccessivo. Da quanto detto emerge l’importanza di effettuare sempre un buon "briefing" prima di ogni immersione.
L’importanza della respirazione Child e Norman nel 1978 affermavano: “I più diffusi problemi associati con tutti gli incidenti subacquei sono correlati alla respirazione e comprendono la mancanza di fiato, l’iperventilazione e la difficoltà a respirare. L’iperventilazione, che può essere avvertita al di sopra di ogni sistema d’allarme, è il più preciso indicatore - di cui disponiamo attualmente - di una potenziale situazione di pericolo” (3). Dopo circa 30 anni possiamo sostenere che l’uso del termine ‘iperventilazione’ non è corretto perché indica un eccessivo scambio di ossigeno e ossido di carbonio, cosa che difficilmente può avvenire sott’acqua per l’incrementata densità dei gas e l’aumentata resistenza delle vie aeree. Avvenimento che può invece verificarsi in superficie. L’iperventilazione, infine, può essere determinata solo con la misura dei gas nel sangue. Molto probabilmente gli autori con iperventilazione intendevano "tachipnea" (respirazione rapida) o "iperpnea" (respirazione più profonda). L’importanza del loro messaggio è il sottolineare che se si passa da una respirazione regolare ad una irregolare, accelerata o con altri cambiamenti nel suo normale pattern, si può incorrere in pericolose situazioni di apprensione. Fagraeus (4) sostiene che la combinazione di pressione, tipo di respirazione ed esercizio fisico in profondità espongono il subacqueo ad una combinazione di stress fisiologici che non ha eguali nella storia dell’attività umana, come si può vedere nella Tabella N. 3. Di conseguenza, tra tutti i compiti che si richiedono ad un subacqueo per riuscire ad adattarsi sott’acqua, il drastico cambiamento nel suo modo di respirare è senz’altro il più importante. Dalla respirazione nasale si passa a quella attraverso la bocca che, a causa del boccaglio dell’erogatore, presenta una moderata ostruzione nell’inspirazione e nell’espirazione. Il sub oltre all’erogatore ha anche una maschera che ricopre il viso, che non solo altera il pattern della respirazione, ma influenza anche le capacità di prestazione visiva.
Conclusioni La preparazione dell’equipaggiamento, il briefing, l’ultima verifica dell’attrezzatura, l’assenza di gravità, lo scendere nel "blu", la modificazioni dei colori, l’affidarsi al compagno e al gruppo, la continua verifica di se stessi, il sentire il proprio respiro, gli incontri con i pesci e le altre creature marine, la contemplazione dei fondali e delle pareti, la suggestione alla vista di un relitto, di un anfora o di una grotta, l’euforia per l’impresa compiuta, il parlare dopo il silenzio, … sono solo alcuni dei numerosi aspetti che caratterizzano la dimensione psicologica dell’immersione. Il comportamento dell’immergersi ha un grande significato simbolico. L’immersione può essere vista come "il ritorno nell’utero materno", un momento simbiotico nel quale il subacqueo si riunisce con il mare che ha sempre rappresentato la "grande madre" per l’arte e la psicoanalisi. Si può vedere la subacquea anche come un comportamento che richiama una sfida alla morte; in questo senso, la profondità del mare si presenta nella mitologia come luogo di pericolo e di mistero, un posto dove vivono mostri che inghiottono imbarcazioni. Gli aspetti presi in esame in questo articolo hanno importanti implicazioni: occorre sviluppare studi scientifici che, attraverso questionari sulla personalità e test proiettivi, valutino le differenze psicologiche e personologiche tra subacquei e non subacquei. I subacquei dovrebbero inoltre essere sottoposti a questi test anche sott’acqua per valutare se il trovarsi in profondità comporti dei cambiamenti sulla personalità di un individuo. Sarebbe interessante scoprire come e in che modo gli effetti benefici riferiti dai subacquei dopo un’immersione continuino anche dopo, durante la vita di tutti i giorni. Gli studi sugli aspetti psicodinamici della subacquea si trovano ancora in una fase pionieristica. E’ auspicabile, pertanto, che in futuro possano svilupparsi e fornire importanti contributi alla conoscenza dei meccanismi mentali che caratterizzano l’immersione subacquea e la personalità di chi la pratica.
Bibliografia 1. Capodieci S. (2006), Sulle tracce di Colapesce: psicodinamica dell’immersione subacquea. In G. Venza, S. Capodieci, M. L. Gargiulo e G. Lo Verso "Psicologia e psicodinamica dell’immersione subacquea", Franco Angeli, Milano. 2. Polani D. (1999), "Psicologia dell’immersione". Editoriale Olimpia, Firenze. 3. Childs C.M., Norman J.N. (1978), "Unexplaied loss of consciousness in divers" in "Medicine Aeronautique et Spatial, Medicine Subaquatique et Hyperbaric", 17, 127-128. 4. Fagraeus L. (1981), "Current concepts of dyspnea and ventilatory limitations to exercise at depth" in A.J. Bachrach and M.M. Matzen (Eds.), "Underwater Physiology VII". Bethesda, Maryland. Undersea Medical Society, 141-149.
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