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di Tecnica & Medicina

 

 

167. Parliamo ancora delle bombole…

 

Nella mia esperienza pratica mi sono reso conto che spesso i subacquei affrontano il problema dell’attrezzatura in maniera superficiale. La maggior parte di essi pensano che sia sufficiente noleggiare una bombola in un diving e mettere in bocca un erogatore per potersi immergere. Non si pongono assolutamente il problema di "che cosa" stanno utilizzando, e non pensano che dalla qualità e dall’efficienza dell’attrezzatura subacquea dipende la propria sicurezza  in immersione.
Per quanto riguarda le bombole si sa soltanto che contengono aria compressa e che possono essere di capacità diversa.... un pò troppo poco per un subacqueo consapevole. Infatti, una maggiore conoscenza delle caratteristiche di questi "contenitori" e di come devono essere trattati è sicuramente utile ai subacquei meno superficiali.
Navigando nel Web, ho trovato un articolo di Sergio Discepolo (*) sull’argomento, intitolato "Bombole per tutti i gusti…", pubblicato nel sito "Atmosphera"   (
http://sergiodiscepolo.altervista.org), che è veramente esaustivo e voglio riproporre qui di seguito.

 

(*) Sergio Discepolo, napoletano, classe ’54, laureato in Farmacia, con un passato da Marketing Manager nel settore farmaceutico, in seguito giornalista pubblicista e poi una vita dedicata al mare.
Reporter e fotografo subacqueo freelance, autore di articoli per numerose riviste italiane e straniere, nonchè dei manuali "Sott’acqua con il computer" (ed. Adventures, 1995) e "Guida all’attrezzatura subacquea" (Edizioni Olimpia, 2003), istruttore subacqueo, si avvale della collaborazione della compagna Manuela Bonacina, medico, istruttore subacqueo e coautrice di quasi tutti i suoi testi.

 

Bombole per tutti i gusti...

La bombola costituisce il “fulcro” di tutto il sistema ARA (Auto-Respiratore ad Aria). Senza di essa saremmo costretti a scendere sott’acqua portandoci appresso un contenitore di almeno 6 metri di circonferenza (con ovvi problemi di assetto e di idrodinamicità) o mantenendo un costante legame con la superficie sotto forma di una specie di cordone ombelicale, proprio come i palombari di una volta. La bombola, invece, ci consente di nuotare liberi come pesci in quanto capace di contenere adeguate quantità d’aria con un minimo ingombro.

Negli anni ’70, quando ho iniziato a immergermi, non c’erano tutti i diving che oggi costellano le nostre coste e chi voleva praticare l’attività subacquea con una certa continuità era costretto a dotarsi di una bombola (il tipo all’epoca più diffuso era il cosiddetto "bibo", formato da due bottiglie) che rappresentava, peraltro, la spesa preponderante di tutta l’attrezzatura.

Allora, oltretutto, non c’era la possibilità di scegliere tra la vasta gamma di modelli, diversi per forma, dimensioni, materiali e pressioni di carico come adesso, tutt’altro, era già considerato un bel lusso l’avere un bibombola 7+7 litri caricato a 150 atmosfere. 

Oggi una bombola, considerando l’adeguamento dei prezzi, costa molto meno di allora ma, dato che tutte le strutture in qualche modo connesse alla subacquea la mettono a disposizione della clientela e che in aereo risulta estremamente difficoltoso, oltre che costoso, imbarcarla, ecco che solo chi ama immergersi in completa autonomia deve necessariamente comperarne una.

E’ pur vero, però, che presso i diving è possibile trovare un solo modello di bombola (in Europa prevale il 15 litri in acciaio, mentre all’estero l’11 litri in alluminio) e spesso anche mono-attacco, allora ecco che vale comunque la pena di dare un’occhiata a quello che il mercato ci offre.

Tutte le bombole per immersioni sono costituite da due parti ben distinte: la bottiglia e la rubinetteria; alcune, inoltre, possono essere fornite di tutta una serie di accessori vari.

LE BOTTIGLIE

Le bottiglie non vengono prodotte autonomamente dalle singole aziende di attrezzature subacquee (le quali si limitano a distribuirle magari personalizzandole con rubinetteria, tipo e colore del rivestimento esterno ed accessori, oltre che con i propri marchi), bensì da poche grosse aziende specializzate nella produzione di contenitori per gas compressi di ogni genere.  Questo avviene fondamentalmente perché la tecnologia costruttiva è talmente sofisticata da richiedere investimenti così ingenti che il solo mercato della subacquea non basterebbe a coprire.

In Italia oltre il 90% delle bottiglie viene prodotto dalla Faber che, oltre 30 anni fa’, infranse il monopolio della Dalmine con un nuovo sistema di costruzione brevettato - l'imbutitura a freddo - in grado di portare la pressione di esercizio da 150 a 200 atmosfere, con un notevole incremento della capacità di stivaggio di gas e quindi, per quel che ci riguarda, dell’autonomia respiratoria.

L’imbutitura è il processo tecnologico attraverso il quale una lamiera viene deformata plasticamente fino a farle prendere una forma a scatola, a cilindro o a coppa.

Si tratta di un procedimento di deformazione a freddo, che non altera lo spessore della lamiera e consente di realizzare componenti metallici aventi cavità, come cilindri, calotte emisferiche, ma anche prodotti finiti come bombole, pentole o altri tipi di contenitori.

Il processo di imbutitura profonda dei metalli in fogli piani inizia facendo passare la lamiera tra il punzone e lo stampo, poi viene sottoposta alla forza deformante delle presse idrauliche: in questo modo, si ottiene la forma richiesta, senza la produzione di grinze sul materiale.

Salvo alcuni prototipi sperimentali realizzati (per impieghi speciali, quali ad esempio l’aeronautica) in acciaio inox o in fibre composite, tutte le bottiglie attualmente disponibili per apparati d’immersione denominati SCUBA, acronimo di (Self Contained Underwater Breathing Apparatus) sono fatte o in acciaio (una lega di acciaio al cromo-molibdeno) generalmente con il fondo sferico, che quindi necessitano di un fondello per rimanere in piedi, o in alluminio (lega di alluminio con magnesio, fosforo, silicio e manganese) a fondo piatto.

DIMENSIONI E CAPACITA’ DELLE BOTTIGLIE

Attualmente sono disponibili vari modelli di bottiglia caratterizzati da diverse capacità e dimensioni, adattabili quindi sia alle caratteristiche fisiche di una persona che alle sue necessità subacquee: i modelli da 2, 5 e 7 litri possono essere destinati all’uso di emergenza (cd. "pony bottle"), per le tappe di deco o per scopi particolari quali la pulizia della carena di una barca o il recupero di un ancorotto incastrato, il 10 litri è adattissimo per le scuole ed in piscina perché leggero e maneggevole, il 12 litri può essere utilizzato in immersioni facili e poco impegnative, mentre per quelle che prevedono un maggior grado di difficoltà è meglio indossare un 15 litri.
Il 18 litri è molto pesante, ma può risultare adatto per le persone di grossa taglia (che possono così anche indossare meno zavorra) e/o dagli elevati consumi ed infine per usi particolari.

In genere di carattere professionale o in immersioni "tecniche" possono essere assemblati gruppi a due (bibo), tre o più bombole anche di capacità differente (7+7, 8,5+8,5, 10+10, 12+12, 15+15, ecc.) magari raccolti in una custodia di vetroresina in modo da rendere il sistema più compatto e dargli un profilo più idrodinamico.

Il modello da 12 litri è disponibile anche in forme differenti, potendo essere corto e tozzo o lungo e sottile, andando così incontro anche a diverse necessità di corporatura.

    

I sistemi di misura della capacità delle bottiglie più diffusi sono due, quello imperiale britannico (piede cubo) e quello europeo (litro). Il piede cubo (che equivale a circa 28,31 litri) esprime il volume che l’aria sotto pressione occuperebbe se fosse libera di espandersi a livello del mare e le bottiglie (in genere d’alluminio) più comuni per l’immersione ricreativa sono quelle da 80 piedi cubi.

Con il sistema di misura europeo, invece, la capacità delle bottiglie viene espressa in litri e corrisponde al volume interno. Moltiplicando questo volume per la pressione di esercizio della bombola (in genere 200 atmosfere) si può facilmente determinare la quantità d’aria disponibile: ad esempio, un 15 lt. d’acciaio caricato a 200 atm. ne contiene circa 3000 litri, mentre una bombola d’alluminio di 80 piedi cubi caricata a 3000 psi corrisponde a poco più di 11 lt. e contiene quindi circa 2300 litri.

Anche per la misurazione della pressione i sistemi più utilizzati sono due: il psi (acronimo di pound per square inch) locuzione inglese che significa libbre per pollice quadrato, è l’unità di misura nel sistema consuetudinario anglosassone, mentre noi utilizziamo più spesso il termine atmosfera (atm), approssimativamente pari alla pressione esercitata dall’atmosfera terrestre al livello del mare.     Conversione: 1 psi = 0,06805 atm      1 atm = 14,22 psi

PESO

Una bombola da 10 litri in acciaio pesa mediamente poco meno di 11 kg. mentre una di alluminio di capacità corrispondente ne pesa quasi tredici.

Questa notevole differenza deriva dal fatto che l’alluminio possiede una minor resistenza meccanica rispetto all’acciaio (è più "tenero") e quindi la bombola deve avere pareti e fondo più spessi (circa 12 e 18 mm. rispettivamente, contro i circa 5 mm. di quelle in acciaio) per poter sopportare le stesse sollecitazioni di pressione.

Ciò potrebbe far pensare che, essendo più pesante, con una bombola in alluminio sia sufficiente meno zavorra in acqua, ma purtroppo invece avviene l’esatto contrario.

L’alluminio, infatti, ha un peso specifico (Ps) di gran lunga inferiore a quello dell’acciaio ed in acqua, quindi, possiede una maggior galleggiabilità (Acciaio Ps=7,85 kg/dm3 Alluminio Ps=2,60 kg/dm3). Pertanto, a parità di capacità, la bombola d’alluminio necessita di 1,5-2,5 kg. di zavorra in più.

 

ACCIAIO O ALLUMINIO?

Entrambi i materiali posseggono pregi e difetti così che non è possibile dichiarare quale dei due sia in assoluto migliore dell’altro. La scelta, in questo caso, va fatta prendendo in considerazione anche altri fattori, come ad esempio il tipo di utilizzo che se ne intende fare.

Nella tabella qui a fianco vengono riassunte le caratteristiche principali dei due metalli.

I RIVESTIMENTI E GLI ACCESSORI

Le bottiglie in acciaio, per essere preservate dalla corrosione, necessitano di rivestimenti. Generalmente, quindi, vengono zincate ed infine verniciate esternamente con processi particolari per ancorare opportunamente la vernice alla superficie.

Sino ai primi anni ‘70 era prassi comune rivestire anche l’interno della bombola, ma attualmente questo procedimento non è più in uso in quanto esso impedisce un’efficace ispezione visiva: una corrosione anche molto estesa, infatti, poteva essere nascosta dalla pellicola protettiva.

Le bottiglie in alluminio non necessitano di alcun rivestimento in quanto il sottile ed opaco strato di ossido blocca il progredire della corrosione; non di meno spesso vengono verniciate per motivi estetici.

Unica precauzione da prendere nel corso della verniciatura è quella di effettuarla a freddo: un eccessivo calore, infatti, potrebbe danneggiare la resistenza dei materiali.

Le bottiglie vengono verniciate esternamente con colori diversi anche come contrassegno della specifica miscela di gas che contengono, onde evitare inavvertiti e pericolosi scambi.

Le bombole, infine, possono essere dotate di vari accessori, come fondelli (anche forniti di ruote), retine copri bottiglia variamente colorate ed a maglie più o meno larghe per proteggere la vernice, maniglie e/o altri sistemi di sollevamento e trasporto.

 

ACCIAIO E ALLUMINIO: CURA E MANUTENZIONE

Due sono le principali precauzioni da adottare per far sì che una bombola possa durare molti anni in condizioni di perfetta sicurezza:

  • evitare colpi che possano danneggiare all’esterno bombola e rubinetteria.
  • evitare la formazione di umidità all’interno.

I danni dovuti a cadute accidentali possono indebolire il metallo al punto da non essere più in grado di reggere le elevate sollecitazioni pressorie cui è sottoposto; l’alluminio (così come anche le rubinetterie, in quanto di ottone), essendo un po’ meno robusto dell’acciaio, è più sensibile agli urti, quindi necessita di ancor maggiore attenzione.

Sembra incredibile per un oggetto destinato all’uso in acqua, ma il pericolo principale è proprio l’umidità, in quanto agisce come catalizzatore nel processo di ossidazione ed il sale, in quanto igroscopico (attrae l’umidità), peggiora la situazione.

Nelle bombole d’acciaio la ruggine (ossido di ferro) è un vero problema: quella che si forma all’esterno è facilmente aggredibile perché ben in vista (attenzione però alle parti nascoste dal fondello, dove spesso l’acqua ristagna) e non può corrodere in profondità, mentre quella al suo interno è particolarmente dannosa, sia perché nascosta, sia perché è a contatto con l’aria sotto pressione e quindi ad elevate quantità di ossigeno, il principale responsabile del fenomeno ossidativo.

Anche l’alluminio è soggetto ad ossidazione ma in questo caso, a differenza della ruggine che scava in profondità, il sottile strato di ossido che si forma in superficie inibisce l’ulteriore corrosione, aumentandone la durata. Ecco perché in ambienti molto umidi come le imbarcazioni da crociera o per usi molto frequenti come quelli che avvengono nelle aree tropicali, dove le bombole entrano in acqua anche tre o quattro volte al giorno per quasi tutto l’anno, sono più diffuse le bombole di alluminio.

L’ossido d’alluminio si presenta sotto forma di fine polvere bianca; se se ne forma una certa quantità all’interno della bottiglia, in determinate condizioni, magari a causa degli urti che la “scrostino” continuamente dalle pareti, questa potrebbe intasare il filtro sinterizzato del primo stadio dell’erogatore, determinando un blocco più o meno parziale al passaggio dell’aria.

Come fare per evitare, o almeno limitare la formazione di ossido all’interno della bombola?

  • caricarla con compressori che abbiano i filtri in perfetta efficienza, controllando che al momento della ricarica non vi sia acqua rimasta intrappolata nella rubinetteria, che possa essere forzata all’interno;
  • non scaricarla troppo rapidamente, come accade ad esempio per asciugare il tappo dell’erogatore, il materiale fotografico o altri elementi dell’attrezzatura, poiché questo determina la formazione di condensa al suo interno (le bombole, così come quando vengono caricate si surriscaldano, per lo stesso fenomeno fisico, quando si scaricano rapidamente, si raffreddano formando goccioline d’acqua);
  • non lasciare la bombola completamente scarica per periodi più o meno lunghi: ciò può comportare l’ingresso di umidità all’interno;
  • essa non va però neanche conservata piena, ma con solo pochi bar di pressione (una ventina sono più che sufficienti), onde evitare che le grandi quantità di ossigeno presenti possano intensificare il processo di formazione dell’ossido e che la costante presenza di elevate pressioni “snervi” inutilmente la resistenza del metallo;
  • stivare le bombole in posizione verticale così che l’eventuale presenza di umidità all’interno si concentri sul fondo, dove i danni possono essere più facilmente rilevati e quindi opportunamente eliminati.

L’ISPEZIONE VISIVA

Proprio per evitare che la concomitante presenza di acqua e ossigeno all’interno possano provocare notevoli danni perché prolungati nel tempo, è bene sottoporre la bombola ad un controllo, una volta all’anno, prima di riporla a fine stagione.

L’ispezione visiva, che va sempre effettuata da esperti, consiste nel rimuovere sia la rubinetteria che i vari accessori, fondello compreso, lasciando così la bottiglia completamente visibile sia all’esterno, dove verranno controllati eventuali danni susseguenti ad urti, abrasioni e corrosione, sia l’interno, opportunamente illuminato con un particolare sistema di luci; infine viene controllata, ripulita e lubrificata anche la rubinetteria.

Estese corrosioni verranno eliminate con la sabbiatura o la barilatura (entrambi sistemi di abrasione dell’ossidazione), mentre i danni di lieve entità spesso è meglio non trattarli, in quanto il procedimento di rimozione potrebbe indebolire il recipiente più dell’ossido stesso.

In caso di danni notevoli è necessario sottoporre la bottiglia a collaudo anche prima della scadenza dei termini prefissati, per essere sicuri di poter disporre di una bombola in perfetto stato di efficienza.

Occorre far presente che lo scoppio di una bombola subacquea può essere devastante: la forza d’urto corrisponde a circa 200 kg. per centimetro quadro.

IL COLLAUDO

Secondo la legge dopo 4 anni dalla data di prima omologazione (non dalla data di acquisto!), bisogna sottoporre la bottiglia ad un nuovo collaudo, che non potrà essere eseguito in mancanza dei relativi documenti.

Tutti i collaudi successivi andranno poi regolarmente effettuati non più ogni 4 bensì ogni 2 anni.

 

Questa verifica, nota anche come "test idrostatico", consiste nel riempire d’acqua la bombola (priva della sua rubinetteria) e sistemarla in una camera piena d’acqua ad alta pressione.
In seguito la pressione all’interno della bombola viene aumentata fino ad un valore pari ai 5/3 della sua massima pressione d’esercizio; ciò fa sì che la bombola si espanda leggermente, spostando l’acqua che la circonda,  e tale spostamento viene opportunamente misurato.

Se l’espansione della bombola rientra nei limiti previsti (cioè se è minimo e quindi il materiale della bottiglia risulta robusto ed in buone condizioni), essa supera la prova, altrimenti verrà scartata e restituita in condizioni da non poter più essere utilizzata, poiché le viene praticato un foro.

Superata invece la prova, la bombola viene pulita, asciugata e le vengono stampigliate la data del collaudo e la sigla del Paese nel quale questo è avvenuto; negli Stati Uniti, al posto di quest’ultima sigla, vi saranno le iniziali del funzionario federale che ha eseguito il test.

In Italia il collaudo viene effettuato non più dall’ANCC (Associazione Nazionale Controllo Combustione), ma a cura degli ispettori dell’ISPSEL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) o della MCTC (Motorizzazione Civile e Trasporti in Concessione).

Le notizie inerenti le caratteristiche delle bombole sono, comunque, stampigliate sul collo e descritte, ancor più estesamente, nei documenti di collaudo della bottiglia, necessari ai fini dei collaudi successivi.

UN CODICE SEGRETO ?
 

Nascosti dalla retina di protezione che spesso ricopre la bombola, i segni stampigliati sulla bottiglia contengono importanti informazioni.

È importante conoscerne il significato al fine di non commettere errori in fase di assemblaggio del rubinetto o di ricarica che potrebbero provocare spiacevoli incidenti.

 

Si tratta sostanzialmente di numeri, marchi, simboli e sigle che sono completamente diversi tra quelli presenti sul collo delle bottiglie distribuite in Europa e quelle distribuite nel Nord America, tanto da sembrare un vero e proprio codice segreto non di dominio pubblico.

Il tutto è complicato dalla presenza di bombole vecchie che riportano stampigliature secondo la precedente normativa e bombole nuove con la punzonatura dell’attuale direttiva europea (97/23/EC Pressure Equipment Directive).

Per chi fosse interessato, ecco qui sotto la traduzione delle stampigliature:

Inoltre, per le bombole costruite in America ci sono alcuni punti da specificare:

  • Le sigle DOT/CTC si riferiscono alle iniziali del Dipartimento Statunitense dei Trasporti ed alla Commissione per i Trasporti Canadese. Alcune bombole meno moderne potrebbero riportare invece la sigla ICC (Commissione per il Commercio Interstatale).
  • Il tipo di metallo è contraddistinto con la sigla 3AL per l’alluminio, 3A per l’acciaio in carbonio (ormai non più in uso) 3AA per l’acciaio al cromo-molibdeno.
  • La pressione di esercizio per le bombole in acciaio risulta essere 2250 psi. La presenza del segno + accanto a tale cifra indica che è possibile ricaricare la bombola al 10% in più rispetto alla pressione riportata.
  • Oltre alle iniziali PST (Pressed Steel Company), le sigle più comuni dei produttori sono Luxfer e Kidde; inoltre le bombole più nuove possono riportare non il nome bensì il numero di identificazione del fabbricante.

Ed ecco invece di seguito le punzonature dell’attuale direttiva in Italia:

 

 

VARI TIPI DI GAS


Le bombole sono quindi da sempre croce e delizia del subacqueo… pesano, hanno costi esorbitanti, richiedono un’accurata manutenzione, montano diversi tipi di rubinetto (come vedremo in seguito) e cambiano in continuazione colorazione e normative per i collaudi…

Per la preparazione di miscele respiratorie adatte al proprio profilo d’immersione il subacqueo oggigiorno si ritrova non di rado a trafficare con vari tipi di gas quali Ossigeno, Azoto, Argon ed Elio, oltre ovviamente alla vecchia, ma ancora più diffusa Aria.

La ricarica fai da te di miscele binarie (Nitrox) e Ternarie (Trimix) è infatti sempre più utilizzata non solo da chi effettua immersioni tecniche, ma anche da chi semplicemente desidera aumentare i propri margini di sicurezza nelle immersioni ricreative.

CODICI DI COLORE
 

Le bombole contenenti gas, sia per uso respiratorio che industriale, riportano una punzonatura sull’ogiva che ne identifica il contenuto, che è inoltre indicato mediante un preciso codice colore riportato sull’ogiva della bombola stessa.
Con Decreto 7 gennaio 1999 il Ministero dei Trasporti, ravvisando l’opportunità di uniformare le colorazioni distintive delle bombole nei Paesi CE, ha disposto l’applicazione della nuova norma UNI EN 1089-3 che prevede un sistema di identificazione delle bombole con codici di colore delle ogive.

Il nuovo sistema di identificazione è divenuto obbligatorio per le bombole nuove dal 10 agosto 1999, ma fino al 30 giugno del 2006 è stato ammesso l’uso del vecchio sistema di colorazione.

La codifica dei colori riguarda solo l’ogiva delle bombole, in generale il corpo della bombola può essere dipinto di qualsiasi colore che non comporti il pericolo di erronee interpretazioni.
Da notare che per l’uso subacqueo vale la colorazione per le miscele ad uso respiratorio (ricordiamo che l’aria è comunque considerata una miscela di azoto/ossigeno). Attenzione però, mentre per le miscele binarie elio/ossigeno (Eliox) è prevista una specifica colorazione, nulla è sancito per le miscele respiratorie ternarie (Trimix).

Ricordiamo comunque che ogni bombola contenente miscele diverse dall’aria va sempre contrassegnata in modo da indicarne il contenuto e la quota (profondità massima o minima) alla quale la miscela contenuta può essere respirata senza causare problemi.

Qui a fianco ci sono le tabelle codici colori per i gas più diffusi.

 

MODELLI DI BOMBOLE SPECIALI


Per ovviare ai vari inconvenienti dei materiali attualmente in uso, sono state progettate bottiglie in acciaio inox, più pesanti delle attuali ma con minor galleggiabilità, o con l’anima di metallo rivestita da fibre di vetro o grafite, che viceversa risulterebbe leggera da trasportare, compatta e resistente alle alte pressioni; quest’ultimo tipo di bottiglia è stata già collaudata in campo aerospaziale ma, per gli elevati costi, non è stato ancora possibile diffondere nessuna delle due presso i subacquei sportivi.

Sono stati inoltre più volte proposti modelli in grado di sopportare pressioni di esercizio maggiori (250 o anche 300 atmosfere) rispetto a quelli standard, così da poter avere a disposizione più gas in uno stesso volume, ma non hanno ottenuto un grosso successo di mercato a causa fondamentalmente di tre problematiche:

·       I compressori per la ricarica delle bombole sono tarati per "staccare" una volta raggiunta una determinata pressione (generalmente 210-225 atm), sia per motivi pratici (automazione) che di sicurezza (una dimenticanza non comporta situazioni a rischio). E' pur vero che non è difficile variare questi valori di taratura, ma nessuna stazione di ricarica si prenderebbe volentieri la briga di effettuare questa operazione per caricare solo una o due bombole, per poi risistemare il tutto e tornare a caricare le ben più diffuse bombole "normali".

·       L’aria è comprimibile, ma non all’infinito, e come tutte le sostanze di per sé ha comunque un certo ingombro per cui, così come diventa sempre più difficile introdurre oggetti in una valigia man mano che essa si va riempiendo, lo stesso capita con l’aria nelle bombole. In effetti, se è vero che un mono da 10 lt. caricato a 200 atm contiene 2000 lt d’aria, nella stessa bombola caricata a 300 atm non ve ne troveremo 3000 lt bensì solo 2727. Questo perché a pressioni superiori alle 200 atm occorre introdurre un fattore "N" di correzione (il cui valore per le pressioni intorno alle 300 atm. è di 1.1) per il quale dividere il risultato precedente.

·       Anche gli erogatori sono tarati per poter "lavorare" entro un certo range di pressioni, per cui potrebbe essere necessario far ritarare il nostro primo stadio nel caso volessimo collegarlo ad una bombola capace di erogare pressioni di 250 atm o più, altrimenti potrebbe andare in erogazione continua.

Queste motivazioni, pur non costituendo di per sé ostacoli insormontabili, e il maggior costo d’acquisto, hanno peraltro decretato finora la ridotta diffusione di questo tipo di modelli.

 

LE RUBINETTERIE

La rubinetteria di una bombola subacquea è un semplice meccanismo apri-chiudi, detto "valvola K", ad alberini o a sfere rotanti, che consente di collegare la bombola all’erogatore o al compressore per la ricarica. Generalmente fabbricate in ottone cromato, all’estremità che si avvita sul collo della bottiglia è situato un tubicino (di metallo o plastica) in grado di "pescare" l’aria senza che umidità, contaminanti o eventuali corpi estranei come ruggine o ossido possano, attraverso il rubinetto, passare nell’erogatore e/o bloccare il flusso d’aria, anche a bombola rovesciata.

All’interno della rubinetteria è inoltre presente un meccanismo di sicurezza detto "disco antiscoppio" che consiste in un disco di rame opportunamente tarato; se la pressione all’interno della bombola sale oltre il 140% rispetto a quella di esercizio, il disco si rompe, permettendo all’aria di fuoriuscire attraverso la presa di scarico.  Nelle rubinetterie più recenti, lo scarico dell’aria, in questi casi, è bidirezionale, così che la bombola non vada in rotazione a causa dell’elevata pressione che esce.

Vi sono vari tipi di rubinetterie, per mono o bibombola, ad un solo attacco o con due, fisse o rotanti, con o senza il meccanismo per la riserva. Quest’ultimo tipo, detto "valvola J", utilizzato fino a qualche decennio fa, è un meccanismo che, tramite un sistema tarato, occlude progressivamente il passaggio dell’aria dalla bombola all’erogatore quando la pressione interna scende oltre un certo limite (generalmente la taratura va da 30 a 50 atm). Ciò metteva sull’avviso il subacqueo, in assenza del ben più comodo manometro, della sua "entrata in riserva". Per ricevere ulteriore aria, bastava tirare l’apposita astina di ferro per aprire la riserva e permettere l’erogazione dell’aria residua.

L’avvento dei manometri ha reso obsoleto questo sistema non scevro da inconvenienti anche pericolosi, in quanto poteva accadere di ricaricare la bombola con la riserva chiusa o di entrare in acqua con la riserva già aperta, entrambi casi in cui il subacqueo si poteva ritrovare con l’aria esaurita senza alcun preavviso.

Nel caso dei monobombola, la rubinetteria presenta un unico attacco filettato, a tronco conico, che va avvitato sul collo della bottiglia ed uno o due ugelli per il collegamento di un "octopus" o di due primi stadi.

La possibilità di avere due attacchi indipendenti per due erogatori è un sistema di sicurezza in più che permette, all’occorrenza, di escludere l’erogatore principale e poter tranquillamente utilizzare quello secondario.

Vi sono invece due sistemi per raccordare le bottiglie di un bibo: o con due attacchi tronco conici da avvitare sulle bottiglie, collegati con un unico rubinetto al centro (sistema che non può poi essere ovviamente utilizzato per un mono, ma ha il vantaggio di fornire una maggior stabilità al bibo), oppure con  una staffa di raccordo che collega due semplici rubinetti mono dotata di un rubinetto separatore centrale (il "manifold"). In questo secondo caso, all’occorrenza, si può sconnettere il gruppo ed utilizzare singolarmente le due bombole.

Il tipo di attacco all’erogatore più diffuso in Italia è il sistema INT, che si avvale di una staffa ("brida"), ma sempre più spesso, soprattutto all’estero, capita di trovare il sistema DIN, filettato 5/8, che si avvita direttamente all’ugello ed è pèiù sicuro in quanto l'O-ring di tenuta essendo all'interno non può essere estruso.

Per entrambi esistono raccordi (adattatori) in grado di trasformare rapidamente, all’occorrenza, un sistema nell’altro.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole miglioramento tecnologico delle rubinetterie ed oggi possiamo scegliere tra manopole ergonomiche, più facili da utilizzare anche con i guanti, bocchette d’attacco agli erogatori disassate, così da poter montare più agevolmente i primi stadi, o addirittura girevoli in modo da poter essere orientate in qualsiasi direzione.

 

   

MONO O BI-ATTACCO?

Fino a qualche anno fa era "regola" che la bombola avesse la rubinetteria bi-attacco in modo da supportare due distinti primi stadi, per maggior sicurezza.

Oggigiorno la tecnologia degli erogatori è ormai così avanzata e le regolamentazioni CE così severe che in pratica ogni erogatore è a prova di rottura (sistema Fail- Safe).

Ciò ha reso ormai superfluo, per normali immersioni a carattere ricreativo, possedere due primi stadi, tant’è che un numero sempre crescente di subacquei impiega il ben più pratico sistema "octopus" (minor costo d’acquisto, maggior facilità di montaggio, minor peso ed ingombro nel trasporto) e quindi anche nei diving, soprattutto all’estero, è sempre più facile trovare rubinetterie di tipo mono-attacco, economicamente più convenienti e che necessitano di minore manutenzione .

In questi casi, coloro che non vogliono rinunciare al primo stadio supplementare, possono dotarsi di uno "sdoppiatore", facilmente reperibile nei negozi specializzati.

Tuttavia, come ad esempio accade per le immersioni definite "tecniche", è spesso indispensabile poter usufruire di rubinetteria bi-attacco sia per supportare le necessarie attrezzature, sia per poter meglio affrontare un’eventuale situazione di emergenza.

MANUTENZIONE

La rubinetteria, essendo sottoposta a continue operazioni di apri/chiudi e risentendo anch’essa delle incrostazioni di sale, necessita periodicamente di ingrassaggio per evitare che il meccanismo si blocchi.

E’ inoltre importante lubrificare e controllare la rubinetteria rimuovendola dalla sua connessione con la bombola una volta l’anno poiché metalli diversi (ottone della rubinetteria e acciaio o alluminio della bottiglia), in ambiente umido, sono soggetti all’azione galvanica che causa deterioramento di uno dei due metalli.

La corrosione galvanica è il processo, denominato anche "elettrolisi", che causa la parziale dissoluzione del "meno nobile" dei due metalli che vengono a contatto attraverso una soluzione elettrolitica (acqua marina). Nel nostro caso i metalli in contatto sono quello della bombola (acciaio o alluminio) e quello della rubinetteria (generalmente ottone cromato). Questo fenomeno porta alla possibilità che vi sia nel tempo un deterioramento del metallo della bombola con formazione di piccole cavità o scomparsa di parte dei filetti della bombola stessa. Il fenomeno può essere riscontrato più facilmente nelle bombole in alluminio che in quelle in acciaio.

Prima di riassemblare bombola e rubinetteria è necessario sostituire l’O-ring di tenuta tra le due parti.

Particolare attenzione, nelle operazioni di trasporto, va posta proprio alla rubinetteria che essendo costituita in ottone, materiale decisamente più "morbido" dell’acciaio, in caso di urti può deformarsi, rendendo poi difficoltoso l’aggancio con la staffa dell’erogatore.

E’ superfluo aggiungere che l’O-ring di attacco al primo stadio dell’erogatore va sostituito frequentemente senza aspettare che esso sia logoro e va controllato attentamente prima di ogni immersione.

ATTENZIONE ALLA FILETTATURA!

In passato si sono verificati alcuni gravi incidenti a causa del montaggio di una rubinetteria nuova su di una bombola vecchia. Questo problema è stato causato dalla diversa filettatura tra la bombola e la rubinetteria, ma andiamo con ordine…

La filettatura che si affermò e si diffuse maggiormente sul mercato italiano fino alla fine degli anni '80 fu quella denominata "3/4 di pollice Gas cilindrica" (anche se sul mercato si trovavano parecchie rubinetterie con filettature diverse), poi progressivamente sostituita dall’attuale M25x2.

La vecchia rubinetteria 3/4Gas cilindrica e la nuova M25x2 sono sì diverse, ma non tanto da evitare pasticci e incidenti. La prima ha infatti un diametro della filettatura leggermente superiore, cioè di 26.4 mm, la seconda di 25 mm, mentre il passo è nel primo caso di 1.81 mm e di 2 mm nel secondo. In pratica, mentre non è possibile montare una vecchia rubinetteria su una nuova bombola, è possibile fare il contrario, sia pure con giochi della rubinetteria che dovrebbero mettere in allarme e con un certo sforzo nella fase finale dell’avvitamento.

In pratica, la rubinetteria sembra ben fissata e può anche resistere a qualche ricarica, ma la tenuta meccanica è compromessa e la rubinetteria rischia di essere sparata via in qualunque momento.
Non sempre chi va sott’acqua si rende conto dell’enorme pressione esistente all’interno delle bombole: 200 atmosfere corrispondono alla pressione esistente alla quota abissale di 2000 metri e rappresentano circa 100 volte la pressione di gonfiaggio di un pneumatico d’automobile. Si può quindi solo immaginare con che spaventosa forza venga proiettata una rubinetteria "sbagliata" e che razza di danni possa provocare.

Ma perché mai un subacqueo dovrebbe cambiare rubinetteria?

Le circostanze sono fondamentalmente due, la manutenzione del parco bombole di un circolo subacqueo o di un diving, nei quali non sempre chi si occupa del rimontaggio è un tecnico, e la recente abitudine di adattare personalmente le attrezzature per la subacquea tecnica. Occorrono dei bi-bombola, attrezzi ormai usciti dal mercato della subacquea ricreativa, ma ancora presenti nei depositi di negozi, club, diving, nelle cantine o nei box, bombole talvolta in ottimo stato, che dopo la revisione possono ancora funzionare egregiamente per vari anni. Quasi sempre la rubinetteria viene sostituita con una nuova, munita di rubinetto separatore centrale, come richiesto dalle didattiche tek. Ma quanti subacquei sono realmente informati del cambio di filettature e dell’incompatibilità di quelle nuove con le vecchie bombole?

Da anni si sentiva la necessità di uniformare il filetto delle bombole subacquee ad un unico passo al fine di evitare errori nell’assemblaggio dei rubinetti. Questo è finalmente accaduto, grazie ad una precisa normativa comunitaria (UNI EN 144-1:2000) che però risolto ha previsto la totale scomparsa delle bombole con il vecchio filetto ¾ GAS in un periodo di transizione che non poteva andare oltre il 2010. Ciononostante qualche vecchia bombola è ancora in giro ed il pericolo non è ancora del tutto scomparso.

L’unico modo per ovviare a questo inconveniente, per gli amanti del "fai da te" è quello di numerare bottiglie e rubinetti in modo che, nella fase di rimontaggio non si possano scambiare tra loro.

RIPARAZIONI

Non è particolarmente complicato riparare una rubinetteria purché si abbiano i relativi ricambi (ogni tipo di rubinetteria possiede un suo particolare kit non compatibile con le altre) e si abbia l’accortezza di svuotare completamente la bombola prima di procedere allo smontaggio.

I pezzi che più frequentemente si logorano, oltre agli O-ring di tenuta, che vanno comunque sempre sostituiti quando si smonta una rubinetteria, sono:

  • la pasticca di tenuta dell’aria, la cui anima di teflon, battendo su di un’apertura tronco-conica, a lungo andare si usura,
  • l’alberino che la guida, il quale, se viene continuamente forzato nelle manovre di chiusura ed apertura dell’aria, si deforma,
  • la manopola che, essendo in plastica o in gomma, si spana facilmente.

IL GRUPPO ARA: PROBLEMI IN IMMERSIONE

Sott’acqua oltre all’evenienza dell’esaurimento dell’aria dovuta all’errore di non aver man mano verificato il proprio consumo attraverso il controllo del manometro, si possono presentare alcuni inconvenienti collegati all’impiego della bombola.

Nessuno di questi, tuttavia, si tramuterà in una situazione di reale pericolo purché si mantenga la calma, si siano utilizzate le attrezzature standard consigliate da tutte le didattiche e si applichi correttamente il sistema di coppia.

Il fenomeno più frequente, anche se abbastanza raro, è quello dello "sgancio della bombola" dallo schienalino del GAV; questo accade quando il fascione non è stato ben stretto e non si è provveduto ad un controllo prima dell’ingresso in acqua così che pian piano, nel corso dell’immersione, la bombola scivola via dal suo supporto e ci penzola alle spalle, trattenuta al sub soltanto tramite le fruste.

Sebbene sicuramente scomoda, questa tuttavia non è certamente una situazione di grave emergenza, poiché non è poi un’operazione così difficile, con l’aiuto del compagno, risistemare il tutto e continuare tranquillamente l’immersione.

Anche un eventuale "impigliamento della rubinetteria" in lenze, cime o reti sommerse non è una circostanza frequente e anch’essa può essere facilmente risolta purché si mantenga la calma; tutte le didattiche, infatti, durante il corso iniziale, prevedono la simulazione in acqua delle operazioni di vestizione/svestizione del gruppo ARA, per cui se questa evenienza dovesse poi presentarsi, anche i neofiti, magari con l’aiuto del compagno o della guida, sapranno trarsi d’impaccio.

Ancor più rara sott'acqua, poi, è l’eventualità dello "scoppio dell’O-ring" di tenuta tra l’ugello della rubinetteria e il primo stadio dell’erogatore.

Sebbene questa sia una situazione che si presenta abbastanza di frequente fuori dall’acqua (tanto che durante gli spostamenti in barca è buona norma tenere la bombola chiusa ma con il gruppo in pressione proprio per evitare di perdere gran parte dell’aria in essa contenuta), in immersione invece ci è capitato di assistervi una volta soltanto, su ben oltre tremila immersioni effettuate (e se consideriamo che mediamente in acqua vi sono gruppi di otto subacquei, una su circa 24.000 casi non può certo essere definita una situazione frequente).

In questo caso, però, sarà necessario interrompere l’immersione e riguadagnare nel più breve tempo possibile (compatibilmente con le procedure di sicurezza) la superficie poiché, se pur dotati di doppia rubinetteria e di due erogatori indipendenti, si sarà comunque persa gran parte dell’aria disponibile ed inoltre non è mai consigliabile continuare l’immersione con un solo erogatore a disposizione.

Altra singolare evenienza è il "blocco del I° stadio" dovuta all’accumulo di ossido di alluminio sul filtro sinterizzato.

Perché ciò avvenga, infatti, sono necessarie una serie di circostanze concomitanti:

·           l’impiego di una bottiglia in alluminio scarsamente manutenzionata e pertanto piena di ossido,

·           la mancanza del tubicino di pescaggio nella rubinetteria,

·           l’utilizzo di rubinetteria mono-attacco e quindi di un "octopus",

·           il filtro sinterizzato dell’erogatore di tipo piatto e non conico.

Poiché, se pur ciò dovesse accadere, il blocco non è mai improvviso ma graduale, anche in questo caso sarà facile raggiungere lentamente la superficie magari con l’aiuto e l’impiego della fonte d’aria alternativa del compagno d’immersione.

Stessa sensazione di blocco dell’erogatore, ma con eziologia completamente diversa si presenta allorquando, a causa di scarsa manutenzione della rubinetteria, questa non sia stata completamente aperta prima di intraprendere l’immersione.

Può capitare, infatti, che a seguito di lungo impiego, la manopola di apertura della rubinetteria divenga progressivamente sempre più "dura", dando infine l’impressione di essere giunti a fine corsa mentre invece è stata aperta solo in parte.

Sott’acqua, finché nella bombola vi è pressione sufficiente, si respirerà normalmente, ma una volta che la pressione sia calata tanto da non poter più garantire una respirazione corretta, si avrà la sensazione di star terminando l’aria.

E’ molto facile in questo caso verificare se vi sia qualche malfunzionamento dell’attrezzatura o se viceversa si tratti proprio della rubinetteria non completamente aperta poiché se è questa la causa, il manometro fornirà la giusta quantità d’aria residua ma la sua lancetta, al momento dell’inspirazione, scenderà fin quasi a zero, per poi risalire lentamente fino alla corretta misurazione nel corso della pausa respiratoria.

Per ovviare a ciò basterà quindi aprire del tutto la rubinetteria ed il problema si risolverà immediatamente, ma se ciò fosse reso impossibile dalla durezza della manopola anche in questo caso sarà necessario interrompere l’immersione.

Infine l’ultimo problema può riguardare la presenza, nella bombola, di aria contaminata.

Questa circostanza, ben più frequente in passato, è oggi divenuta più facile da evitare sia grazie alla maggior professionalità delle persone addette alla ricarica, sia all’impiego di compressori più affidabili perché dotati di sistemi di filtraggio migliori.

Se l’aria è contaminata da residui di condensa del compressore è facile accorgersene poiché l’aria assume un odore ed un sapore "oleoso"; in tal caso bisogna interrompere l’immersione ma non si correrà un reale pericolo poiché l’unica conseguenza molto spesso si riduce ad una sensazione di nausea e di mal di testa.

Per evitare che in futuro si ripresenti questa circostanza sarà sufficiente che la stazione di ricarica provveda ad  effettuare un po’ più spesso la manutenzione ed il ricambio dei filtri del compressore.

 

Se invece il contaminante è il monossido di carbonio (CO) la situazione si fa ben più grave.

Come è noto, infatti, il CO, gas inodore ed insapore, è responsabile (dato il suo stretto legame con l’emoglobina, circa 200 volte maggiore di quello dell’ossigeno) di un ridotto apporto di ossigeno ai tessuti, fino ad una situazione di vera e propria ipossia che si manifesta con labbra ed unghie dal caratteristico color rosso ciliegia, cefalea, visione confusa, confusione mentale e svenimento durante la risalita, dove c’è insufficiente pressione per diffondere idonee quantità di ossigeno ai tessuti.

Perché si verifichi questa evenienza è necessario però che la presa di carico del compressore sia situata vicino allo scarico di motori a combustione interna (ciò può quindi avvenire se il compressore è posto in un garage angusto o se la presa d’aria è collocata in basso nei pressi di una via molto trafficata, situazioni queste molto meno frequenti di un tempo).

In caso di sospetta intossicazione da CO, comunque, è necessario non solo uscire quanto prima dall’acqua, ma provvedere immediatamente alla somministrazione di ossigeno puro al 100% e al ricovero ospedaliero per ulteriori accertamenti e cure.

 

 

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