154. Da Haldane al computer
subacqueo
di
Luca Cicali,
pubblicato su Ocean4future
http://www.ocean4future.org/archives/17058
(Per approfondire l’argomento si consiglia di leggere
il libro di Luca Cicali “Oltre la curva”)
Teorie decompressive, storia e attualità:
le grandi idee di Paul Bert e John Haldane
Ci sono due
scienziati dell’800 ai quali dobbiamo le conoscenze
attuali in materia di decompressione: Paul Bert e John
Scott Haldane. I loro esperimenti, sfruttando cavie
animali, portarono alla definizione di relazioni
matematiche, poi impiegate negli algoritmi dei nostri
odierni computer subacquei.
Il medico e professore universitario
francese Paul Bert intuì per primo che la
malattia da decompressione era dovuta all’eccesso di
azoto disciolto nei tessuti e a un procedimento
decompressivo troppo rapido. Usando dei cani come cavie,
fece esperimenti di compressione e decompressione a
varie velocità, evidenziando come la mortalità delle
cavie variasse in funzione della velocità della fase
decompressiva. Il professor Bert fu in grado di spiegare
alcuni fenomeni basilari che sono legati alla patologia
decompressiva. In particolare, comprese che la malattia
da decompressione è dovuta alla formazione di bolle nei
tessuti e nel sangue, determinata dall’eccessiva
velocità della fase decompressiva. Inoltre che le bolle
erano causate dall’azoto, che la respirazione di
ossigeno puro aiuta in modo determinante sia la cura dei
sintomi di malattia decompressiva, che lo smaltimento
dell’azoto in eccesso e che una sosta a metà della
profondità raggiunta è utile a scongiurare il pericolo
di malattia da decompressione.
Ma in quel tempo la
teoria della “congestione sistemica” era ancora salda
nella comunità scientifica, e in un clima di forte
controversia tra le due interpretazioni iniziò la
costruzione del ponte di Brooklyn a New York. Nel 1867
fu fondata la società New York Bridge Company sotto la
guida tecnica di John Roebling capo ingegnere.
Tre mesi più tardi l’ingegnere presentò
il progetto di un ponte lungo circa 1.800 metri e con un
impalcato sostenuto da quattro cavi sospesi tra due
possenti torri di calcare e granito alte circa 84 metri,
notevolmente più alte rispetto a qualsiasi altra
struttura di New York della fine ’800. Le torri
sarebbero state appoggiate sulla roccia, che si trovava
a una profondità di 12 metri sotto la linea di
galleggiamento sul lato di Brooklyn, e 22 metri sotto la
linea di galleggiamento sul lato di New York. Nessun
ponte era mai stato costruito a tale profondità, ed ecco
l’importanza dei cassonisti.
Durante i tredici anni di lavori, dal
1870 al 1883, che furono necessari per il completamento
del ponte di Brooklyn furono impiegati centinaia di
operai e cassonisti, e più di venti di essi morirono per
le conseguenze della malattia da decompressione.
Pochi anni dopo la
morte di Paul Bert, nel 1900, tre scienziati Heller,
Mager e Von Schrotter, fornirono la prima soluzione
matematica per ottenere una stima dell’inerte che passa
in soluzione nei tessuti, e successivamente viene
rilasciato, in funzione della pressione ambiente e del
tempo di permanenza in ambiente pressurizzato. Fu un
lavoro imponente, grazie al quale essi giunsero a
rappresentare matematicamente il fenomeno della
saturazione e desaturazione dei tessuti da parte del gas
inerte tramite la famosa equazione di tipo
esponenziale.
Ma il contributo
più determinante ai successivi sviluppi della teoria
decompressiva fu dato dal fisiologo scozzese John
Scott Haldane, nato nel 1860 ad
Edimburgo, considerato il padre delle moderne teorie
decompressive. Egli fu allo stesso tempo un uomo geniale
e singolare; la sua più bizzarra caratteristica fu
quella di essere egli stesso la cavia di molti dei suoi
esperimenti, grazie ai quali poté verificare in prima
persona l’attendibilità delle proprie intuizioni e
l’efficacia delle proprie invenzioni.
Per meglio capire gli effetti delle
respirazione di gas sull’organismo non trovava di meglio
che … respirare egli stesso i gas oggetto dei suoi
studi, con tutti i rischi che questa pratica comportava.
Haldane iniziò quindi a interessarsi assiduamente alla
malattia dei cassonisti, e a condurre test e verifiche
in laboratorio e a bordo di una nave da guerra. Egli
riprese il lavoro di Bert, lo analizzò accuratamente, e
intraprese anch’egli esperimenti con cavie, utilizzando
stavolta le capre al posto dei cani, intuendo che
esisteva un valore massimo per la variazione di
pressione alla quale l’organismo poteva esser sottoposto
senza riportare danni una volta tornato alla pressione
ambiente. Questa scoperta gli fu suggerita sia dagli
esperimenti condotti sulle povere capre che
dall’osservazione che gli operai cassonisti, che
operavano in ambiente pressurizzato ed erano sottoposti
ad una pressione ambiente inferiore a 2 bar
(corrispondente a 10 metri di profondità), non
riportavano danni risalendo in superficie, ovvero alla
pressione di un atmosfera, anche se il turno di lavoro
era stato molto lungo.
Altro significativo
accorgimento di Haldane fu quello di schematizzare
l’organismo secondo “compartimenti”, ovvero
insiemi di tessuti che hanno simili caratteristiche
rispetto alla velocità di assorbimento e rilascio dei
gas. Questo consentiva di utilizzare l’equazione
esponenziale e al tempo stesso tenere conto delle
differenze tra tessuti, raggruppati in 5 diversi
compartimenti caratterizzati da semi periodi paria a
5, 10, 20, 40 e 75 minuti.
Stabilì poi il suo principio più
importante, quello che chiamò “rapporto di
sovra-saturazione critica”, cioè il massimo valore
ammissibile della variazione di pressione alla quale può
essere sottoposto l’organismo umano per non riportare
incidenti. Tale “Rapporto di Haldane” fu fissato
al valore 2.
In base alle sue scoperte, intuizioni,
approssimazioni e alla suddivisione dei tessuti in
compartimenti, Haldane fu in grado di elaborare le
prime tabelle decompressive, che furono pubblicate
assieme ai fondamenti della sua teoria nel 1908. Le
tabelle di Haldane furono quindi accettate
universalmente e furono immediatamente applicate alle
immersioni dalla Marina Militare Reale Britannica e nel
1912 anche dalla Marina Americana, che le utilizzò per
più di mezzo secolo.
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Le pietre angolari di Haldane
” … Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò
che non lo è … ”
Galileo Galilei
Haldane’s paper documents the effects of inadequate
decompression strategies in lists of injured and killed
goats. Source: The Journal of Hygiene, Vol. 8, No. 3 (Jun.,
1908), pp. 342-443.
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Nonostante
sia passato tanto tempo dalla pubblicazione delle prime
tabelle di Scott Haldane (1908), buona parte delle basi
teoriche con le quali fu realizzato il modello sono
ancora valide nei moderni modelli decompressivi.
Ricordiamo quindi brevemente i principi fondamentali
fissati dal grande fisiologo scozzese:
a) l’organismo può essere schematizzato in gruppi di
tessuti, o compartimenti, ognuno con il proprio
semi-periodo. La saturazione di un compartimento è
considerata praticamente raggiunta dopo 5 semi-periodi;
b) ad una variazioni istantanea della pressione della
miscela respirata, la tensione di inerte nei
compartimenti varia con legge esponenziale sia in
fase di saturazione che di desaturazione;
c) è stabilito un rapporto massimo di sicurezza
(detto “rapporto di Haldane”), tra la massima pressione
ambiente raggiunta e la pressione alla quale si può
risalire senza avere incidenti. Tale rapporto è pari
a 2 per tutti i compartimenti. Se non si eccede il
rapporto di Haldane non si ha formazione di bolle nel
sangue e nei tessuti;
d) la fase di risalita di un’immersione va interrotta
prima che la pressione ambiente si riduca più di quanto
permetta il rapporto critico. La sosta deve
durare per il tempo necessario a far diminuire la
tensione del gas disciolto di quanto basta per
permettere un ulteriore avvicinamento alla superficie
senza violare il “rapporto di Haldane”, e così via sino
alla superficie. |
La
strategia per evitare la malattia da decompressione è
quindi legata alla proprietà dei tessuti umani di
tollerare un livello di tensione di inerte superiore
alla pressione ambiente, entro il limite del rapporto
critico.
Il subacqueo può quindi continuare a risalire in
sicurezza finché non viola il rapporto critico neanche
per un solo compartimento. Se riesce a raggiungere la
superficie mantenendo questa condizione ha effettuato
una immersione entro la cosiddetta “curva di
sicurezza”, altrimenti dovrà osservare delle soste
decompressive. |
Robert Workman e i valori “M”
Il
lavoro del dott. Workman fu sviluppato dal 1956
nell’ambito del team di ricercatori dell’Unità
Sperimentale Subacquea della Marina statunitense (NEDU).
Il rapporto di Haldane venne rimpiazzato da Workman con
un parametro limite, detto valore “M” (Maximum), dove M
è il valore della massima tensione di inerte accettabile
in un dato compartimento affinché non si sviluppi la
malattia da decompressione. M non è un valore costante
ma dipende dal compartimento considerato e dalla
profondità.
Quindi durante un’immersione, per essere in condizioni
di sicurezza la tensione di inerte T in ciascun
compartimento deve mantenersi sempre inferiore al valore
M che corrisponde alla profondità alla quale ci si
trova.
M
è pari alla somma di due addendi: il primo è un valore
costante prefissato, M0, e il secondo è
ottenuto moltiplicando un coefficiente, (chiamato ΔM),
per la profondità, (d=depth).
M= M0
+ ΔM x
d
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Ciò
vuol dire che a profondità maggiori, anche il limite M
accettabile per la tensione è maggiore. Ogni
compartimento ha i propri coefficienti M0 e
ΔM.
Sono i valori M0 a delimitare la curva di
sicurezza,
in quanto stabiliscono il massimo livello accettabile di
inerte in un compartimento per giungere alla superficie,
(d=0).
Il valore di ΔM fissa invece la velocità di variazione
di M con la profondità. Valori elevati di ΔM, come nel
caso dei tessuti veloci, comportano un più veloce
aumento di M con la profondità, quindi una maggiore
“permissività” di accumulo di inerte con la profondità,
ovvero tappe decompressive meno profonde. Insomma, un
compartimento risulta tanto più tollerante alla tensione
di inerte accumulata, quanto più sono elevati i valori
dei coefficienti M0 e ΔM, e questo è ciò che
accade per i
tessuti più veloci.
Workman utilizzò 9 compartimenti, con tempi di
emisaturazione che vanno da 5 a 240 minuti. Ciascuno dei
compartimenti è quindi definito in base a tre parametri:
Il semiperiodo T |
M0, massima tensione che consente
la risalita libera alla superficie |
ΔM, tasso di aumento di M con la profondità |
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Se
consideriamo un piano cartesiano che ha per asse
orizzontale la tensione di inerte nei compartimenti, e
per asse verticale la profondità, il valore M di ciascun
compartimento può essere rappresentato da una retta,
come mostrato in figura.
Ogni retta-valore M inizia in un certo punto dell’asse
orizzontale corrispondente al valore M0, e ha
una certa inclinazione, come mostrato nella figura, (il
numero dopo la lettera “C” rappresenta il compartimento,
“T” il suo semiperiodo). Possiamo notare che i
compartimenti con semi periodo (T) maggiore (cioè i
tessuti più lenti) hanno maggiore inclinazione e un
valore di M0 più spostato a sinistra.
Che cosa
vuol dire?
Semplicemente che tali compartimenti sono meno
tolleranti alla tensione di inerte sia per il ritorno
diretto in superficie (tempo di non decompressione
inferiore) che a qualunque altra profondità (richiedono
tappe di decompressione più profonde). Ciò è
naturalmente compensato dal fatto che i tessuti più
lenti richiedono molto più tempo per raggiungere elevati
livelli di tensione di inerte disciolto. Proviamo ora a
simulare un’immersione, ipotizzando per semplicità che
esista solo un compartimento, nel nostro caso solo il
n.3, che ha semi-periodo di 20 minuti e coefficiente M0
pari a 2,19.
Facciamo l’ipotesi che il profilo di immersione sia
stato tale che, all’istante di decidere la risalita, la
tensione di inerte nel compartimento n.3 sia pari a 3,8
bar (è il computer subacqueo che stima questo dato).
Siamo dentro o fuori curva?
Poiché 3,8 è maggiore del valore M0 del
compartimento 3 (pari a 2,19 bar), non è permesso il
ritorno diretto alla superficie, quindi siamo fuori
curva. |
Qual è allora la profondità della prima tappa di
decompressione necessaria?
Basta tracciare un segmento verticale che parte dal
punto corrispondente a 3,8 bar sull’asse delle tensioni
e va a incontrare la retta obliqua del compartimento n.
3.
A questo punto, come si vede nella figura, corrisponde
sull’asse delle profondità il valore di 10,7 metri, e
questa sarà la quota della prima tappa. Durante questa
tappa e durante quelle eventualmente successive, sarà
necessario attendere finché la tensione scenda al di
sotto di 2,19 per poter finalmente essere in superficie.
Ma in realtà l’organismo non è fatto di un solo tessuto
o compartimento scelto a caso. Quindi,
nel caso reale, per capire se l’immersione è con o senza
decompressione è un pò più complicato. Si tratta cioè di
comparare la tensione massima raggiunta da ciascun
compartimento, nello stesso istante, con le
rispettive tensioni di soglia M0, verificare
se sono state superate, e ripetere questi calcoli in
continuazione durante l’immersione.
Se questa condizione si verifica anche per un solo
compartimento l’immersione richiederà la
decompressione. Complicato per un uomo ma semplice
per un computer che fa migliaia di calcoli al secondo.
Ma per fare questo ci vogliono degli algoritmi.
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Possiamo
adesso domandarci: cosa hanno a che fare i valori di M
con il rapporto di sovra-saturazione critica di Haldane?
Moltissimo, i valori
M di Workman sono i rapporti di sovra-saturazione di
Haldane “modificati”,
al punto che possiamo tracciare sul nostro piano una
retta, che chiamiamo retta di Haldane, che rappresenta
proprio il rapporto di Haldane espresso sotto forma di
valore M, per il quale M0 vale 1,58 e ΔM
0,258.
E’ come se Haldane avesse stabilito per tutti i
compartimenti un valore M0 pari a 1,58 bar,
lo stesso valore M0 che Workman assegna al
compartimento “lento” n.6, con semi-periodo di 120
minuti. In pratica la vera novità di Workmann e del
limite M fu una maggiore conservatività generale e
l’adozione di criteri di massima sovra-saturazione di
inerte specifici di ogni compartimento. |
Il lavoro di Bühlmann
Il
professor Bühlmann fece ulteriormente evolvere il lavoro
di Workman, generando una versione ancor più
conservativa dei valori M, in particolare per i tessuti
intermedi, e rendendoli validi anche per immersioni in
altura, e non solo al livello del mare.
L’originalità e l’importanza del lavoro di Bühlmann fu
soprattutto nell’aver fissato dei criteri matematici per
la determinazione dei coefficienti M0 e ΔM
una volta stabilito il semi periodo. Ciò consente oggi
di progettare agevolmente insiemi nuovi di compartimenti
in numero e semi periodo caratteristico, ottenendo un
modello decompressivo sempre coerente. Inoltre, esistono
apposite formule di passaggio dai parametri di Bühlmann
a quelli di Workman e viceversa, che consentono di
esprimere agevolmente i nuovi valori M relativi ai
compartimenti stabiliti da Bühlmann nella forma di
Workman.
Il modello messo a punto dal professor Bühlmann riscosse
un enorme successo applicativo, ed è stato utilizzato
nei primi computer subacquei sviluppati e
commercializzati fin dagli anni ottanta, e nella maggior
parte di quelli oggi esistenti. A lui dobbiamo la sempre
maggiore sicurezza delle nostre immersioni.
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Qual è il segreto di tanta popolarità visto che,
rispetto all’impostazione di Haldane, questo modello non
presenta cambiamenti radicali?
Perché una diffusione così rapida e capillare
dell’algoritmo di Bühlmann al polso di tanti subacquei
nei mari di tutto il mondo?
La chiave del successo è contenuta in un libro,
pubblicato per la prima volta in lingua tedesca nel
1983, con il titolo
“Decompression Sikness”
che riporta la descrizione dettagliata delle basi
teoriche del modello decompressivo di cui rappresenta un
vero e proprio un vero e proprio manuale operativo. Il
modello risultò determinante per il rapido sviluppo di
computer subacquei vista la relativa semplicità di
implementazione dell’algoritmo decompressivo tramite un
programma software per computer.
E’ sufficiente definire il numero di compartimenti
e i loro semiperiodi, e le formule messe a punto
da Bühlmann forniscono direttamente i parametri
generatori dei valori di sovrasaturazione massima, (i
parametri M0
e ΔM). Un’occasione troppo ghiotta per non sfruttarla
industrialmente e sviluppare velocemente il mercato dei
computer subacquei.
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Nella
figura qui a lato iniziamo identificando la “zona
di sottosaturazione”,
costituita dal triangolo di colore celeste al di sotto
della retta di saturazione tratteggiata. All’interno di
questa zona la tensione di inerte nei tessuti è sempre
inferiore alla saturazione, quindi i tessuti sono
“sottosaturi” e la loro tensione è in fase crescente.
Questa è la zona nella quale inizia sempre un’immersione
non ripetitiva, e nella quale ci si mantiene fino a
quando la tensione di inerte è inferiore alla pressione
ambiente di inerte, e quindi è in fase di crescita.
La parte di piano di colore bianco compresa tra la retta
di saturazione e la retta (in rosso) del valore M del
compartimento (nel nostro esempio il compartimento n.4
cioè C4), è la “zona
di sovrasaturazione”,
nella quale la tensione di inerte nei tessuti è
maggiore della pressione ambiente di inerte, e
quindi tende a decrescere. In questa zona i tessuti sono
sempre in fase di desaturazione, mentre la tensione
dell’inerte in essi disciolto resta al di sotto del
limite M di sicurezza. |
L’immersione sul piano
tensione-profondità
E’
possibile e utile suddividere in varie zone il piano
profondità-tensione utilizzato per tracciare le
rette che rappresentano i valori M, al fine di
caratterizzare adeguatamente le varie situazioni
operative. A titolo di esempio, utilizziamo la retta di
M del compartimento n.4 di Bühlmann, che ha un
semiperiodo di 18,5 minuti. Riportiamo sul grafico anche
la cosiddetta retta di saturazione, che rappresenta, per
ogni profondità, il livello di tensione del
compartimento una volta giunto alla saturazione.
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Questa zona rappresenta lo spazio di desaturazione
“utile”, un corridoio di sicurezza entro il quale
debbono restare confinate sia le immersioni entro curva
che quelle con decompressione, per non infrangere il
criterio imposto dai valori M.
Infine abbiamo la “zona
proibita”,
nella quale ovviamente non ci si deve mai trovare,
perché all’interno di essa la tensione di inerte nei
tessuti, pur decrescendo, supera il massimo valore M
ammesso per il compartimento considerato, e quindi è
tale da causare teoricamente la patologia da
decompressione.
Se
tracciamo una retta verticale, (detta T=M0),
che parte dal valore M0 del
compartimento considerato otteniamo due diverse aree: la
prima è l’area “NO-DECO”,
a sinistra, e l’altra è l’area “DECO”,
a destra. Queste due parti del piano rappresentano aree
nelle quali ricadono immersioni entro curva, senza
quindi obbligo di effettuare tappe decompressive, oppure
fuori curva, con obbligo di effettuare soste prima di
raggiungere la superficie. Se la retta verticale T=M0
viene attraversata da sinistra a destra
l’immersione diviene “con decompressione”, mentre
l’attraversamento da destra a sinistra comporta il
rientro entro curva. Fatte queste considerazioni, è
possibile riportare sul piano tensione-profondità la
corrispondenza tra tensione di azoto nei tessuti e
profondità durante un’immersione, e identificare la
situazione operativa in base alla zona o area in cui il
punto corrispondente si trova. Ciò consente di
determinare, se si è in fase di saturazione, di
desaturazione, se l’immersione è entro o fuori curva, e
se stiamo effettuando una decompressione.
Luca Cicali
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