10. Perché mi immergo? LA PSICOLOGIA DELL'IMMERSIONE Ci siamo mai chiesti PERCHÉ ci immergiamo? Qual è la vera motivazione che ci spinge ad immergerci? Che cosa cerchiamo nel fondo del mare o del lago? Che cosa ci spinge, a volte, ad andare più profondo? Sembrano tutte delle domande banali, ma non lo sono affatto e la risposta può non essere banale, perché al di là delle spinte motivazionali apparenti o superficiali di ciascun individuo, possono anche esservene delle altre... più “profonde”, appunto. Si tratta di riuscire a... farle emergere ed in questo è utile la PSICOLOGIA DELLE ATTIVITA' SUBACQUEE, un campo di applicazioni e di ricerca ancora piuttosto giovane. Cerchiamo allora di capire queste "MOTIVAZIONI". Ad esempio, a me piace anche gironzolare con calma in pochi metri d'acqua (in fondo, è tale e tanto il mio "bisogno di immergermi" che... mi basta semplicemente andare in acqua... ovunque); ma quello che mi attira davvero, più dei relitti o delle grotte, che pure amo moltissimo, è la PROFONDITA'. Sono tanti anni che mi interrogo sul PERCHÉ di questo mio bisogno di "profondo" e, nel frattempo, sposto sempre un metro più avanti il mio limite. Oltretutto, sono stato per molti anni un convinto sostenitore dell'immersione ad aria profonda, pur conoscendone la pericolosità dovuta alla tossicità dell’ossigeno respirato in profondità, e questo mi ha limitato parecchio nel mio "BISOGNO DI PROFONDO". Solo recentemente ho iniziato ad usare miscele Trimix e questo ha risvegliato il mio desiderio di "profondo" e ha spostato la mia asticella un po' più giù... Ma allora? Che cosa cerco veramente immergendomi laggiù nel profondo? Forse dovrei parlare seriamente della questione con uno psicologo. O forse dovrei semplicemente smetterla di domandarmi il perché e "lasciarmi immergere"... Al riguardo la dottoressa Maria Luisa Gargiulo - una psicologa che lavora anche con il DAN - ha scritto cose molto interessanti sul tema "Profondofilia e profondofobia". Riporto qui di seguito uno stralcio di un suo intervento, tratto dall'articolo "Conflitti e contenuti nelle attività e nel vissuto dei subacquei" che forse ci chiarisce qualcosa e che può a ciascuno di noi sub degli spunti per alcune riflessioni.
Bene, direi che ciascuno di noi può cercare di riconoscersi nei vari punti di questa trattazione e, tentando di tirare le somme può cercare di rispondere alla domanda iniziale: "perché mi immergo?". L'importante, però, è non barare mai con se stessi...! Se poi qualcuno volesse approfondire ulteriormente l’argomento, può leggere qui sotto altri interessanti interventi della dottoressa M. Luisa Gargiulo tratti dal sito www.psychomedia.it Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo.htm
Dinamiche motivazionali nell’immersione subacquea
di Maria Luisa Gargiulo
Alcune premesse teoriche (breve storia delle teorie della motivazione) La
motivazione e le emozioni che ad esse si correlano sono alla base
dell’impulso ad agire di ogni individuo. Quando si parla di attività
sportive (sebbene la pratica delle immersioni sia da molti oggigiorno
considerata una attività di socializzazione più che uno sport in senso
stretto), le parole cui comunemente siamo abituati sono bisogno, forza
di volontà, concentrazione, autocontrollo, competizione. Una teoria
motivazionale ha lo scopo di spiegare ed in parte prevedere i
comportamenti umani, compreso quello del sommozzatore.
La gerarchia dei bisogni Alla
base della piramide si trovano i bisogni fisiologici/organici, per
esempio il bisogno di mangiare, bere, dormire, coprirsi. Della seconda
categoria fanno parte i bisogni relativi alla sicurezza (safety) quali
il bisogno di un rifugio, di tranquillità e di pace. Nella terza
categoria troviamo i bisogni relativi all’appartenenza (belonginess) di
cui fanno parte il bisogno di avere amicizie, di far parte di un gruppo,
di amare ed essere amati. Nella quarta ci sono quelli relativi alla
stima di sé (esteem) quali il bisogno di avere un’immagine positiva di
se stessi e in generale di apprezzarsi e di essere apprezzati dagli
altri. Nella quinta e ultima categoria, troviamo i bisogni relativi alla
realizzazione di se stessi (self actualisation) tra cui rientrano
desideri quali l’aspirazione a mettere in opera le proprie facoltà,
esprimere la propria creatività, oltrepassare i propri limiti
Motivazione all’attività L’attività sportiva in generale, come qualsiasi comportamento umano, può
essere considerata come una soddisfazione di bisogni a vari livelli. A
prima vista è certamente una attività che crea stati di tensione, e
pertanto non potrebbe annoverarsi tra quelle che soddisfano bisogni
carenziali (omeostatici) e in una visione semplificata si situa al
livello 5 (autorealizzazione). Ma a guardar meglio, l’attività sportiva
con i suoi connotati e significati affettivi e psicosociali, ci fa
intravedere bisogni di stima ed autostima, nella misura in cui la
persona percepisce come preponderanti gli aspetti agonistici e di
competizione. Troviamo anche aspetti legati al livello
dell’appartenenza, allorquando consideriamo ciò che ha a che fare con le
dimensioni gruppali, di condivisione, di socialità, di identificazione
con un leader od un modello. Più profondamente si debbono individuare
anche aspetti legati (sia pura volte inconsciamente) alla sicurezza, in
quanto alcune istanze possono essere legate ad una motivazione verso una
ridefinizione del sè “efficiente” e quindi sano, “forte” e quindi
rassicurante, con i connotati di individuazione ed autoindividuazione
che ciascuno può immaginare.
Immersioni e quadro motivazionale L’attività subacquea ha però alcune peculiarità che la rendono per certi
versi un po’ particolare. Personalmente ritengo che essa concentri in sè
buona parte delle caratteristiche delle attività sportive, come pure di
quelle ricreative, e pertanto che possa essere considerata come attività
legata, almeno sul piano conscio, a bisogni di tipo accrescitivo e di
autorealizzazione. Ma se solo passiamo velocemente in rassegna il
repertorio classico delle frasi o degli atteggiamenti dei sommozzatori,
ci rendiamo presto conto che questo fenomeno ricreativo e sociale può
essere letto anche come una attività che soddisfa bisogni di tipo
carenziale, finalizzati perciò alla diminuzione dello stato di tensione
più che al suo accrescimento.
La competitività nelle attività non agonistiche A volte
chi deve soddisfare esigenze di stima ed autostima cerca un modo per
valutare o comunque per collocare il proprio comportamento all’interno
di una scala il più possibile oggettiva, come chi intraprende una
carriera di qualsiasi tipo, lo fa all’interno di una serie di “gradini”
e livelli predefiniti. Quando l’attività sportiva è di tipo agonistico
ciò può avvenire anche all’interno di una singola competizione; il
vincitore, la classifica, il punteggio, il record personale ecc., sono
tutti elementi oggettivi e senz’altro condivisi, il più delle volte
basati su numeri e pertanto facilmente confrontabili e classificabili.
Ma quando, come nelle immersioni ricreative, ci si trova di fronte ad
attività non competitive, in alcune persone si sviluppano comportamenti
sostitutivi rispetto a quelli classicamente agonistici. Tali
comportamenti tendono ad una oggettivazione, meglio ancora in una
quantificazione del comportamento in immersione, il quale viene, per
così dire, “tradotto in numeri”. Si può assistere, pertanto, alla
tendenza a raggiungere determinate profondità, ci si confronta con le
quantità di atmosfere residue una volta in superficie, si contano,
catalogano, confrontano la quantità delle immersioni, ecc. In uno
scritto introduttivo come questo, è pressoché impossibile tentare di
arrivare a delle conclusioni definitive, l’obbiettivo dell’articolo è
più che altro quello di indicare alcuni spunti di riflessione ed insieme
di iniziare a definire alcuni concetti basilari di psicologia del
comportamento e del fenomeno “immersione” al fine di approfondirne
successivamente alcuni aspetti.
Note: [2] Il concetto di “sé percepito”, utilizzato per la prima volta da Carl Rogers, comprende tutto ciò che la persona conosce di se stessa, tutto ciò che essa riconosce come appartenente a sé, il modo in cui si raffigura di essere, i sentimenti che sente di provare, le intenzioni che ha la consapevolezza di avere, i bisogni e le carenze che si accorge di nutrire. Tali elementi sono organizzati in un sistema più vasto, indicato successivamente come “struttura del sé”.
Bibliografia sul quadro teorico di riferimento Caprara, G. V., Accursio, G., (1987), Psicologia della personalità e delle differenze individuali, Il Mulino. Ceruti, M., (1989), La danza che crea, Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli. Magri, T., Mancini, F., (1991), Emozione e conoscenza, Editori Riuniti. Rogers, C. R., (1965), Client Centered Therapy, Its curret practice, implications, and theory, Houghton Mifflin Company, Boston. Rogers, C. R., Kinget, G. M., (1965-66), Psychotherapie et relations humaines, theorie et pratique de la therapie non directive, Editions Nauwelaerts, Lovanio; trad. it Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, Torino, 1970. Von Bertalanffy, L., (1966), Teoria generale del sistema e psichiatria, in Arieti, S., Manuale di psichiatria, Boringhieri.
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La dimensione extravisiva nell’immersione subacquea di Maria Luisa Gargiulo (Relazione presentata al Convegno "Psiche e immersioni" S. Vito Lo Capo 17-19 ottobre 2002)
Premessa Queste
riflessioni sono un prodotto indiretto dei miei studi e del mio lavoro
come formatore nel settore delle tecniche di gestione dell’immersione
non basata sulla vista, in quanto ho studiato e lavorato nel settore
della didattica della subacquea con persone non vedenti e con istruttori
che volevano apprendere come accompagnare sott’acqua una persona che non
vede o come insegnargli a diventare un sommozzatore. Così ho pensato di approfondire questo aspetto, in primo luogo meramente casuale, di formazione e riscoperta delle percezioni extravisive nell’immersione subacquea, per analizzare da un punto di vista della psicologia della percezione, la situazione dell’immersione, del perché questa attività sia così potente nello scatenare e risvegliare alcune dinamiche interpersonali, ma soprattutto intrapsichiche. Essendovi già una buona letteratura sulla deprivazione sensoriale in ambiente terrestre e sui suoi effetti, ho pensato che valesse la pena di soffermarmi un po’ a riflettere sulla condizione percettiva del sommozzatore e su alcune reazioni che sono state intraviste da più parti nell’odierno dibattito psicologico. In occasione di questo lavoro di formazione e didattica legata all’handicap visivo, ho avuto modo di approfondire quanti e quali aspetti non visivi vi siano anche nelle immersioni del normale sommozzatore vedente ed ho approfondito la fenomenologia di questi aspetti percettivi extravisivi.
Un’ipotesi di partenza Tra gli psicologi e gli psichiatri in questo periodo sta nascendo una piccola comunità di persone che tentano di riflettere sui significati sociali e interiori dell’attività subacquea, su cosa significhi immergersi e su cosa questo possa scatenare nelle persone che lo fanno. Sembra proprio, leggendo e riascoltando ciò che i miei colleghi ed io andiamo dicendo e scrivendo, che la condizione dell’immersione possa condurre a una dimensione psichica che facilita l’isolamento e così potenzialmente anche l’introspezione e l’autopercezione. Gli psicanalisti sanno bene quanti significati simbolici e quanti e quali miti nella nostra storia, nei nostri sogni ed incubi, nelle nostre forze profonde siano legati direttamente od indirettamente al fondo del mare ed ai suoi simboli. Altri meglio di me possono descrivere quei meandri e occuparsi dell’immersione da un vertice psicodinamico. Io qui invece cerco di analizzare la situazione da un punto di vista percettivo e di dare una lettura basata non tanto sui contenuti e sui significati, quanto sulla condizione fenomenologica e percettiva del sommozzatore, analizzando quali tipi di informazioni egli ha a disposizione durante un’immersione e cercando di sottolineare la differenza con il tipo di informazioni a noi disponibili sulla terraferma. Infatti, quando si allude alla particolare condizione soggettiva del sommozzatore non si può prescindere dall’analizzare ciò che i suoi sensi catturano ed in che proporzione le afferenze sensoriali durante un’immersione sono sostanzialmente differenti da quelle della vita sulla terra. Come indicavo nella premessa di questo articolo, per caso, inducendo un azzeramento delle afferenze visive per motivi di training formativo, ho potuto studiare meglio le altre afferenze sensoriali che esistono durante un’immersione. Ritengo che la particolare condizione di chi va sott’acqua lo porti ad accentuare le altre percezioni e che questa condizione sia il motivo della particolare valenza psicologica dell’immersione subacquea.
La dominanza percettiva visiva e la deprivazione sensoriale. In psicologia della percezione si è giunti alla determinazione di un principio noto come “dominanza visiva” che si può descrivere in questo modo - Le afferenze sensoriali uditive, tattili, cinestetiche, olfattive, termiche, propriocettive, termoigrometriche sono in gran parte escluse dall’elaborazione cosciente dell’informazione tranne quando ci si trova in situazioni di deprivazione sensoriale visiva forzata o determinata da cause naturali. In tutti gli istanti della nostra vita i nostri organi e recettori sensoriali sono bombardati da una quantità incommensurabile di informazioni che provengono da più parti; per quanto riguarda i classici cinque sensi (vista, udito, olfatto, tatto e gusto) le informazioni afferenti sono riguardanti modificazioni di vario genere che attengono al mondo esterno al nostro corpo. Sempre parlando di esterocezione (percezione di eventi collocati all’esterno di noi) possiamo aggiungere ai classici cinque sensi di buona memoria scolastica anche le informazioni termiche ed igrometriche, cioè derivanti da spostamenti dell’aria e della sua pressione sulla nostra persona. Una galassia percettiva ulteriore è rappresentata dalla propiocezione ossia dalla percezione delle nostre modificazioni interne rispetto all’esterno; informazioni posturali, di equilibrio, di bilanciamento del baricentro, di rotazione del corpo rispetto ad uno dei suoi assi o rispetto alla gravità terrestre, di contatto o di peso o pressione di parti del corpo contro altri elementi esterni, o di questi ultimi verso di noi, informazioni tutte che si basano su una serie di sensazioni a volte di tipo misto che derivano dal comparto vestibolare, da quello cerebellare, da quello muscolare tendineo ecc. Abbiamo poi, per completare il quadro delle percezioni, la dimensione interocettiva (interocezione) che riguarda modificazioni ed eventi interni al nostro corpo, derivanti dalla muscolatura liscia interna, e da recettori dislocati in particolari punti dei vari organi ed apparati. Pur essendo bombardati continuamente da tutto questo complesso e multiforme insieme di dati, noi possiamo essere consapevoli coscientemente solo di una minima parte di essi e ciò sia a causa delle limitazioni quantitative della nostra attenzione (la quale come una torcia per illuminare la notte, può colpire con il suo fascio solo una piccola porzione e se cambia soggetto deve spostarsi lasciando al buio quello precedente). In secondo luogo noi facciamo una selezione a monte rispetto alla percezione di una parte di questi stimoli perché alcuni di essi rivestono un valore adattivo e pertanto l’organismo li considera più “convenienti” di altri. Alcune aree percettive sono perciò pressoché continuamente presidiate e tenute sotto controllo in modo vigile. Altre invece sono quasi sempre ignorate e, attraverso un sistema di controllo non cosciente, sono sottoposte alla nostra attenzione solo quando accadono modificazioni molto grosse o considerate pericolose per l’incolumità psicofisica. Ad esempio, noi non notiamo il contatto dei nostri capelli sul collo o sulle orecchie fino a che un bel giorno non decidiamo di tagliarli, per qualche minuto subito dopo averlo fatto, possiamo notare, per differenza, la sensazione di fresco, di vuoto e di mancanza dei capelli appena tagliati. Gli studi di psicologia della percezione ci dicono che le informazioni le quali non vengono elaborate coscientemente e che pertanto non sono oggetto della nostra attenzione, non vanno perse o per lo meno non tutte e non subito, esse a volte si fermano solo per pochi secondi in una anticamera chiamata Registro Sensoriale (RS) che ne conserva una traccia fedelissima per pochi millesimi di secondo e che corrisponde più o meno al tempo di permanenza nel nostro sistema nervoso centrale, della modificazione biochimica derivante dalla stimolazione di quel recettore Altre informazioni non vengono affatto cancellate, soprattutto se sono piuttosto durature ma concorrono inconsapevolmente alla creazione dei significati soggettivi delle situazioni. Ad esempio, potremmo non accorgerci che l’aria in un certo ambiente sia un po’ viziata ma, in ogni caso, quel posto potrebbe non piacerci o ci potremmo sentire genericamente a disagio. Nell’individuo normovedente circa l'80% delle informazioni percettive che vengono elaborate sono derivanti dal canale visivo. La modalità visiva ha un ruolo dominante e spesso giunge ad assorbire l'attenzione distraendola da altri canali sensoriali. Ciò ha un valore filogeneticamente adattivo, in quanto la vista si è rivelata più efficace di altri sensi nel controllo dell'ambiente e pertanto, essendo fondamentale per la sopravvivenza, è divenuta quella predominante su tutte le altre. Gli studi condotti in condizione di deprivazione sensoriale visiva hanno però portato alcune importanti informazioni sulla percezione normale in quanto hanno consentito di valutare quanto i vissuti extravisivi siano quantitativamente e qualitativamente pregnanti, anche quando non sono consapevolmente elaborati dalla persona (subcezione). é abbastanza conosciuto il fenomeno per il quale, se si benda una persona e la si mette in condizione di porre attenzione a ciò che percepisce, essa riuscirà a notare alcuni stimoli percettivi extravisivi che sebbene fossero presenti nel suo campo fenomenico anche in precedenza, venivano per così dire “offuscati” e coperti dalle percezioni visive alle quali precedentemente prestava la sua attenzione. Così può notare e analizzare suoni, temperature, pressioni, vibrazioni varie che prima soggettivamente non notava. In alcune discipline si usa addirittura bendare le persone per educarle ad affinare la propria capacità percettiva extravisiva, quando ciò è funzionale al raggiungimento di uno scopo ben preciso.
Percezioni extravisive ed ambiente subacqueo Anche sott’acqua, oltre che sulla terraferma, noi siamo portati ad analizzare e prendere in considerazione elementi di tipo visivo in modo predominante rispetto alle altre percezioni, ma ciò non significa che queste ultime non ci siano. li studi sulla psicologia e sui vissuti delle immersioni, offrono numerosi spunti di approfondimento in questo settore in quanto, pur essendo questa una attività basata sul controllo e sulla conoscenza visiva, l’immersione è una esperienza nella quale le afferenze extravisive sono molte e molto forti anche se a volte queste non sono vissute consapevolmente. Anche sott’acqua, le percezioni extravisive concorrono a costituire gli aspetti “non razionali” dell’esperienza e del suo vissuto. La valenza introspettiva dell’esperienza subacquea, deriva dal fatto che questa ultima è ricca di stimoli percettivi di tipo non visivo, che pur non essendo riconosciuti immediatamente dal sommozzatore, incidono profondamente su di lui, dandogli la possibilità di vivere in una dimensione psicologica particolarmente adatta per l’attuarsi di alcuni processi mentali. Questi sono facilitati perché la persona durante le immersioni vive esperienze alcune delle quali sono la amplificazione di qualcosa che si può trovare anche sulla terra, ma che nell’acqua è più accentuato, altre invece sono possibili soltanto nella dimensione subacquea concorrendo così alla creazione di un’opportunità davvero unica per l’estrinsecarsi di certi fenomeni.
Tridimensionalità dello spazio vissuto: - la necessità di scaricare il nostro peso corporeo su di una superficie orizzontale che noi abbiamo in ambiente aereo, ci costringe a passare la nostra vita attaccati al suolo e a vivere la dimensione spaziale solo dal punto di vista bidimensionale. In altre parole tutti i momenti della nostra vita noi ci localizziamo e ci collochiamo nello spazio attraverso un criterio basato su due dimensioni. Anche se sappiamo che lo spazio ne ha tre ne occupiamo la terza solo limitatamente alla nostra altezza. La terza dimensione che si estende al di sopra del nostro capo può essere conosciuta attraverso i sensi distali della vista e dell’udito, non può però essere dominata né occupata fisicamente o vissuta realmente da noi in nessun caso. Ciò limita sia il nostro modo di percepire lo spazio che la quantità e qualità delle posture che possiamo assumere. In ambiente subacqueo questa limitazione non esiste perché ci è consentito di viverla concretamente, occupando tutta la terza dimensione. Anche la nostra collocazione ed il nostro orientamento all’interno di uno spazio viene ad essere completamente modificato in virtù del fatto che siamo costretti a tenere in considerazione contemporaneamente tre dimensioni alla volta per poterci collocare.
Individuazione costante del confine fisico tra il corpo ed il suo esterno: - in ambiente aereo la densità e la pressione dell’aria che ci circonda non sono sufficienti per consentirci di percepirne la presenza. Ci muoviamo, infatti, come se fossimo nel vuoto, anche se in realtà siamo immersi nell’aria. Anche la resistenza ai nostri movimenti che viene esercitata da questo elemento gassoso, non è sufficiente per poterci consentire la percezione del confine tra la nostra pelle e l’aria stessa, ossia tra l’interno e l’esterno di noi. In ambiente subacqueo invece è possibile, anzi è molto comune riferire l’esperienza della consapevolezza costante del confine dello spazio entro il quale siamo contenuti, in quanto possiamo facilmente percepire la presenza dell’acqua che ci circonda e che ci avvolge, riempiendo tutto lo spazio esterno a noi. Così soggettivamente non solo scopriamo che non siamo nel vuoto, ma percepiamo in modo contenitivo e presente il limite fisico dello spazio tridimensionale occupato da noi stessi, e costantemente il confine tra il sé e l’altro da sé.
Riscontro uditivo del ritmo respiratorio: - la percezione dei ritmi biologici e dei parametri fisiologici è ormai usato in molte situazioni terapeutiche per aiutare le persone ad acquisire o ristabilire stati psicofisici positivi (biofeedback). Abbiamo sulla terraferma la necessità di sonorizzare o visualizzare alcuni di questi parametri direttamente legati al nostro sistema nervoso autonomo. La necessità di questa sonorizzazione o visualizzazione nasce dal fatto che questi parametri non sono direttamente accessibili al livello della coscienza (pressione arteriosa, conduttanza palmare ecc.) oppure perché essi sebbene direttamente percepibili, vengono come al solito sommersi da altri stimoli. In ambiente subacqueo si ha la possibilità di percepire direttamente una serie di parametri di cui il più importante è quello del ritmo respiratorio il quale finalmente emerge dal rumore di fondo degli altri rumori finalmente silenziati. Esso è uditivamente e propriocettivamente addirittura amplificato dall’attrezzatura necessaria a respirare (il secondo stadio) e così finalmente nel nostro campo percettivo si staglia il nostro respiro nitido, forte e chiaro, sempre costante. Nella massima parte dei casi il rumore procurato dalle bolle della nostra aria espirata, è assolutamente l’unico rumore per tutta l’immersione.
Consapevolezza propiocettiva dei passaggi posturali: - come ho accennato parlando della riconquista della tridimensionalità spaziale, la maggiore densità del mezzo in cui il sommozzatore è immerso, rende necessaria una maggiore lentezza dei movimenti la quale è determinata per lo più dalla maggiore pressione e resistenza dell’acqua rispetto all’aria. Questa condizione rende più costante l’attenzione non tanto alle posizioni (il che si spiega con una maggiore consapevolezza del confine fisico tra l’interno e l’esterno) quanto ai passaggi posturali, anche perché il più delle volte si tratta di passaggi inconsueti in quanto la mancanza della gravità rende possibili movimenti e cambiamenti di posizione che in ambiente aereo non sarebbero possibili. I movimenti oltre che più lenti sono più consapevoli o per essere precisi sono più facilmente oggetto della nostra consapevolezza.
Consapevolezza propiocettiva della pressione differenziata e della resistenza tra il corpo e il suo esterno a partire da un punto di riferimento: - quando il sommozzatore “trova l’assetto” in effetti svolge una complessa operazione di bilanciamento tra forze contrapposte. Fin qui niente di strano, tutti quelli che vanno sott’acqua hanno appreso nei loro corsi le leggi della fisica ed il perché di certe necessità tecniche. Il fatto è che per poter ottenere una galleggiabilità neutra occorre considerare informazioni che in alcuni casi non sono di tipo visivo bensì sono percezioni via via più raffinate che hanno a che vedere con la valutazione della spinta o della resistenza verso l’alto o verso il basso a partire da un punto di riferimento stabile fisso e solido. Molti esercizi di assetto si svolgono con un controllo totale visivo e perciò questo punto di riferimento viene osservato e tenuto d’occhio come punto 0. Ma esiste tutta una dimensione extravisiva di questo fenomeno che chi si immerge nel blu, di notte o in condizioni di scarsa visibilità conosce molto bene intuitivamente o, se non lo conosce, lo prende in considerazione subconsciamente. Tali aspetti attengono alla percezione relativa ed assoluta dell’attrezzatura lungo l’asse verticale: gli spallacci del GAV, la pressione sui timpani, la stabilità o fattorialità dei nostri movimenti ed i loro effetti sugli spostamenti sul piano verticale. Queste percezioni che sono talmente delicate e impalpabili da essere difficilmente descrivibili, divengono comunque elementi importanti che concorrono alla sensazione soggettiva di stare nell’acqua e gestire il proprio assetto. La capacità del sommozzatore di percepire e gestire attraverso queste informazioni la propria immersione è graduale e migliora con l’esperienza, ma si tratta pur sempre di una competenza e di un addestramento percettivo che in ambiente aereo egli non avrebbe avuto modo di acquisire. Come si può vedere, i sensi “distali”, che cioè servono a percepire elementi posti distanti da chi osserva, come l’udito sono annullati oppure sono messi in condizione di non funzionare al massimo delle loro potenzialità, nell’acqua. I sensi “prossimali”, che riguardano la conoscenza dell’ambiente a contatto con la persona o di quello che si trova al suo interno (propiocezione) sono esaltati. Così nell’immersione per quanto attiene l’esterocezione sono più agevolate le percezioni prossimali, e sono poi esaltate tutte le informazioni di tipo propiocettivo ed interocettivo. Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo2.htm Negazione ed immersione subacquea di Maria Luisa Gargiulo Quanto e come i meccanismi di difesa possono influenzare la fenomenologia e il comportamento del sommozzatore in caso di problematiche relative o secondarie all'immersione subacquea. Abbiamo letto sulla rivista del DAN "Alert Diver" del settembre 2002 di una ricerca che illustra alcuni dati sulla scarsa capacità di alcuni subacquei di accorgersi di avere una malattia da decompressione attraverso l'autosservazione di alcuni sintomi soggettivi. In questo articolo si prende spunto da quella ricerca per commentare alcuni processi psicologici che sono emersi e per parlare dei meccanismi di difesa che a volte noi mettiamo in atto e del perché lo facciamo. Quella che alcuni redattori di quella rivista hanno chiamato "la sindrome del diniego", è in realtà un meccanismo di difesa (purtroppo non molto conveniente), che si è osservato in alcuni sommozzatori. Questo fenomeno, come altri processi psicologici, è alla base di alcune nostre "stranezze".
Un filtro per guardare la realtà Quando osserviamo i nostri personali stati d'animo e le nostre condizioni fisiche prima e dopo un'immersione, quando valutiamo e cerchiamo di prevedere la difficoltà o lo sforzo necessario per compiere una performance, quando giudichiamo un allievo, in generale quando osserviamo e valutiamo la realtà e quello che ci succede, spesso poniamo un filtro molto personale a ciò che viviamo e questo dipende dal fatto che "ci difendiamo" da alcuni elementi che potrebbero essere per noi dannosi, mettendo una lente, una specie di schermo tra noi e la nostra esperienza. Sono questi i famosi "meccanismi di difesa" tanto ingombranti quanto a volte utili al mantenimento del nostro equilibrio. Ma cosa sono questi meccanismi di difesa? Perché avvengono e cosa difendono? Perché a volte essi sono l'origine di comportamenti inadeguati? Continuando ad utilizzare la metafora della lente filtrante, possiamo dire che come per le lenti che usiamo normalmente, alcune sono solamente benefiche, o servono ad esempio soltanto a diminuire d'intensità un'esperienza troppo forte ma non ne deformano il significato, proprio come fanno gli occhiali da sole che ci riparano dalla luce troppo forte ma che non danneggiano la nostra capacità di vedere le cose. Un paio d'occhiali da sole non è altro che una difesa, qualcosa di positivo ed utile che ci rende più capaci di affrontare la realtà, ad esempio permettendoci di stare senza danni ne fastidi all'aperto in una bella giornata di sole; così una difesa psicologica adeguata, permette alla persona che l'allestisce di affrontare in modo più conveniente la situazione. Il costo psicologico ed energetico che la persona deve pagare per mettere in atto quella difesa, è senza dubbio più basso del vantaggio che essa ne ricava. Ci sono altre situazioni in cui le difese lavorano come lenti o specchi deformanti perché a volte sono capaci di cambiare o nascondere il contenuto della realtà od una parte di essa. Così ci capita di guardare noi e quello che ci circonda, come attraverso degli occhiali costruiti male, o fatti per un'altra persona. I sommozzatori il cui comportamento viene analizzato nella ricerca guardavano i loro sintomi come attraverso un paio d'occhiali sbagliati e così sono andati a sbattere contro la loro malattia da decompressione perché non l'hanno saputa vedere.
Commento alla ricerca La
ricerca concerne le chiamate per emergenza subacquea pervenute alla
centrale DAN Europe da tutte le parti del mondo per un totale di 233
chiamate con la seguente distribuzione geografica di provenienza: I chiamanti sono stati divisi in tre categorie: principianti, esperti, istruttori/guide. Il fenomeno che emerge dall'osservazione dei dati è che in genere tra i sub principianti ci sono una maggiore percentuale di "falsi positivi", ossia di chiamate di emergenza per supposta malattia da decompressione la quale non è poi stata confermata dagli accertamenti successivi condotti dai clinici. Questo dato, osservabile nella tabella seguente, a prima vista potrebbe essere interpretato in differenti modi ma tra questi ve ne sono alcuni più ed alcuni meno verosimili.
Come si può osservare nell'ultima colonna si passa dal 14 al 70% di conferme di MDD e la maggiore percentuale se da una parte fa pensare ad una maggiore capacità dell'istruttore ad autodiagnosticarsi la malattia da decompressione (cosa in verità assai poco credibile vista la difficoltà degli stessi medici iperbarici a farlo) dall'altra lascia intravedere una tendenza, tutta da studiare e verificare, degli istruttori e delle guide a segnalare i casi di supposta malattia con una estrema difficoltà, solo in caso di assoluta palese concorrenza di differenti ed inequivocabili sintomi. Un commento a tale dato potrebbe essere pertanto il seguente: "più cresce l'esperienza e la dimestichezza con l'attività subacquea e più è difficile per le persone supporre o temere di avere una malattia da decompressione". Un'altra visione della situazione potrebbe essere ingenuamente credere che i subacquei neofiti, avendo fatto un corso da poco tempo, hanno nella loro mente, più freschi e più presenti i sintomi e la possibilità, nello svolgimento delle attività di un sommozzatore, di incorrere in un incidente iperbarico. In realtà però anche gli istruttori, proprio per la loro maggiore anzianità nell'ambiente subacqueo sono ben consci che l' MDD è una realtà possibile e, specialmente quelli che insegnano ad andare sott'acqua, hanno ben presenti queste informazioni e queste nozioni giacché le insegnano ai loro allievi. Non è pertanto un problema di scarsa informazione o conoscenza che differenzia i gruppi, anzi chi dovrebbe saperne di più, sono proprio i più esperti. Si tratta forse di un problema di origine psicologica? Sembra, infatti, che le persone facciano fatica ad accettare l'idea od ammettere la probabilità di avere una MDD, proprio quando la loro esperienza è maggiore. Anche se questi dati vanno approfonditi con altri studi ed ulteriori riflessioni da parte di tutta la comunità scientifica, sembra infatti che si instauri un meccanismo di negazione di questa eventualità, non in senso generale ma riferita alla propria persona. E' come se l'istruttore dicesse, "ma non è possibile che proprio io che sono così bravo abbia un problema del genere". Se tutto ciò fosse vero, la cosa personalmente non mi sembrerebbe affatto strana, visto che è ancora abbastanza diffusa la convinzione che stare male durante o dopo una immersione è cosa da cattivi subacquei e che se si sta male, vuol dire necessariamente che si è sbagliato qualcosa. Sicché un sub esperto, prima di prendere in considerazione una tale ipotesi, deve vincere tutte quelle difese psicologiche legate alla propria integrità ed alla propria autostima, che ne rendono un po' più difficile e lento l'affiorarsi alla coscienza. Qualcosa di molto simile, sembra che accada per gli attacchi di panico in immersione, essi infatti, stando a quanto sta emergendo dalle ricerche, sono una delle più grosse cause di incidente subacqueo ma quasi nessuno ha mai il coraggio di ammettere di averne avuto uno, ma di questo avremo modo di occuparci in futuro.
Cosa significa negazione? La negazione è un meccanismo di difesa fondamentale tramite il quale determinati aspetti della realtà, come viene percepita dal soggetto, sono trattati come se non esistessero; tale processo viene spesso diretto contro angosce legate alla propria incolumità fisica o di una persona cara. Un altro meccanismo di difesa con cui la negazione può essere confuso è la rimozione.La rimozione indica il tentativo di dimenticare qualcosa di cui l'individuo è consapevole a livello inconscio; con la negazione viene cancellata dalla mente l'esistenza stessa di quell'episodio, quell'emozione o quel pensiero e, soprattutto, si vuole assolutamente negare la possibilità di quello che è avvenuto. In altre parole con la rimozione si sa che è avvenuto qualcosa e perciò si cerca di non ricordarlo perché sgradevole; nella negazione l'elemento non e mai esistito e spesso al suo posto la persona è convinta di qualcosa d'altro.
Panoramica dei meccanismi di difesa
Il
grande merito della psicoanalisi è stato quello di aver fatto
comprendere alla comunità scientifica come l'uomo sia dotato di una
parte cosciente, e di una non cosciente, in cui hanno luogo moltissimi
meccanismi in grado di influenzare radicalmente il nostro comportamento. Alcuni di essi sono chiamati "meccanismi di difesa" , sono inconsci per
cui sono messi in atto "automaticamente" dalla psiche. Essi non sono
necessariamente patologie, ossia non si riscontrano solo nei disturbi
mentali ma sono modi caratteristici di ogni individuo di far fronte alle
difficoltà della vita. Da molti autori sono state descritte e variamente denominate le varie categorie di meccanismi di difesa. Qui di seguito le elenchiamo e successivamente le descriveremo in modo che il lettore possa più agevolmente riconoscerle nel proprio comportamento quotidiano od in quello di altre persone. In ogni caso spessissimo è difficile riconoscerle a prima vista a causa del fatto che le difese, proprio perché funzionano bene, "reggono" ossia sono il più delle volte davvero efficienti nel celare alla coscienza ciò che hanno la funzione di difendere. Nella maggior parte dei casi, questi meccanismi esistono proprio perché la persona non può o non deve accorgersi di qualcosa, come spiegheremo meglio nel paragrafo "cosa difendono i meccanismi di difesa?" Essi sono: Rimozione - Formazione reattiva - Annullamento - Negazione - Proiezione - Rivolgimento contro il Sé - Regressione - Isolamento - Somatizzazione - Sublimazione.
I meccanismi di difesa, anche se sono caratteristica di tutti gli individui, assumono una predominanza e spesso compaiono in base ad un certo ordine evolutivo. Ciò vuol dire che esistono meccanismi più arcaici, tipici delle prime fasi dello sviluppo e altri che sono più maturi e più tipici dell'individuo adulto i quali tendono ad essere perciò meglio differenziati e meglio organizzati rispetto ai primi. Alcuni studiosi hanno notato anche una componente culturale ed etnica nella predominanza di un meccanismo di difesa rispetto agli altri e ciò vale anche in base ai differenti periodi storici.
La rimozione è un processo che ha come risultato la cancellazione dalla conoscenza di un impulso indesiderato, o qualsiasi suo derivato: ricordi, emozioni, desideri o fantasie di realizzazione di desideri. E' il più efficace dei meccanismi di difesa, in quanto la sua forza d'azione è radicale e definitiva , ed è anche il più pericoloso. Questo meccanismo ha una parte importante nella formazione di sintomi di tutte le specie. La rimozione fu il primo meccanismo scoperto e descritto da Freud. Essa, se ben riuscita, porta all'oblio, o all'amnesia, è un meccanismo di difesa che certamente protegge molto bene l'individuo e che a piccole dosi funziona normalmente in ogni essere umano; se è troppo pronunciata ed invade tutta la personalità, si ha a che fare con comportamenti patologici. E' interessante notare che l'intero processo di rimozione si compie inconsciamente. Non è inconscio solamente il materiale rimosso, ma sono del tutto inconsce anche le attività che costituiscono il processo di rimozione. Lapsus, amnesie o angoscia apparentemente immotivata possono essere segnali di una avvenuta rimozione.
Formazione reattiva: al termine di questo processo si ha una inversione di alcuni impulsi o sentimenti nel loro contrario: ad esempio l'odio appare sostituito dall'amore, oppure l'aggressività dalla mitezza, perché l'elemento celato, che persiste inconsciamente, è qualche cosa che l'Io teme come pericoloso e da cui si difende. Si tratta di un meccanismo secondario, destinato essenzialmente ad impedire il ritorno del rimosso alla coscienza. La rimozione gli è dunque preesistente, tanto che la formazione reattiva può essere considerata una sorta di sostegno a cui si fa appello per rafforzare la rimozione allorché questa perde di efficacia.
L'annullamento consiste in un'azione che contraddice o annulla il danno
che l'individuo immagina che possa venire causato dai propri desideri
aggressivi, ad es.: prima colpisce l'oggetto della sua ira; e poi lo
bacia; la seconda azione annulla la prima. L'annullamento è un atto difensivo a due fasi: Nella prima un impulso
proibito viene espresso o nell'azione oppure nel pensiero, nella seconda
fase viene eseguito un altro atto per "cancellare" l'impulso espresso
nella prima fase.
Negazione: consiste nel diniego di una parte spiacevole o indesiderata della realtà esterna, sia mediante una fantasia con la quale si esaudisce il desiderio, sia mediante il comportamento. Ad esempio la negazione della paura con un comportamento spavaldo.
La proiezione è un'operazione con cui il soggetto espelle da sé e localizza nell'altro, persona o cosa, delle qualità, dei sentimenti, dei desideri che egli non riconosce o rifiuta ma che in realtà gli appartengono. La proiezione è un meccanismo di difesa che di norma recita la sua parte più grande nei primi tempi di vita infantile. Come la negazione, anche la proiezione è uno dei meccanismi di difesa più primitivi. La proiezione viene usata spesso da persone normali per diminuire le tensioni ordinarie di ostilità interpersonale, ma a volte la si trova in persone nelle quali la vita affettiva-relazionale non è molto soddisfacente. Perciò esso appare spesso evidente nei conflitti coniugali, in certi tipi di dipendenza da sostanze e in alcuni sistemi patologici. Rivolgimento contro il sé: avviene quando la persona indirizza verso se stessa emozioni, sentimenti, impulsi o pensieri che in realtà essa prova nei riguardi di un altro elemento ma che non saprebbe gestire oppure accettare.
Regressione: è un meccanismo di difesa che svolge un ruolo importante nelle situazioni di grave minaccia della propria integrità. La regressione si caratterizza con il ritorno a modi di espressione e di comportamento tipici di un livello di sviluppo inferiore o di una fase già superata La regressione implica un ritorno a comportamenti e a modi di funzionamento psichici che sono caratteristici di stadi più antichi, in special modo degli anni infantili. Il ritorno simbolico agli anni dell'infanzia consente alla persona di evitare l'avversità presente e di trattarla come se non fosse ancora accaduta attraverso un "ritorno al passato". La regressione, secondo alcuni autori, viene allestita in modo caratteristico ogni qualvolta una persona soffre di una disillusione, e si può notare perché la persona tende verso periodi e stili di comportamento precedenti della sua vita, che gli offrirono esperienze più piacevoli, e verso tipi antichi di soddisfazione che furono più completi.
Isolamento: si tratta della separazione di due o più elementi che in origine erano collegati ad esempio un episodio accaduto viene ricordato ma viene rimossa l'emozione od il sentimento ad esso collegato. I sentimenti vengono sperimentati come dissociati dall'elemento che li ha originati e vengono esperiti come immotivati od attribuiti a qualche altra causa. Gli impulsi altre volte vengono sperimentati soltanto come idee estranee; sembra che non appartengano realmente alla persona, e quest'ultima non li sente come reali. Ad esempio pur discutendo di fatti particolarmente significativi da un punto di vista emotivo, il soggetto rimane calmo, emozionandosi invece, in modo incomprensibile, per fatti banali, senza rendersi conto di aver spostato l'emozione.
Somatizzazione: consiste nello spostare sul piano fisiologico il disagio provocato da conflitti non gestibili consapevolmente. Ad esempio l'emozione e la perturbazione affettiva che dovrebbero comparire a causa di un conflitto, non sono vissute nella sfera psichica ed elaborate da questa, ma deviate sul corpo, concorrendo all'insorgenza di disturbi funzionali. La comparsa di un danno o di un malfunzionamento fisiologico può essere considerato come un meccanismo di difesa che evita la sofferenza psicologica ed il conflitto. La somatizzazione è di facile osservazione, oltre che in campo di medicina psicosomatica, anche in campo sportivo, poiché l'investimento sul corpo e sul suo funzionamento sono molto forti in questo settore ed i "linguaggi" del corpo sono oggetto di una attenzione e di un significato particolari, essendo legati al concetto di performance, di salute, di "forma", ecc..
La sublimazione indica lo spostamento di un impulso o di un istinto nella direzione di un comportamento che gode dell'accettabilità e dell'approvazione sociale o del sistema di valori del soggetto stesso. La sublimazione può essere tanto un meccanismo di difesa quanto una funzione dell'Io. Gran parte del comportamento socialmente valido è basato sulla sublimazione, e in certa misura lo sono anche comportamenti complessi e raffinati, oltre che alcune attività motorie e sportive.
Cosa difendono i meccanismi di difesa? Difendono il soggetto dall'ansia. Quando in un soggetto l'ansietà esperita supera determinati livelli, egli mette in opera dei meccanismi di difesa che funzionano a livello inconscio, e tendono a ridurre la tensione del soggetto e quindi a preservare il suo equilibrio emotivo. Essi esistono per difendere i propri confini e per difendersi dalla possibilità che gli stimoli esterni siano troppo forti e non colpiscano l'individuo su punti di vulnerabilità. Da un punto di vista cognitivo, si può dire che un meccanismo di difesa difende l'Io, cioè un organismo capace di rappresentazioni e di regolazione cognitiva. Lo difende dalla sofferenza psichica, cioè dalla sofferenza dovuta a rappresentazioni, il cui punto fondamentale è l'assunzione di compromissione di uno o più scopi. I meccanismi di difesa operano sia sugli scopi sia sulle assunzioni che causano sofferenza, modificandone vuoi il contesto vuoi il contenuto. Perché venga applicata una difesa, va tenuto conto sia di alcuni vincoli generali di plausibilità cognitiva, sia di possibili differenze individuali.
Concludendo In altre parole la persona si difende dalla realtà in base al significato soggettivo che essa riveste. Spesso una difesa viene allestita quando due credenze o due scopi appaiono dissonanti tra loro, oppure quando ciò che la persona esperisce è dissonante con uno di essi. Ad esempio quando due presupposti ad un ragionamento o ad una credenza sono così importanti per l'equilibrio della persona, che se essa si rende conto che qualcosa potrebbe mettere in dubbio uno più di questi presupposti, quest'ultima viene negata.
Nel caso di specie osserveremmo i seguenti presupposti : - io sono un bravo sub; - gli incidenti subacquei capitano a chi non sa andare sott'acqua. La difesa che viene allestita è la "negazione dei sintomi", che ha esattamente lo scopo di conservare la veridicità dei due presupposti elencati sopra, i quali, differentemente, sarebbero messi in discussione. Infatti l'unico compromesso possibile in questa situazione è proprio quello di negare i sintomi di una malattia da decompressione per conservare l'equilibrio attraverso una distorsione cognitiva della realtà. Le distorsioni cognitive sono errori sistematici di ragionamento che si rendono evidenti nella sofferenza psicologica. Comprendono: inferenza arbitraria, astrazione selettiva, eccesso di generalizzazione, esagerazione e minimizzazione, personalizzazione, pensiero dicotomico.
Perciò uno dei modi per risolvere il problema è: - io non sto vivendo un incidente subacqueo; che corrisponde pari pari a quella "sindrome del diniego" di cui si faceva cenno all'inizio di questo articolo. La ricaduta in termini sociali e di medicina dell'emergenza appare ovvia: chi soccorre o chi assiste anche casualmente ad un incidente avente come soggetto una persona che tende a negare, avrà maggiore difficoltà a comprendere la situazione perché ci saranno elementi soggettivi che emergeranno con ritardo, racconti fatti a mezza bocca, sintomi vergognosamente celati. Ovviamente la negazione se si può osservare nel momento successivo all'incidente, a maggior ragione esiste prima di esso: sappiamo bene che ci sono alcuni piccoli indizi della possibile presenza di un problema fisico o della pericolosità di un certo comportamento, i quali potrebbero essere utilizzati dal sommozzatore prima dell'effettivo insorgere del problema stesso. Tali informazioni possono essere utilizzate per fare delle scelte, prendere decisioni, modificare il proprio comportamento. Ebbene, a mio avviso, la pericolosità del meccanismo della negazione raggiunge il suo massimo danno proprio quando il sommozzatore non esercita la propria capacità di prevenzione dei rischi perché nega a se stesso l'esistenza di segnali o sintomi specifici annullandoli, oppure razionalizza o interpreta, attribuendo loro un significato non realistico e distorto dalla difesa. Tratto da: http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sport/gargiulo3.htm Conflitti e contenuti nelle attività e nel vissuto dei subacquei di Maria Luisa Gargiulo
Il titolo di questo scritto vuole essere una
anticipazione del taglio che desidero dare a questo lavoro, ossia
eminentemente evocativo. Nell'ambito dello studio e della ricerca
applicativa della psicologia delle attività subacquee e del
sommozzatore, emergono alcuni motivi ricorrenti che si possono
intravedere sia dai racconti spontanei sia nella raccolta dei dati a
vario titolo ed a vari livelli di approfondimento. Nell'accostarsi al
mondo del mare e della subacquea è utile tenere presente quali e quante
modificazioni psicosociologiche ci siano state e quali tracce abbiano
lasciato nella nostra situazione attuale, come pure quante e quali
valenze possano esserci dietro comportamenti e significati condivisi.
Sotto questo ultimo aspetto ho ritenuto opportuno indicare alcune
dimensioni significative interpolate tra due posizioni opposte ed
antitetiche che indicano gli estremi di un continuum, per individuare
conflitti o temi problematici a mio avviso caratteristici delle attività
subacquee.
Negli ultimi dieci anni si sono coagulate alcune modificazioni di ordine psicosociologico riguardanti la subacquea; esse per certi versi sono il
frutto di processi di trasformazione che erano in atto da anni, per
altri corrispondono allo spostamento del significato e della tipologia
delle persone che praticano questa attività, della modificazione del
loro numero e, perché no, del passaggio generazionale.
La subacquea era praticata nella generazione precedente di sommozzatori, da persone che, anche in virtù della particolare conformazione dei
fondali mediterranei, erano aduse ad immergersi in alte profondità,
senza l'ausilio di particolari attrezzature tecnologiche atte a
diminuire il loro sforzo fisico oppure a metterli in condizioni di
sicurezza. questi personaggi erano vissuti come degli eroi o quasi,
coloro i quali osavano sfidare le profondità del mare con il loro
coraggio, il loro sangue freddo, la loro temerarietà. Queste
attribuzioni di ruolo in realtà non erano così immotivate; se pensiamo
che i subacquei di una volta non utilizzavano ad esempio alcun giubbotto
equilibratore e compensavano la tendenza ad essere portati verso il
basso o verso l'alto esclusivamente aumentando o diminuendo il volume
della massa toracica con appositi movimenti legati alla respirazione,
comprendiamo perché la componente fisica era molto importante.
Abbiamo ad esempio assistito a fenomeni di affiliazione alla subacquea,
di gruppi o di persone le quali vivendo in città o nazioni lontane dal
mare, non possono annoverare al loro attivo una tradizione, una
simbologia, una mitologia legata al mare ed alle sue profondità.
Estendendo alle attività che si praticano prima e dopo l'immersione il
nostro ragionamento, troviamo che esiste attualmente anche una forte
preponderanza della dimensione gruppale se si considerano gli
spostamenti, i preparativi, i viaggi, le attività corsuali e
formative, quelle ricreative promosse dai circoli e dai negozi
specializzati.
Profondofilia e profondofobia
Vestizione e transizione
Ossessione e trasgressione
La raccolta dei dati
Le tabelle US NAVY, come il termine suggerisce sono state il frutto della ricerca applicata ad una certa categoria di sommozzatori degli Stati Uniti d'America. Senza addentrarci nell'intricatissimo mondo dei modelli teorici alla base delle differenti tabelle applicative, possiamo però dire che via via si sta assistendo ad una sempre maggiore verifica sperimentale delle ipotesi di lavoro in medicina subacquea, fino ad arrivare a ricerche basate sulla raccolta dati di un campione molto vasto, quali la recentissima ricerca in corso da parte di DAN Europe, che ammonta attualmente a circa 18.000 immersioni. Non così in psicologia. I nostri canali attuali di osservazione dei fenomeni sono molteplici ma piuttosto disomogenei e vanno dalla raccolta spontanea dei racconti che possiamo ottenere nei centri o nelle scuole , dalle richieste di consulenza le quali di norma avvengono in concomitanza di un trauma per un pericolo occorso o scampato, dalle attività di supervisione ai formatori della subacquea, attività invero non ancora entrate nella routine delle differenti didattiche, bensì ancora legate ad episodi lodevoli ma ancora rari, dalla lettura e dalla disamina della letteratura di racconti autobiografie e materiale vario, dalla analisi delle prime iniziative di monitoraggio psicologico di alcuni fenomeni attraverso questionari e somministrazione di test.
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