78.
LA FISIOLOGIA DELL’IPERBARISMO
Da http://mediterraneodiving.wordpress.com/2007/09/24/fisiologia-delliperbarismo/
L’aria che respiriamo, e con la quale sono normalmente cariate le
bombole utilizzate dai sub, è composta dal 20.96% d’ossigeno(O), il 78%
d’azoto(N2), lo 0.04% d’anidride carbonica(CO2) ed
un 1% d’altri gas. Tali percentuali, per convenzione e semplicità di
calcolo, sono arrotondate al 21% d’ossigeno e 79% d’azoto.
L’ossigeno, gas metabolico, è utilizzato nei processi d’ossidazione
dalle nostre cellule. L’azoto, gas inerte, non viene in alcun modo
adoperato. Basta analizzare le percentuali dei gas dell’aria espirata,
16,96% di O,78% di N2, 4,04% di CO2 e l’1% di
altri gas, per accorgersi che ad una percentuale d’ossigeno utilizzata,
ne corrisponde un’identica di anidride carbonica prodotta. La
percentuale degli altri gas e dell’azoto resta invariata. Quest’ultimo,
durante la discesa di un sub, con l’aumentare della pressione ambiente e
della miscela respirata, entra in soluzione nell’organismo,
continuando ad essere assorbito nel corso dell’immersione in funzione
della profondità e della durata della stessa. Nella fase di risalita,
quando la pressione ambiente diminuisce, l’azoto comincia a liberarsi
dai nostri tessuti per essere espulso. Se la variazione sarà molto
rapida, compiendo una risalita veloce, l’inerte, non avrà la possibilità
di fuoriuscire tranquillamente dal nostro organismo, così com’è avvenuto
nel processo di saturazione durante la discesa. Questo potrebbe portare
alla formazione di piccole bolle chiamate emboli, causa dell’embolia
o malattia da decompressione(MDD). La risalita dovrà quindi
essere lenta, per garantire la corretta eliminazione dell’azoto dal
corpo del sub.
Se la quantità assorbita eccede i limiti di sicurezza imposti dalla
subacquea ricreativa, la semplice lenta risalita, codificata in 10 metri
al minuto, potrebbe non essere più sufficiente. In tal caso si dovranno
effettuare delle soste chiamate tappe di decompressione.
L’azoto, respirato ad elevata pressione, superati i 30-40 metri, è anche
causa della narcosi d’azoto: l’effetto può essere paragonato ad
un’ubriacatura, infatti la narcosi viene comunemente chiamata “effetto
Martini”. I sintomi possono portare il sub a comportamenti
pericolosi per la propria incolumità e quella del compagno. L’iniziale
ilarità ed eccessiva sicurezza lasciano solitamente il posto ad
insicurezza, depressione, totale disinteresse e difficoltà nella lettura
degli strumenti. Fino al sopraggiungere di visione a tunnel e, infine,
il più grave black out.
Gli argomenti, in forma poco approfondita, sono frutto di leggi fisiche
e sperimentazioni medico-scientifiche, che si basano sullo studio del
comportamento dei gas in soluzione nei liquidi, e dei diversi tessuti ed
organi del corpo umano in condizioni d’iperbarismo.
LA
DIFFUSIONE DEI GAS NEI TESSUTI DEL CORPO UMANO
Per capire il comportamento dei gas a contatto con i liquidi, fenomeno
difficilmente riscontrabile otticamente, è possibile fare un esempio con
due sostanze comunemente utilizzate: l’acqua e lo zucchero. Immergendo
in un bicchiere di liquido una serie di zollette di zucchero, e
mescolando in modo che quella inserita in precedenza sia completamente
sciolta, si noterà che le zollette successive entreranno in soluzione
con maggiore difficoltà. Si arriverà al punto in cui lo zucchero
comincerà a depositarsi sul fondo del contenitore. Diremo allora che
l’acqua è satura di zucchero. Riscaldando l’acqua, noteremo che il
processo avverrà più rapidamente.
La velocità e la capacità di un liquido di fungere da solvente dipendono
dalla sua struttura molecolare. In funzione della dimensione delle sue
molecole, una sostanza, incontrerà una diversa “resistenza” per passare
in soluzione, ed una differente quantità di spazio disponibile da
occupare tra le stesse molecole. Infatti, ripetendo l’esperimento con
l’alcol, basterà un numero inferiore di zollette per raggiungere la
saturazione.
Con altrettanta facilità un gas si scioglie in un liquido, e, se il
rimescolamento è il meccanismo che fa sciogliere lo zucchero, per un
gas, tale meccanismo è la pressione.
Secondo la legge di Henry, la quantità di gas dissolta in un
liquido è direttamente proporzionale alla pressione del gas. Per una
corretta formulazione della legge bisogna anche considerare il
coefficiente di solubilità del gas, la tipologia e la quantità del
liquido, la temperatura ambiente e la dimensione della superficie di
contatto tra gas e liquido.
Se esponiamo alla pressione ambiente un liquido puro, che non contiene
alcun gas al suo interno, l’aria comincerà ad entrare in soluzione nel
liquido. La superficie di quest’ultimo farà da elemento separatore tra i
due ambienti. Il processo, all’inizio, avrà una velocità che tenderà a
diminuire man mano che il gas disciolto comincerà ad acquisire una sua
pressione, chiamata tensione del gas, che opporrà resistenza
all’ingresso di quello all’esterno del liquido. La differenza tra la
pressione e la tensione di un gas, è chiamata gradiente pressorio.
Non appena la tensione del gas contenuto nel liquido si troverà in
equilibrio con la pressione dello stesso, si dirà che il liquido è in
saturazione. Con i gas, così come con le sostanze solide, il
fenomeno della saturazione è influenzato dalla temperatura, ma, al
contrario di quanto avviene con i solidi, la soluzione è favorita dalle
temperature fredde. E’ ovvio che, più grande sarà la superficie di
contatto tra gas e liquido, più velocemente avverrà il processo.
Maggiore sarà la quantità di liquido, più gas vi si scioglierà.
Per quantificare il tempo necessario per raggiungere la saturazione, ad
una coppia gas-liquido è assegnato un tempo di emisaturazione o
emitempo. Questo non è altro che il tempo necessario perché un
gas saturi un liquido al 50% della saturazione totale. Occorreranno
circa 6 emitempi per raggiungere la saturazione. Nel primo tempo di
emisaturazione il gas saturerà il liquido al 50%. Nel secondo, andando
ad occupare un altro 50% dello spazio rimasto disponibile, si dissolverà
al 75% della saturazione totale. Seguendo lo stesso criterio, nel terzo
raggiungerà l’87,5%, nel quarto il 93,75%, nel quinto il 96,88%, nel
sesto il 98,45%. In pratica, per un sistema costituito da una coppia di
gas-liquido, con emitempo di 1 minuto, alla pressione di 1 atmosfera è
considerata raggiunta la saturazione in circa 6 minuti. Ovviamente, se
lo stesso sistema viene sottoposto ad una pressione di 2 atmosfere, di
minuti ne occorreranno circa 3.
Come si può notare dalle percentuali sopra esposte, realmente, non si
raggiungerà mai la saturazione totale. Il gas continuerà a sciogliersi
nel liquido in modo sempre più lento.
Con la diminuzione della pressione del gas al di fuori del liquido, il
sistema cercherà di tornare in equilibrio. In questo caso la tensione
sarà maggiore della pressione e il gas si troverà in una condizione di
sovrasaturazione. Il gradiente pressorio spingerà il gas dissolto
nel liquido a fuoriuscire, avviando il processo di desaturazione.
Quanto descritto corrisponde a quello che succede nel nostro organismo
in immersione. Durante la discesa e la permanenza sul fondo, respirando
ad una pressione identica all’ambiente circostante, e quindi maggiore di
quanto non avvenga normalmente, i gas che compongono l’aria si
diffonderanno nel sangue attraverso gli alveoli e di conseguenza,
tramite i capillari, nei tessuti del nostro organismo: muscolare,
connettivo, epiteliale, nervoso, osseo, adiposo, eccetera. Questi,
composti da alte percentuali di liquidi, si comportano come tali
assorbendo i gas, anche se con tempi diversi che variano in funzione
della loro densità. Le varie tipologie di tessuti del nostro organismo
sono rappresentate matematicamente tramite i loro tempi di
emisaturazione e vengono denominati compartimenti tissutali.
I modelli matematici attualmente in uso, prendono in esame tessuti che
variano dai 3 ad oltre 600 minuti di emisaturazione. Compartimenti con
periodi brevi vengono chiamati tessuti veloci, quelli con
periodi lunghi sono detti tessuti lenti.
LA
FORMAZIONE DELLE BOLLE NEI TESSUTI
Perché in un liquido, saturo di un gas, si formi una bolla, occorre una
repentina variazione pressoria di oltre 100 atm. Eppure, in subacquea,
basta la differenza di 1 atm di pressione, per crearne all’interno del
nostro organismo. Comunque, dopo ogni immersione, usciremo dall’acqua
con piccolissime bolle in circolo che prendono il nome di bolle
silenti o asintomatiche. E’ accertato che la bolle, durante
la desaturazione, si creano a partire da micronuclei gassosi
preesistenti nei nostri tessuti. L’origine di questi semi gassosi
viene attribuita a movimenti articolari e muscolari, scorrimento di una
superficie tissutale sull’altra, apertura e chiusura delle valvole
cardiache o variazioni di pressioni del sangue all’interno del sistema
circolatorio, che, creando zone di basse pressione a seguito di
movimenti vorticosi ne favoriscono lo sviluppo.
Teoricamente, una bolla di dimensioni così piccole, immersa in un
liquido, dovrebbe avere vita breve. Secondo la legge di Laplace,
la differenza tra la pressione all’interno di una bolla e quella
presente al suo esterno è inversamente proporzionale al raggio della
bolla stessa. Questo vuol dire che tanto più piccola è una bolla immersa
in un liquido, tanto maggiore sarà la pressione del gas al suo interno,
rispetto a quella del liquido. Grazie a questo squilibrio la bolla
dovrebbe dissolversi in seguito alla fuoriuscita del gas dalla stessa.
Sperimentalmente, invece, è stato appurato che molte bolle, soprattutto
se di piccole dimensioni, rimangono stabili all’interno di un liquido
per un lungo periodo. Si suppone che a darne stabilità siano delle
sostanze chiamate surfattanti. Queste ne irrigidiscono la
struttura, annullando le tensioni superficiali. E’importante
sottolineare che il surfattante riesce a rendere stabile una bolla
soltanto se il diametro di quest’ultima rientra in determinate
dimensioni, al di sopra o al di sotto delle quali diventa instabile.
Durante l’immersione, le bolle presenti nei nostri tessuti, verranno
alimentate dall’aumento della tensione dell’inerte. Risalendo, con la
diminuzione della pressione del gas all’esterno della bolla,
quest’ultima tenderà ad aumentare di dimensioni.
Teoricamente, una bolla immersa in un liquido, espandendosi oltre un
certo diametro, dovrebbe dissolversi nello stesso liquido. Nel caso che
ci riguarda, questa, invece, trovandosi tra i tessuti del nostro
organismo, potrebbe occupare eventuali spazi disponibili, perdendo la
sua forma sferica, creando ostruzioni del flusso ematico e provocando la
malattia da decompressione.
Il compito di una corretta risalita è quello di riuscire a contenere il
diametro della bolla al di sotto della tensione critica. Questa,
chiamata anche valore M, o limite di sovrasaturazione,
è il valore massimo di pressione di gas inerte che un ipotetico
compartimento tissutale può tollerare senza che si presentino sintomi di
malattia da decompressione.
Ad ogni compartimento è assegnato un valore M, che è un valore pressorio
espresso in metri di colonna d’acqua di mare, o msw (meter of sea
water). Più veloce è il compartimento, maggiore sarà il valore M, e
viceversa. Nelle immersioni profonde, generalmente sono i tessuti veloci
a raggiungere il valore M. In quelle poco profonde, i tessuti veloci non
si avvicineranno mai al valore M, per cui saranno quelli lenti a
determinarne la durata.
Proviamo a fare un piccolo esempio.
Secondo i parametri utilizzati per formulare il pianificatore per
immersioni ricreative, un compartimento tissutale con tempo di
emisaturazione di 5 minuti, ha un valore M di circa 30 msw. Se scendiamo
ad una profondità di 20 metri, questo tessuto, considerando quanto detto
prima sul tempo di saturazione, dopo 5 minuti avrà una pressione
tissutale di 10 msw, fino a raggiungere il valore di 20 msw dopo sei
emitempi ovvero dopo 30 minuti. Restando comunque ben lontano da quello
che è il suo valore M, che non potrà mai raggiungere. Al contrario, un
compartimento tissutale con tempo di emisaturazione di 80 minuti, al
quale è assegnato un valore M di circa 15 msw, alla stessa profondità di
20 mt, raggiungerà il valore M in due emitempi e quindi in circa 160
minuti. Tornando al compartimento di 5 minuti, se portato ad una
profondità di 40 metri, giungerà invece al valore M in circa 10 minuti.
Considerando tali valori è stata concepita quelle che viene chiamata
curva di sicurezza, dove, in rapporto alle profondità, vengono
fissati dei valori massimi di tempo, occorrenti per contenere la fase
gassosa entro limiti di sicurezza. Restando al di sotto di tali margini
è possibile risalire direttamente in superficie, rispettando
esclusivamente la velocità di risalita. Superandoli è necessario
effettuare delle soste, chiamate tappe di decompressione,
necessarie perché le bolle si muovano nel flusso ematico senza ostacoli
fino ai polmoni, dove verranno eliminate.
Si ipotizza che i micronuclei gassosi, già presenti nell’organismo del
sub prima dell’immersione, possono ridurre la loro dimensione, o
addirittura sparire del tutto, se sottoposti ad un rapido incremento
pressorio. Questa teoria sostiene i vantaggi di una discesa molto
rapida. Di contro, c’è chi sostiene che durante una discesa veloce, i
micronuclei, urtando tra di loro potrebbero aggregarsi e diventare più
pericolosi durante la risalita. Solo nel caso di discese molto profonde,
90-100 metri, si avrebbero dei vantaggi da una discesa molto rapida. In
questo caso, l’elevata pressione, sarebbe in grado di far collassate le
microbolle.
Comunque, come già detto in precedenza, dopo ogni immersione avremo una
certa quantità di bolle asintomatiche in circolo, la cui quantità
dipenderà dalla massima profondità raggiunta e dal tempo di permanenza.
Questa quantità di inerte presente nel flusso ematico viene definito
azoto residuo, ed è indicato tramite una lettera chiamata gruppo
di appartenenza dopo una specifica immersione.
Nel caso di immersioni ripetitive, ovvero quelle effettuate
nell’arco delle 24 ore dalla prima, si dovrà tenere conto della quantità
di azoto non ancora desaturata, considerando l’intervallo di superficie,
durante il quale avremo espulso inerte.
Un caso particolare è quello delle immersioni in quota,
considerando tali quelle effettuate al di sopra dei 300 metri di
altitudine. Durante il tragitto per raggiungere il luogo d’immersione,
con la diminuzione della pressione atmosferica, il nostro organismo
comincerà a desaturare azoto, trovandoci in una condizione simile a
quella di un’immersione ripetitiva. Dovremo quindi considerare la
desaturazione in funzione dell’altitudine a cui effettueremo
l’immersione, o attendere 12 ore perché il processo si stabilizzi.
Attualmente, non esistono strumenti per misurare le tensioni dei gas
inerti disciolti nel corpo di un subacqueo. Alcuni ricercatori hanno
proposto degli algoritmi per calcolarle. Per quanto siano frutto
di studi su numerose casistiche di incidenti, e siano state fatte un
buon numero di sperimentazioni sul campo con l’ausilio dell’ecodoppler,
strumento che riesce a registrare la presenza di bolle nel flusso
ematico, non sappiamo quanto si avvicinino alla realtà. Le conoscenze,
nell’ambito della fisiologia dell’iperbarismo, sono ancora ben lontane
dall’avere certezze matematiche.
Bisogna inoltre considerare che, nel caso specifico dell’immersione
subacquea, è di fondamentale importanza conoscere il comportamento dei
singoli gas che compongono la miscela respirata. Nel caso specifico
dell’aria, come detto in precedenza, è l’azoto il responsabile della
possibile formazione di bolle durante la risalita. Non dobbiamo altresì
trascurare che anche l’ossigeno, se respirato ad elevate pressioni,
diventa tossico per il nostro organismo, causando problemi
altrettanto seri per la nostra incolumità. Tale consapevolezza diventa
ancora più importante nel caso si utilizzino miscele diverse dall’aria,
dove possono essere presenti più inerti con coefficienti di
solubilità diversi, come nel Trimix dove è presente una certa
quantità di Elio, o nel caso di un Nitrox, dove si hanno percentuali
d’ossigeno superiori.
Come si evince nella legge di Dalton, la pressione totale
esercitata da un miscuglio di gas, è uguale alla somma delle singole
pressioni parziali (Pp) dei gas che lo compongono. La pressione
parziale d’ogni singolo gas, è quella che questo avrebbe se, da solo,
occupasse l’intero volume che contiene il miscuglio gassoso. Comunemente
le percentuali dei gas con i quali sono presenti in una miscela sono
espresse sotto forma di frazione. Questa non è altro che un
numero puro, compreso tra 0 e 1, ed offre il vantaggio che, se
moltiplicato per la pressione a cui è sottoposto il miscuglio, dà come
risultato il valore della pressione parziale del singolo gas a quella
data pressione.
Prendendo ad esempio la composizione dell’aria nella sua espressione più
semplicistica, 21% d’ossigeno e 79% d’azoto. Le frazioni dei singoli gas
saranno rispettivamente 0,21 e 0,79, che se sommate, ovviamente, danno
come risultato quello del volume unitario del miscuglio. Trovandoci ad
esempio ad una profondità di 20 mt, ad una pressione ambiente di 3 atm,
le pressioni parziali dei gas respirati corrisponderanno a 0,63 atm
(0,21 x
3)
per quanto riguarda l’ossigeno, e 2,37 atm (0,79
x
3) per l’azoto.
Quest’ultimo, per il suo elevato coefficiente di solubilità lipidica, se
respirato a notevoli pressioni parziali, è inoltre causa di quella che
prosaicamente viene chiamata “ebbrezza degli abissi”.
LA
NARCOSI DA AZOTO
Questa è un’alterazione neuro psichica che si manifesta durante
le immersioni con l’autorespiratore ad aria compressa, a profondità
superiori ai 40 mt. Si registrano comunque casi di narcosi a profondità
inferiori. Ha infatti una variabilità sintomatologica individuale, che
può anche essere influenzata dalle condizioni psicofisiche giornaliere.
Può essere aggravata da cattive condizioni fisiche, come stanchezza, uso
di alcolici o utilizzo di farmaci. Da stati di ansia e stress latenti,
da cause ambientali o operative, come scarsa visibilità, sforzo e
freddo.
Per comprendere l’ipotesi più accreditata sulla causa del fenomeno, è
bene avere una minima conoscenza del funzionamento del sistema nervoso.
Gli organi di quest’ultimo sono costituiti da cellule chiamati
neuroni, che hanno la funzione di generare, ricevere, condurre ed
elaborare segnali sotto forma di piccoli correnti elettriche. Grazie a
questi impulsi hanno luogo le nostre azioni. Dal movimento di un arto,
al riconoscimento di un oggetto attraverso il sistema visivo, dai
sentimenti fino al pensiero razionale.
Il neurone è costituito da un corpo cellulare, il pirenoforo, da un
prolungamento che trasporta gli stimoli nervosi verso la periferia, il
neurite o assone, e da numerose ramificazioni, i dendridi, che,
viceversa, ricevono gli stimoli dalla periferia.
I neuroni sono in contatto tra loro tramite strutture chiamate
sinapsi. All’interno di queste, l’impulso elettrico, o messaggio
nervoso, viene trasportato unidirezionalmente dai dendridi di un neurone
verso l’assone di un’altro, per mezzo di sostanze chimiche chiamate
neurotrasmettitori. Questi si spostano racchiusi in delle vescicole, le
cui pareti hanno la stessa composizione della stessa membrana cellulare,
ovvero fosfolipidi e colesterolo.
L’azoto, sciogliendosi facilmente nelle membrane lipidiche, altera e
degrada le caratteristiche di trasmissione degli impulsi nervosi nelle
sinapsi, rallentando di conseguenza il nostro potere d’azione, i
riflessi e addirittura i pensieri. La sintomatologia porta a
comportamenti spesso contrastanti. Potremo sentirci euforici o depressi
e risulteranno alterate le capacità visive ed uditive fino ad arrivare
alla perdita di conoscenza. La narcosi da azoto è un meccanismo
momentaneo e non provoca danni permanenti. Basta infatti risalire di
quota, anche di qualche metro, per vederne sparire gli effetti.
L’IPEROSSIA
DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Anche l’ossigeno, elemento fondamentale per la nostra sopravvivenza, può
diventare molto pericoloso se respirato a pressioni parziali elevate.
Viaggia nel sangue in parte veicolato dall’emoglobina, in parte
disciolto nel plasma. Respirandolo ad elevate pressioni, e per un lungo
periodo, saturerà il plasma. Di conseguenza, l’emoglobina, dopo aver
ceduto l’ossigeno alle cellule del nostro organismo, invece di ricevere
l’anidride carbonica si riossiderà, lasciandola nei nostri tessuti.
Inoltre bisogna considerare che il cervello ad alte pressioni parziali
di ossigeno riduce il flusso ematico per evitarne il sovradosaggio.
Rimanendo invariato il consumo metabolico, grazie anche alla maggior
quantità di ossigeno presente nelle cellule, si avrà un accumulo di
anidride carbonica con conseguente vasodilatazione.
Quella che infatti viene chiamata tossicità dell’ossigeno non è
altro che un’intossicazione da anidride carbonica.L’aspetto più
pericoloso è il sopraggiungere di una crisi convulsiva senza che si
avvertano segni e sintomi premonitori. Questa ci porterà a perdere la
presa sull’erogatore ed impedire qualsiasi forma di autosalvamento.
La predisposizione alla tossicità dell’ossigeno ha una variabilità
individuale e può essere influenzata da stress, scarsa condizione
fisica, uso di farmaci o alcol, e, ovviamente, fattori che causano un
aumento della pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue.
Il limite per la respirazione di ossigeno nelle immersioni sportive è di
1,6 bar di Pp. Limite che, per fare qualche esempio, corrisponde a
respirare ossigeno puro a 6 metri di profondità o aria a 66 metri.
Oltre alla pressione, và inoltre considerato il limite del tempo di
esposizione. Ad una pressione parziale di ossigeno di 1,6 bar, il
limite massimo di tempo per cui è possibile respirarlo è di 45 minuti.
Mentre è possibile assuefarsi alla narcosi d’azoto, le continue e
prolungate esposizioni all’ossigeno iperbarico sensibilizzano il nostro
organismo predisponendolo negativamente ad esso.
Appunti sui processi di Saturazione e Desaturazione
Per comprendere i fenomeni che influenzano gli aspetti della saturazione
e della desaturazione occorre analizzare le leggi fisiche che
principalmente agiscono sui medesimi come ad esempio la Legge di
Henry che stabilisce che: A temperatura costante un gas che
esercita una pressione su un fluido liquido o gassoso, vi passa in
soluzione finché avrà raggiunto in quel fluido la stessa pressione che
vi esercita sopra. In maniera più specifica: Ogni gas componente
un mix di respirazione, passerà in soluzione nei nostri tessuti, o
tornerà allo stato gassoso indipendentemente dagli altri gas componenti
il mix . Ciò avverrà più o meno velocemente a seconda della sua natura e
di quella del tessuto che lo ospita, ma
sostanzialmente, a secondo della differenza tra la pressione parziale
che rappresenta nel mix e quella che ha assunto nel liquido.
La legge di Henry si applica sia in relazione ai gas puri, sia in
relazione a miscele di gas. In quest’ultimo caso, ogni singolo gas
componente la miscela si comporta come se fosse solo, e la
pressione entrante in linea di contro sarà la Pp che il gas in esame
esercita nell’ambito della miscela gassosa desiderata. La stessa legge
ci spiega che: Quando un gas entra in contatto con un fluido nel quale
esso può disciogliersi, egli vi si discioglierà, e dopo un certo lasso
di tempo si instaurerà un equilibrio fra la Pp del gas in contatto con
la superficie del fluido e la quantità disciolta nel fluido stesso.
Questo stato di equilibrio viene definito col termine “saturazione”.
Nel nostro corpo troviamo dei gas ( i componenti dell’aria che
respiriamo) in contatto con dei tessuti. La legge di Henry ci avverte
quindi che con l’aumento della Pp dei componenti dell’aria, aumenteranno
anche le quantità di gas che si scioglieranno nel nostro corpo.
Altri fattori che influenzano la soluzione dei gas sono:
• l’ampiezza della superficie di contatto
• la durata dell’azione della pressione
• la temperatura
• il genere di tessuto
• il coefficiente di solubilità del gas in questione
Ogni gas ha un coefficiente che indica la quantità massima che
può entrare in soluzione in un dato fluido a pressione atmosferica (1Kg
/ cm2). I fattori determinanti per questo processo di soluzione sono
però la pressione e la durata del suo influsso. Questo concetto è
spiegato dalla Legge di Fick:
La quantità di gas (Q) che
nell’intervallo di tempo (AT) passa attraverso le membrane alveolari è
dipendente dal coefficiente di diffusione (d) , dalla estensione della
superficie di scambio (A) , dalla differenza della concentrazione nei
due ambienti (C1 - C2) e dal tratto di diffusione (d).
Q C1 - C2
La formula è la seguente: ------------------ = ( D
x
A ) x --------------------
AT d
Questa legge spiega il motivo della suddivisione dei vari tessuti
dell’organismo in rapidissimi, rapidi, medi, lenti, e lentissimi, in
funzione della superficie e dello spessore delle membrane alveolari. Nel
tessuto muscolare del corpo umano, tale superficie è dell’ordine di 6000
m2, costituiti in massima parte dalle pareti dei capillari
muscolari.
EMISATURAZIONE
Un singolo tessuto che ha assorbito (tramite la legge di Henry) il 50 %
di gas inerte (a temperatura e pressione costante) utilizzato nelle fasi
della respirazione satura lo stesso a metà.
Si classificano i vari tessuti in base al fenomeno di dissoluzione in
essi di gas inerti (principalmente l’azoto) e in base al “ tempo di
emisaturazione”, ossia il tempo necessario perché in determinate
condizioni di pressione e di temperatura essi assorbano il 50% del gas
inerte considerato. Questo tempo è costante e dipende dalla natura del
tessuto, da quella del gas, e dalla temperatura ambiente. Proprio per
questo ultimo aspetto il tempo di emisaturazione è considerato come uno
dei parametri di classificazione dei vari tessuti.
In base allo studio dei tempi di emisaturazione sono stati analizzati i
vari tipi di tessuti divisi in più gruppi e si sono potute calcolare le
tabelle di decompressione che permettono di evitare o quantomeno
limitare, i fenomeni patologici che si possono verificare in conseguenza
di una troppo brusca liberazione di gas dai tessuti.
SATURAZIONE
Per consentire che si instauri nel tessuto quello stato di equilibrio
delle pressioni chiamato stato di saturazione, occorre che il gas sotto
pressione possa agire sul tessuto per un certo lasso di tempo. La sua
durata è diversa e dipende dal genere di tessuto, e può variare da pochi
minuti a molte ore, la saturazione completa al 100% la si ottiene dopo
12 ore di esposizione a pressione e temperatura costante. Raggiunto lo
stato di saturazione, le molecole di gas che continueranno a penetrare
nel tessuto per effetto della pressione saranno in numero pari a quelle
che continueranno ad uscire per effetto dello stato di saturazione. In
altre parole: la tensione del gas sciolto nel tessuto sarà uguale alla
pressione che lo stesso gas esercita sulla
superficie del tessuto.
Periodi
Di ogni tipo di tessuto noi conosciamo il periodo, termine col quale
viene definito il lasso di tempo che esso impiega per raggiungere il
livello di emisaturazione.Questo tempo che varia da pochi secondi a
molte ore, è indipendente dalla pressione. Dove la saturazione si
instaura principalmente tramite diffusione del gas inerte, avremo
periodi di durata maggiore per esempio i tessuti ossei. Benché un
periodo porti un tessuto alla emisaturazione, sarebbe errato ritenere
che due periodi portino a saturazione totale. Infatti il primo periodo
porta al 50% della saturazione, il secondo satura il 50% della parte non
saturata, il terzo la metà di quanto rimane e cosi via. Possiamo
constatare che la saturazione totale di un tessuto viene raggiunta dopo
sette periodi. La durata dei sette periodi diviene difficile stabilirla
poiché oltre che tramite il sangue, la saturazione avviene anche per
diffusione, la cui durata è in relazione alle caratteristiche
metaboliche e fisiche individuali.
DESATURAZIONE
Gli stessi concetti che abbiamo considerato per i processi di
saturazione, valgono per il processo di desaturazione. Se ad un dato
momento la pressione di un gas sulla superficie di un tessuto diminuirà,
la quantità di gas che vi si troverà disciolta verrà ad essere troppo
grande per rapporto alla nuova pressione (sarà quindi sovrasaturo),
pertanto le molecole di gas che abbandoneranno il tessuto saranno in
numero ben maggiore di quelle che continueranno ad entrarvi per effetto
della pressione, pur sempre presente anche se di minore entità.
Le tabelle di decompressione
Le tabelle di decompressione calcolate da Haldane (1860 – 1936) sulla
base del lavoro del fisiologo Paul Bert (1833 – 1886), furono pubblicate
nel 1922 e vennero in seguito rivedute e aggiornate ai giorni nostri col
procedere degli studi sulla fisiopatologia barotraumatica. Esse
consentono di calcolare il tempo della risalita da immersioni di
profondità e durata note, in
modo tale che il rapporto pressione – tensione dell’azoto nell’organismo
non oltrepassi mai il rapporto di 2:1. In relazione a ciò le tappe di
decompressione consentono di scaricare l’eccesso di gas accumulato
per mantenere il rapporto nei limiti concessi.
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