7.
Opinioni a confronto su discesa – risalita – decompressione – soste
Velocità di
risalita - Importanza delle soste profonde
(Alcuni
spunti di riflessione tratti da
una discussione pubblicata su www.fondali.it
nel maggio 2006, integrati dal fondamentale articolo di R. Pyle)
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UNA NUOVA TEORIA
Dalle ultime
ricerche in campo iperbarico è stata sviluppata una nuova, o meglio, una
più approfondita spiegazione sulla formazione delle bolle lenticolari in
immersione. Da ciò sono scaturiti nuovi parametri per la gestione delle
immersioni che un po' si rifanno a ciò che attuavano i nostri
predecessori ( a quei tempi sicuramente senza alcuna spiegazione
medico-scientifica).
Secondo questa teoria
la discesa sul
fondo deve essere effettuata il più velocemente possibile (velocità di 20 m/min);
mentre invece, il distacco dal fondo deve essere
il più lento possibile, senza l'ausilio del GAV e con lento
pinneggiamento fino a 5 m dal fondo, poi la velocità
di risalita deve essere di non oltre i 10 m/min.
I DEEP STOP
Per le immersioni
dove vengono richiesti i deep stop, la quota dello stop deve essere
calcolata non più alla metà della profondità massima raggiunta, ma alla
metà della pressione assoluta (ATA) massima raggiunta, mentre il tempo
di sosta è stato portato da 1 minuto a 2 minuti. Se i deep stop
coincidono con le tappe decompressive, allora si effettuano direttamente
le soste decompressive.
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ALCUNI DUBBI
Questa teoria è
molto interessante, ma sorgono dei dubbi su come applicare questi
consigli. Il primo è sulla velocità di discesa: 20 m/min sono una
bella velocità, ma sorvolando su questo, quale sarebbe il beneficio di
tale discesa?
Il secondo dubbio è come si deve applicare questa regola
della metà pressione in ATA: dalla superficie alla massima profondità o
dalla pressione della prima tappa alla pressione della massima
profondità?
Un ultima domanda, oltre a questi consigli sulle tappe
profonde e alla velocità di discesa e risalita, non c'è nessun consiglio
su come effettuare la risalita nei metri finali?
Molti
subacquei adottano
una loro personale strategia a decompressione finita: velocità di 1 m/min per
riemergere. Questa tecnica è nata perché sono successi molti
piccoli incidenti nonostante si fosse fatto tutto in regola (incidenti
immeritati) e, facendo
svariate simulazioni al computer si è ritenuto giusto attuare questo
metodo.
Per la velocità
di discesa sembra che proprio dagli studi recenti stia ritornando in
auge il discorso di scendere il più velocemente possibile, per
ridurre il più possibile i nuclei di bolla che potrebbero essere in
circolo. Scendere velocemente, magari anche ben oltre i 20 m/min, non dovrebbe comportare nessun problema,
ma ovviamente qui si parla di immersioni profonde, nelle quali si pianifica a tavolino tutto e dove (visti i margini
ristretti) bisogna ottimizzare i tempi di fondo. Quindi si può giocare
solo sulla velocità di discesa.
La velocità di discesa dipende da svariati fattori, come corrente, visibilità,
natura del sito di immersione. Non si può
adottare un unico standard, ma bisogna adeguarsi alle realtà
soggettive ed oggettive dell'immersione. L'unica cosa da ricordare
sempre è che durante la fase di discesa è importante respirare bene
senza farsi prendere dalla velocità, altrimenti, oltre al rischio di
narcosi, una velocità di
discesa troppo rapida può portare a vertigini e mal di testa (sono problemi
legati agli organi dell'equilibrio, che risentono anche del brusco
sbalzo di temperatura tra la superficie e la quota raggiunta). Inoltre, una
discesa troppo veloce produce anche un accumulo di CO2
provocato dai momenti di apnea ai quali si è costretti per compensare e,
soprattutto, dalla differenza della pressione parziale tra l'atto
inspiratorio ed il successivo atto espiratorio, che è eseguito ad una
profondità maggiore. Perciò si arriva sul fondo con un eccesso
di CO2 che influenza il sistema nervoso centrale causando
ritardi in alcuni riflessi.
Un trucco efficace? Scendiamo lungo la cima
dell'ancora e diamo sempre uno sguardo al computer (in questo modo non si dovrebbe
superare una velocità eccessiva) e al compagno, facendo attenzione
all'insorgere dei sintomi della narcosi d'azoto. Una volta raggiunta la
quota programmata ci si accerterà con il compagno che sia tutto OK e si
potrà iniziare tranquillamente l’immersione.
UN CASO PRATICO
Vediamo una
simulazione fatta con il computer Suunto Vyper: a 50 metri di profondità ci
sono 3 minuti per rimanere in curva NDL, ma al 4° minuto d'immersione il
computer indica 8 minuti di
tappa a 3 metri obbligatori. Se rimango a 50 metri altri 5 minuti (per
un totale di tempo di fondo pari a 10 minuti), al momento di iniziare la
risalita il computer indica 15 minuti di tappa da fare a 6 metri. Inizio la risalita
(alla velocità di circa 10 m/min) arrivando fino a 10 metri [e qui bisogna fare una
considerazione (#)] e i minuti di deco sono 16 da fare a 5 metri; passano 4 minuti e
mi rimangono 13 minuti da fare a 3 metri. Tempo totale di immersione: 35
minuti circa (25 m/min in discesa, tempo di fondo, risalita e
tappe).
(#)
In merito alla
profondità di 10 metri, fin quando non ho raggiunto quella quota il
computer continuava a darmi minuti di deco aggiuntivi e tappe
obbligatorie perché il corpo si sta ancora
caricando di azoto. Infatti a 50 metri il computer indicava 14 minuti, e a 10 metri ne
indicava ancora 16. Questo dà una risposta al quesito della velocità di discesa:
più veloce è la discesa, minore è l'assorbimento di azoto.
Gli studi di cui
si parlava all’inizio vanno un pò controcorrente e
i deep stop vengono visti dai computer come una perdita di tempo ad una
quota profonda, ma in realtà una sosta di 2 minuti (di norma alla metà
della profondità massima, ma, in realtà, alla metà della massima
pressione assoluta) dimezza notevolmente le dimensioni delle bolle. Infatti stanno
uscendo nuovi computer con questo algoritmo (come gli Uwatec e i Suunto
con il Vytec DS).
Sulla velocità di
risalita c'è molto ancora da studiare. In ognuno di noi si discioglie
gas inerte durante una immersione in profondità e risalendo si creano le
bolle, ma queste sono diverse da individuo ad individuo. Ad esempio:
se due sub con due computer identici effettuano la stessa immersione, i
computer daranno risultati uguali, mentre un più accurato esame doppler
su ciascuno di essi rivelerebbe anche grandi differenze, perché i
computer non tengono conto di stati di stress, stanchezza, obesità, età,
freddo, ecc.
Un ultima cosa:
attenzione alla velocità di risalita nei metri finali! Basta pensare
alla dilatazione dei volumi nei metri finali che è la più grande, per
rendersi conto di quanto sia importante risalire molto lentamente anche nelle
immersioni ricreative.
LE TAPPE FONDE
Ora, sorge la
questione di come introdurre le tappe fonde. Un sistema di
derivazione empirica per determinare le tappe fonde è stato
pubblicato dal subacqueo, e biologo marino, Richard L. Pyle (vedi
sotto). Questo sistema può essere usato assieme ad un programma per
PC per il calcolo della decompressione che consente di pianificare
immersioni multilivello.
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L'importanza
delle soste di sicurezza profonde: ripensamenti sui profili
di risalita per immersioni con decompressione
di Richard L.
Pyle
Prima di
cominciare desidero chiarire un punto: io sono solo un
"pesciolino", un dilettante (per la precisione sono uno
studioso di ittiologia). Al fine della lettura di questo
articolo ciò significa due cose. Primo: significa che ho
passato tantissimo tempo della mia vita sott'acqua. Secondo:
pur essendo un biologo e avendo una discreta preparazione in
campo di fisiologia animale, non sono un esperto di
fisiologia della decompressione. Tieni bene a mente queste
due cose quando leggi quello che ho da dire.
Molto prima che il
concetto di "technical diving" prendesse piede, avevo già
fatto molte immersioni alla profondità di 60-70 metri
(180-220 feet). Dato il gran numero d’immersioni di questo
tipo, cominciai a prendere nota dei profili seguiti.
Abbastanza spesso, dopo queste immersioni, avvertivo un
certo livello di affaticamento o di malessere. Era chiaro
che tali sintomi post-immersione avevano più a che fare con
l'assorbimento di gas inerte che non con lo sforzo fisico o
con l'esposizione al freddo, dato che i sintomi conseguenti
ad un’immersione di meno di un'ora a 70 metri erano più
consistenti di quelli manifestati dopo la permanenza di 4-6
ore a quote meno profonde. |
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La cosa
interessante fu che questi sintomi non erano particolarmente
consistenti. Talvolta non percepivo assolutamente alcun
sintomo. Altre volte avevo talmente tanto sonno dopo
l'immersione da non riuscire quasi a guidare sulla strada di
casa. Provai a correlare la gravità dei sintomi con una
grande quantità di variabili come la "magnitudine"
dell'esposizione, la durata della sosta a 3 metri (10 feet),
la forza della corrente, la limpidezza e la temperatura
dell'acqua, quanto avevo dormito la notte precedente, il
livello di disidratazione... ma nessuno di questi parametri
sembrò avere una relazione con l'insorgenza dei sintomi.
Finalmente scoprii di cosa si trattava: pesci! Esatto: dopo
le immersioni in cui raccoglievo pesci per l'acquario,
difficilmente mi sentivo affaticato. Nelle altre immersioni,
invece, i sintomi tendevano ad essere abbastanza importanti.
Fui veramente impressionato dalla forte correlazione tra le
due variabili.
Ma apparentemente
ciò non aveva alcun senso. Cosa potevano avere a che fare
tali sintomi con i pesci? Infatti, mi sarei aspettato
sintomi più rilevanti dopo le immersioni in cui raccoglievo
i pesci dato che il livello di sforzo sul fondo durante tali
immersioni era consistente (acchiappare i pesci non è sempre
facile).
Ma c'era un
particolare. Come molti di voi sanno, la maggior parte dei
pesci è dotata di un organo detto "vescica natatoria", pieno
di gas, di cui si servono per regolare il loro assetto
idrostatico. Se un pesce viene portato improvvisamente in
superficie dalla profondità di 70 metri, la sua vescica
natatoria tenderà ad espandersi fino ad otto volte il suo
volume originario danneggiando gli altri organi. Dato che lo
scopo delle mie immersioni era la collezione di esemplari
vivi, ero costretto a fermarmi durante la risalita ad una
certa quota per inserire temporaneamente un ago ipodermico
nella vescica dei pesci allo scopo di consentire la
fuoriuscita del gas in eccesso. Tipicamente, la quota a cui
mi fermavo per questa operazione era di gran lunga più
profonda della mia prima tappa richiesta per la
decompressione. Ad esempio, mediamente, per immersioni di 70
metri (200 feet) la mia prima sosta di decompressione era
richiesta intorno ai 17 metri (50 feet), ma la profondità a
cui mi dovevo fermare per i pesci era a circa 40 metri (125
feet).
Perciò, quando
andavo a raccogliere pesci, i miei profili di risalita
comprendevano di fatto una sosta di decompressione in più
("extra-stop") di 2-3 minuti ad una quota molto più profonda
della mia prima sosta "richiesta" per la decompressione.
Sfortunatamente neanche questo sembrava avere alcun senso.
Chi ragiona soltanto in termini di tensione di gas disciolto
nel sangue e nei tessuti (come fanno quasi tutti gli
algoritmi di decompressione in uso attualmente), si aspetta
che tale sosta profonda faccia soltanto aumentare i problemi
di decompressione, in ragione del maggior tempo trascorso ad
una elevata profondità.
Con lo spirito di
uno sperimentatore, credendo più nell'esperienza nel mondo
reale che non nel dato calcolato su un modello astratto,
decisi di cominciare a includere una sosta profonda in tutte
le mie immersioni, anche quando non raccoglievo pesci.
Indovinate? I miei sintomi e l'affaticamento praticamente
scomparvero del tutto! Fu davvero sorprendente! Voglio dire
che cominciai a fare dei lavori nei pomeriggi e nelle sere
dei giorni nella cui mattina avevo fatto un’immersione
profonda. Cominciai a dire in giro della mia incredibile
scoperta, ma ebbi soltanto risposte scettiche e i severi
commenti di alcuni "esperti" che sottolineavano come la mia
intuizione dovesse essere errata. "Naturalmente - mi
dicevano - devi abbandonare le quote profonde più
rapidamente possibile per ridurre al minimo un ulteriore
assorbimento di gas".
Non essendo una
persona che accetta facilmente il confronto, continuai con
la mia abitudine di includere nei profili di riemersione
queste "soste di decompressione profonda". Col
passare degli anni mi feci sempre più convinto della
validità di tali soste per ridurre la probabilità di
malessere da decompressione (DCS - decompression sickness).
In tutti i casi in cui ebbi qualche tipo di sintomo
post-immersione, dalla fatica all'apatia fino ad un caso di
tetraplegia, riscontrai trattarsi di immersioni in cui avevo
omesso la sosta di decompressione profonda.
Da scienziato
professionista quale sono, sentii il bisogno di capire i
meccanismi che causavano il fenomeno osservato. E fui sempre
disorientato dall'apparente paradosso dei miei profili
d'immersione. Fino a quando non ho avuto l'occasione di
assistere a una relazione del Dr. David Yount all'incontro
del 1989 dell'American Academy of Underwater Sciences (AAUS).
Per chi non lo
conoscesse, il Dr. Yount è un professore di fisica
all'Università delle Hawaii, ed è uno ei creatori del
modello di calcolo per la decompressione detto "VPM" (Varying-Permeability
Model). Questo modello considera la presenza di
"micronuclei" (bolle gassose) nel sangue e nei tessuti e
studia i fattori che fanno espandere o comprimere queste
bolle durante la decompressione. Su tali basi il VPM fissa
le sue prime soste di decompressione (le più profonde) a
quote ben più profonde di quanto richiedono i modelli di
calcolo di tipo "neo-Haldaniano" (per intenderci quelli
basati su "compartimenti"). Finalmente tutto cominciò ad
avere un senso.
[Per sapere
qualcosa sul VPM, leggi il capitolo 6 del Best Publishing's
Hyperbaric Medicine and Physiology; Yount, 1988].
Anche se, come ho
già detto, non sono un esperto di fisiologia iperbarica,
permettimi di spiegare il fenomeno in termini che un buon
subacqueo dovrebbe capire. Per prima cosa, la maggior parte
dei lettori dovrebbe già sapere che una certa quantità di
bolle nel sangue è rilevabile dopo la maggior parte delle
immersioni, comprese quelle "in curva", cioè quelle che
non richiedono soste di decompressione. Si tratta di
bolle cosiddette "silenti" dato che sono presenti senza
causare sintomi di alcun genere e possono essere rilevate
soltanto attraverso esami medici (eco-doppler).
Ora, la maggior
parte delle immersioni profonde con decompressione
effettuate da "technical divers" (da contrapporsi ai
subacquei commerciali o militari) sono immersioni molto
sotto-saturate. In altre parole, hanno dei tempi di fondo
relativamente brevi (in questo contesto considero "breve" un
tempo di fondo di 2 ore a 100 metri (300 feet).
In funzione della
profondità e della durata dell'immersione e della miscela
usata, c'è solitamente una distanza relativamente grande tra
il fondo e la prima sosta di decompressione calcolata da un
modello "a compartimenti". Più è breve il tempo di fondo e
più questa distanza aumenta. E' opinione diffusa che bisogna
passare meno tempo possibile alle quote profonde per
minimizzare l'assorbimento supplementare di gas. Molta gente
crede inoltre che si debba usare una maggiore velocità di
risalita nella porzione più profonda della risalita stessa.
Il punto è che i subacquei sono soliti effettuare risalite
con sbalzi di pressione ambientale relativamente drastici in
tempi molto brevi.
Credo che il
problema stia proprio qui. Forse dipende dal tempo impiegato
dal sangue a percorrere l'intero sistema circolatorio di un
subacqueo medio. Forse dipende dalle piccolissime bolle che
si formano al passare del sangue attraverso le valvole del
cuore, crescendo di misura per via della diffusione del gas
nel sangue circostante. Qualunque sia la ragione
fisiologica, io credo che le bolle si formino e/o siano
indotte a crescere di misura durante la prima risalita dalla
profondità.
Ho imparato molto
sulla fisica delle bolle nell'ultimo anno, più di quanto
voglio esporre qui. Lascio l'argomento a chi è davvero
esperto in materia. Per ora basta dire che il fatto che una
bolla si espanda o si contragga dipende da un complesso
sistema di fattori, compresa la dimensione stessa della
bolla in ogni momento. Le bolle più piccole hanno
maggiore attitudine a essere smaltite durante la
decompressione, mentre quelle più grandi tendono a
crescere e possibilmente a evolvere in "malessere da
decompressione" (DCS - Decompression Sickness). Per questo,
per ridurre al massimo le probabilità di DCS, è molto
importante contenere la misura delle bolle. Una risalita
rapida dalla quota profonda alla prima tappa richiesta per
la decompressione non è il modo migliore per mantenere
piccola la misura delle bolle! Al contrario, rallentare
tale risalita (magari includendo una o più soste di
decompressione "profonde") può servire a mantenere le bolle
abbastanza piccole da consentire il loro smaltimento durante
le successive soste di decompressione. |
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Se c'è del vero in
tutto ciò, penso che la grande variabilità nell'incidenza di
DCS sia molto più legata al profilo di risalita dal fondo
alla prima tappa di decompressione, di quanto lo sia al
resto del profilo di decompressione.
Il malessere da
decompressione è un fenomeno straordinariamente complesso,
più di quanto i migliori studiosi di fisiologia iperbarica
siano stati capaci di spiegare. E sarebbe un'illusione
pensare di poterlo comprendere del tutto, anche per via
dell'estrema complessità del nostro organismo; complessità
che rende impossibile elaborare dei calcoli esatti in grado
di evitare certamente il malessere da decompressione. Ma
penso che noi (mi riferisco ai subacquei che fanno
decompressioni per immersioni sotto-saturate)
possiamo ridurre sensibilmente le probabilità
di incidente se cambiamo il modo di effettuare la nostra
risalita iniziale dal fondo.
Alcuni di voi
staranno pensando "Ma se ha detto di non essere un esperto
in medicina iperbarica, perchè dovrei credergli?" Ed è
proprio quello che voglio che pensiate, dato che non
dovreste credermi per fede, non me soltanto, almeno.
Perchè non cercate
allora sul numero di Settembre '95 di DeepTech (Numero 3)
l'articolo di Bruce Weinke? So che tratta argomenti molto
specialistici, ma dovreste leggerlo e rileggerlo fino a
comprenderlo del tutto. Perchè non chiamate aquaCorps ed
ordinate il nastro numero 9 ("Bubble Decompression
Strategies") dalla conferenza tek.95 ed ascoltate Eric
Maiken spiegare un po' di cose sulla fisica dei gas che
probabilmente non sapevate. Già che ci siete, perchè non
ordinate il nastro della sessione "Understanding Trimix
Tables" alla recente conferenza tek.96?
Potrete ascoltare
Andre Galerne (arguably il "padre del trimix") raccontare
come l'incidenza di casi di DCS si sia drasticamente ridotta
quando hanno aggiunto una sosta "extra" di decompressione
profonda oltre a quelle che sarebbero state richieste dalle
tabelle. Sullo stesso nastro potete ascoltare Jean-Pierre
Imbert della COMEX (la società commerciale francese che ha
realizzato alcune delle operazioni subacquee più profonde
del mondo) parlare su nuovi profili di decompressione che
includono soste iniziali molto più profonde di quelle
prescritte dalla maggior parte delle tabelle.
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Perché non
chiedete a George Irvine cosa voleva dire quando suggeriva
di aggiungere nel piano di risalita "tre o quattro brevi
soste profonde prima della prima sosta prescritta
dall'algoritmo di decompressione" nel numero di Gennaio '96
di DeepTech (Numero 4)?
Se non basta,
leggete l'editoriale del Dr. Peter Bennett nel numero di
Gennaio/Febbraio 1996 dell'Alert Diver magazine; viene
trattato sostanzialmente questo stesso argomento nel
contesto delle immersioni ricreative.
Se volete infine
leggere un argomento veramente chiarificatore, vedete se
potete reperire il rapporto sulle abitudini dei pescatori
subacquei nello Stretto di Torres scritto da Le Messurier
and Hills (riportato nella bibliografia di questo articolo).
La lista potrebbe continuare ancora. Il fatto è che non mi
sembra di essere il solo a richiamare l'utilità delle soste
di decompressione profonde.
Siete ancora
scettici? Rispondete a questo: credete che la cosiddetta
"sosta di sicurezza" alla fine delle cosiddette "immersioni
senza decompressione" [o meglio "in curva di sicurezza", NDT]
sia utile a ridurre drasticamente l'incidenza percentuale
degli incidenti da decompressione? Se pensate di no, date
un'occhiata alle statistiche redatte dal Diver's Alert
Network e vi ricrederete. Ma la sosta "di sicurezza" è
esattamente una "sosta profonda" dell'immersione "in curva".
Se vi fa sentire meglio, allora potete guardare la sosta
profonda come una "sosta profonda di sicurezza" da farsi
prima di risalire alla prima sosta di decompressione
"richiesta". |
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Pensate così: la
vostra prima sosta di decompressione "richiesta" è
funzionalmente equivalente all'emersione effettuata "al
limite di curva". Non credete che per le immersioni "al
limite di curva" la "sosta di sicurezza" sia ancora più
importante? Alcuni di voi staranno pensando: "Io faccio già
soste di sicurezza nelle mie immersioni con decompressione:
mi fermo sempre 3-6 metri al di sotto della mia prima sosta
richiesta." Anche se questo è un passo nella direzione
giusta, non è quello di cui sto parlando. Vi chiederete che
differenza c'è tra una sosta a 5 metri di profondità in
un’immersione in curva e una sosta 5 metri al di sotto della
prima prescritta per la decompressione.
La differenza è
che, siccome le soste di sicurezza hanno lo scopo di
prevenire o limitare la crescita delle bolle, e tale
crescita è in parte funzione della variazione di pressione
ambientale, quindi non una funzione lineare della distanza.
Supponiamo che, dopo un’immersione a 25 metri (75 feet),
facciate la classica sosta di sicurezza a 5 metri. La
pressione ambientale in superficie è 1 ATA, mentre a 25
metri è circa 3,5 ATA ed ai 5 metri della vostra sosta di
sicurezza è 1,5 ATA - che rappresenta approssimativamente il
punto medio nel dislivello di pressione fra 3.5 ATA ed 1
ATA. Ora immaginiamo un'immersione a 60 metri (7 ATA) con
una prima tappa richiesta a 15 metri (2,5 ATA). Il punto
medio nella variazione di pressione ambiente si trova a
(7+2,5)/2 = 4,75 ATA, cioè a poco meno di 40 metri. Allora,
in una simile immersione, la sosta di sicurezza profonda
andrebbe fatta a circa 40 metri: esattamente la quota alla
quale ero solito fermarmi per infilare gli aghi nella
vescica dei miei pesciolini. |
Ma naturalmente la
fisica e la fisiologia sono molto più complesse. Può darsi
che il punto medio nella variazione di pressione ambiente
non rappresenti la profondità ideale per le soste di
sicurezza. Infatti, posso dirvi con discreta certezza che
non lo sono. Da ciò che capisco dei modelli di
decompressione "bubble-based", la prima sosta di
decompressione dovrebbe essere funzione della variazione
assoluta della pressione ambiente piuttosto che della
variazione proporzionale e quindi dovrebbe essere ancora più
profonda del punto medio nella variazione di pressione
ambiente per la maggior parte delle nostre immersioni "con
decompressione".
Purtroppo io
dubito seriamente che i computer da decompressione comincino
a implementare nei loro algoritmi i modelli di calcolo "bubble-based",
almeno non nella loro forma completa. Fino ad allora noi
sommozzatori avremo bisogno di una regola semplice da
seguire e che non richieda l'ausilio di un elaboratore
elettronico. Forse il metodo ideale potrebbe essere
semplicemente di rallentare la velocità di risalita nella
porzione profonda [cioè dal fondo alla prima tappa, NDT],
ma purtroppo questo è un po' difficile da controllare,
specialmente in acque libere. Penso che invece dovreste
aggiungere una o più brevi soste per interrompere questa
lunga porzione di risalita. Che ciò sia fisiologicamente
corretto o no, dovreste pensare a tali soste come pause per
consentire al vostro corpo di ambientarsi col cambio di
pressione ambiente. |
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Ecco il mio
metodo per determinare le soste di
sicurezza profonde:
1) Calcolare
tradizionalmente il profilo di decompressione per
l'immersione da fare, usando un algoritmo qualsiasi
2)
Misurare la
distanza dal fondo
(al momento in cui comincia la risalita) alla prima sosta
di decompressione "richiesta" e trovare il punto medio.
Sarebbe più esatto usare il punto medio della variazione di
pressione, ma per la maggior parte delle immersioni
"tecniche" questo è molto vicino al punto medio della
distanza lineare che è molto più semplice e immediato da
calcolare. Questa quota rappresenterà la prima tappa
profonda di sicurezza a cui trascorrere 2-3 minuti.
3) Ricalcolare il
profilo di decompressione per una immersione cui è stata
inclusa la tappa profonda di sicurezza (la maggior parte dei
software è in grado di gestire una immersione
multi-livello).
4)
Se la distanza
fra la prima sosta di sicurezza profonda e la prima sosta
"richiesta" è maggiore di 10 metri
(30 feet), aggiungere una seconda
sosta di sicurezza profonda al punto medio fra la prima
sosta di sicurezza profonda e la prima sosta "richiesta".
5) Ripetere se
necessario finché la distanza fra l'ultima sosta di
sicurezza e la prima sosta "richiesta" non si è ridotta a
meno di 10 metri.
Per esempio,
immaginiamo un'immersione in trimix a 100 metri (300 feet),
per la quale il software da tavolo prescriva una prima sosta
"richiesta" a 33 metri (100 feet). Bisognerà ricalcolare il
profilo aggiungendo brevi soste (di 2 minuti) a 66, 50 e 40
metri (200, 150 e 125 feet). Naturalmente il software
calcolerà un ulteriore assorbimento di gas inerte durante
queste tappe ed allungherà di conseguenza le successive
soste di decompressione. Comunque, secondo la mia esperienza
(e, sembrerebbe, secondo l'esperienza di molti altri), la
notevole riduzione della probabilità di incorrere in
incidenti da decompressione non farà rimpiangere i costi di
tale maggior tempo di decompressione. Infatti, sarei pronto
a scommettere che i benefici derivanti dalle soste profonde
di sicurezza sono tali che potrebbero far ridurre il tempo
totale di decompressione (consentendo di abbreviare le soste
successive) conservando ancora un livello più basso di
probabilità d'incidente. Ma finché questa mia convinzione
non viene confortata da uno studio scientifico, teorico o
sperimentale, sarà bene tenersi al sicuro ed effettuare
integralmente tutte le soste prescritte e calcolabili con i
software tradizionali.
Un’ultima cosa.
Come già sanno tutti quelli che leggono la mia
corrispondenza nei forum e nelle liste di discussione a cui
partecipo, io sono un accanito sostenitore della
responsabilità personale nell'attività subacquea. Se
scegliete di seguire i miei consigli e aggiungete le soste
di sicurezza profonde nei vostri profili di decompressione,
benissimo. Se scegliete invece di continuare a seguire i
vostri profili di decompressione prodotti dal computer,
altrettanto bene. Ma qualsiasi cosa facciate, sarete sempre
totalmente ed unicamente responsabili di ciò che vi accadrà
sott'acqua! Siete mammiferi terrestri e non avete niente da
andare a fare sott'acqua. Se non volete accettare
responsabilità, rimanete all'asciutto. Se avrete spiacevoli
conseguenze dopo un'immersione in cui avete effettuato soste
di sicurezza profonde secondo il metodo suggerito da me,
ricordate che è solo colpa vostra per aver seguito i
consigli di un un "pesciolino", un dilettante!
Bibliografia:
Bennett, P.B. 1996. Rate of ascent revisited. Alert Diver,
January/February 1996: 2.
Hamilton, B. and G. Irvine. 1996. A hard look at
decompression software. DeepTech, No. 4 (January 1996): 19-
23
LeMessurier, D.H. and B.A. Hills. 1965. Decompression
sickness: A thermodynamic approach arising from a study of
Torres Strait diving techniques. Scientific Results of
Marine Biological Research. Nr. 48: Essays in Marine
Physiology, OSLO Universitetsforlaget: 54-84.
Weinke, B. 1995. The reduced gradient bubble model and phase
mechanics. DeepTech, No. 3 (September 1995): 29-37.
Yount,
D.E. 1988. Chapter 6. Theoretical considerations of Safe
Decompression. In: Hyperbaric Medicine and Physiology (Y-C
Lin and A.K.C. Niu, eds.), Best Publishing Co., San Pedro,
pp. 69-97.
Desidero
ringraziare Eric Maiken per avermi spiegato la fisica delle
bolle e per aver aggiunto qualche base teorica alle mie
stupide idee.
Richard Pyle |
LA
VELOCITA' DI RISALITA
L'attività
subacquea è uno sport molto sicuro e infatti le più
recenti statistiche le attribuiscono il rischio di un
incidente ogni 15.000 immersioni; addirittura di uno
ogni 20.000 immersioni se si considerano solo quelle
effettuate entro i 30 metri di profondità in curva di
sicurezza. Più o meno le stesse percentuali di rischio
collegate al gioco del bowling! Fatta questa premessa,
bisogna però tenere presente che nessuna tabella e nessun
computer subacqueo, pur garantendo margini di sicurezza
estremamente ampi, rende totalmente esenti dall'eventualità
d'incorrere in un incidente da decompressione (definizione
con cui si intende sia quella che viene comunemente definita
malattia da decompressione o MDD, sia l'embolia
gassosa arteriosa conseguente a una sovradistensione
polmonare).
È quindi necessario, se si vogliono portare ai minimi
termini le probabilità di episodi spiacevoli, ridurre il
più possibile la produzione di bolle durante la
decompressione, attenendosi scrupolosamente alle
procedure dettate dagli strumenti che si decide di usare.
Facendo particolare attenzione alla velocità di risalita,
che ha un ruolo fondamentale per la sicurezza
dell'immersione, ma che eppure è causa di qualche
perplessità tra i sub per i diversi limiti che le vengono
attribuiti. È classico il caso delle tabelle U.S. Navy,
calcolate per una risalita a 18 m/min, ma per le quali varie
organizzazioni didattiche insegnano a non superare i 10
m/min.
Storicamente,
il fisiologo scozzese John Scott Haldane, che calcolò
le tabelle di decompressione per la marina britannica nel
1908 e le tabelle U.S. Navy nel 1915, aveva prescritto per i
palombari addirittura una velocità di risalita di circa 7
m/min.
Questo perché era quasi impossibile riportare in superficie
un palombaro completamente equipaggiato con una velocità
maggiore.
Durante la
seconda guerra mondiale, i sommozzatori della U.S. Navy
risalivano con una velocità di circa 30 m/min, anche in
questo caso per motivi legati alla situazione bellica.
Successivamente, la U.S. Navy standardizzò la velocità di 18
m/min: quindi questo valore fu stabilito come i precedenti
in base a ragioni pratiche e non fu il risultato di accurate
ricerche e sperimentazioni. Queste sono invece state
effettuate più recentemente dallo svizzero Albert
Bühlmann ed hanno portato a raccomandare una velocità
di 10 m/min, essendo notevolmente più sicura. Difatti si
è riscontrato che le forme neurologiche di MDD sono più
probabili a seguito di risalite rapide, specialmente dopo
immersioni profonde.
L'ASPETTO
MEDICO
Inoltre,
durante una risalita lenta il sangue ed in particolare i
tessuti nervosi, come il cervello e il midollo spinale,
riescono a liberarsi meglio dall'azoto. Si evitano tra i
diversi tipi di tessuti confinanti eccessive differenze di
pressione, che facilitano la formazione delle bolle e
mettono a dura prova le formule matematiche su cui sono
basate tabelle e computer. Il risultato è che si riduce
la probabilità che si formino bolle gassose e che
penetrino all'interno del tessuto nervoso.
Non meno
importante è la considerazione che l'addestramento a una
risalita lenta riduce nei subacquei meno esperti la
probabilità che insorga una sovradistensione polmonare
con le sue conseguenze (barotrauma polmonare, pneumotorace,
EGA).
Anche negli USA, dove la velocità di risalita di 18 m/min è
un'abitudine, attualmente si raccomanda ai sub di
avvicinarsi alla superficie più lentamente. L'Accademia
Americana di Scienze Subacquee ha suggerito di attenersi ai
12 m/min dalla profondità di 18 metri fino alla superficie.
Nel 1989
Lang e Egstrom, nell'ambito di un seminario sulla
Biomeccanica della Risalita Sicura, hanno raccomandato una
velocità compresa tra i 18 ed i 6 m/min a seconda della
profondità, segnalando che la tecnica di questo tipo di
risalita differenziata non è semplice da apprendere e
bisogna costantemente allenarsi.
Tornando alle
U.S. Navy, è stato obiettato che nelle immersioni fuori
curva di sicurezza non è corretto risalire a 10 m/min e poi
limitarsi a rispettare le tappe di decompressione previste
in base ad una velocità di 18 m/min. Il pericolo sarebbe
un maggior assorbimento di azoto nei tessuti a lenta
saturazione. In realtà, numerose simulazioni
computerizzate dell'assorbimento e della desaturazione
tissutale (eliminazione) dell'azoto, hanno chiaramente
dimostrato che il rallentamento della velocità ha effetti
minimi sull'ulteriore assorbimento di azoto da parte dei
tessuti durante la risalita stessa.
Comunque, per tenere conto anche di queste osservazioni, il
comportamento migliore prevede che, per il ritorno da
immersioni a profondità superiori ai 30 metri, sia meglio
tenere una velocità di 18 m/min fino al raggiungimento
della quota dei 30 metri, per poi proseguire a 10 m/min fino
alla superficie. Ciò proprio allo scopo di prevenire
che i tessuti lenti assorbano eccessivamente ed inutilmente
azoto durante le prime fasi della risalita. |
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