27.
Il comportamento dei gas a
contatto con i liquidi
di Michelangelo Guida “Miky”
http://mediterraneodiving.wordpress.com/
Per capire il comportamento dei gas a
contatto con i liquidi, fenomeno difficilmente riscontrabile
otticamente, è possibile fare un esempio con due sostanze comunemente
utilizzate: l’acqua e lo zucchero. Immergendo in un bicchiere di liquido
una serie di zollette di zucchero, e mescolando in modo che quella
inserita in precedenza sia completamente sciolta, si noterà che le
zollette successive entreranno in soluzione con maggiore difficoltà. Si
arriverà al punto in cui lo zucchero comincerà a depositarsi sul fondo
del contenitore. Diremo allora che l’acqua è satura di zucchero.
Riscaldando l’acqua, noteremo che il processo avverrà più rapidamente.
La velocità e la capacità di un liquido di
fungere da solvente dipendono dalla sua struttura molecolare. In
funzione della dimensione delle sue molecole, una sostanza, incontrerà
una diversa “resistenza” per passare in soluzione, ed una differente
quantità di spazio disponibile da occupare tra le stesse molecole.
Infatti, ripetendo l’esperimento con l’alcol, basterà un numero
inferiore di zollette per raggiungere la saturazione.
Con altrettanta facilità un gas si scioglie
in un liquido, e, se il rimescolamento è il meccanismo che fa sciogliere
lo zucchero, per un gas, tale meccanismo è la pressione.
Secondo la legge di Henry, la quantità
di gas dissolta in un liquido è direttamente proporzionale alla
pressione del gas. Per una corretta formulazione della legge
bisogna anche considerare il coefficiente di solubilità del gas, la
tipologia e la quantità del liquido, la temperatura ambiente e la
dimensione della superficie di contatto tra gas e liquido.
Se esponiamo alla pressione ambiente un
liquido puro, che non contiene alcun gas al suo interno, l’aria
comincerà ad entrare in soluzione nel liquido. La superficie di
quest’ultimo farà da elemento separatore tra i due ambienti. Il
processo, all’inizio, avrà una velocità che tenderà a diminuire man mano
che il gas disciolto comincerà ad acquisire una sua pressione, chiamata
tensione del gas, che opporrà resistenza all’ingresso di quello
all’esterno del liquido. La differenza tra la pressione e la tensione
di un gas, è chiamata gradiente pressorio.
Non appena la tensione del gas contenuto
nel liquido si troverà in equilibrio con la pressione dello stesso, si
dirà che il liquido è in saturazione. Con i gas, così come con le
sostanze solide, il fenomeno della saturazione è influenzato dalla
temperatura, ma, al contrario di quanto avviene con i solidi, la
soluzione è favorita dalle temperature fredde. E’ ovvio che, più grande
sarà la superficie di contatto tra gas e liquido, più velocemente
avverrà il processo. Maggiore sarà la quantità di liquido, più gas vi si
scioglierà.
Per quantificare il tempo necessario per
raggiungere la saturazione, ad una coppia gas-liquido è assegnato un
tempo di emisaturazione o emitempo. Questo non è altro che il tempo
necessario perché un gas saturi un liquido al 50% della saturazione
totale. Occorreranno circa 6 emitempi per raggiungere la saturazione.
Nel primo tempo di emisaturazione il gas saturerà il liquido al 50%. Nel
secondo, andando ad occupare un altro 50% dello spazio rimasto
disponibile, si dissolverà al 75% della saturazione totale. Seguendo lo
stesso criterio, nel terzo raggiungerà l’87,5%, nel quarto il 93,75%,
nel quinto il 96,88%, nel sesto il 98,45%. In pratica, per un sistema
costituito da una coppia di gas-liquido, con emitempo di 1 minuto, alla
pressione di 1 atmosfera è considerata raggiunta la saturazione in circa
6 minuti. Ovviamente, se lo stesso sistema viene sottoposto ad una
pressione di 2 atmosfere, di minuti ne occorreranno circa 3.
Come si può notare dalle percentuali sopra
esposte, realmente, non si raggiungerà mai la saturazione totale.
Il gas continuerà a sciogliersi nel liquido in modo sempre più lento.
Con la diminuzione della pressione del gas
al di fuori del liquido, il sistema cercherà di tornare in equilibrio.
In questo caso la tensione sarà maggiore della pressione e il gas si
troverà in una condizione di sovrasaturazione. Il gradiente
pressorio spingerà il gas dissolto nel liquido a fuoriuscire, avviando
il processo di desaturazione.
Quanto descritto corrisponde a quello che
succede nel nostro organismo in immersione. Durante la discesa e la
permanenza sul fondo, respirando ad una pressione identica all’ambiente
circostante, e quindi maggiore di quanto non avvenga normalmente, i gas
che compongono l’aria si diffonderanno nel sangue attraverso gli alveoli
e di conseguenza, tramite i capillari, nei tessuti del nostro organismo:
muscolare, connettivo, epiteliale, nervoso, osseo, adiposo, ecc …
Questi, composti da alte percentuali di liquidi, si comportano come tali
assorbendo i gas, anche se con tempi diversi che variano in funzione
della loro densità. Le varie tipologie di tessuti del nostro
organismo sono rappresentate matematicamente tramite i loro tempi di
emisaturazione e vengono denominati compartimenti tissutali.
I modelli matematici attualmente in uso,
prendono in esame tessuti che variano dai 3 ad oltre 600 minuti di
emisaturazione. Compartimenti con periodi brevi vengono chiamati
tessuti veloci, quelli con periodi lunghi sono detti tessuti
lenti.
Perché in un liquido, saturo di un gas, si
formi una bolla, occorre una repentina variazione pressoria di oltre 100
atm. Eppure, in subacquea, basta la differenza di 1 atm. di pressione,
per crearne all’interno del nostro organismo. Comunque, dopo ogni
immersione, usciremo dall’acqua con piccolissime bolle in circolo che
prendono il nome di bolle silenti o asintomatiche. E’ accertato
che la bolle, durante la desaturazione, si creano a partire da
micronuclei gassosi preesistenti nei nostri tessuti. L’origine di questi
semi gassosi viene attribuita a movimenti articolari e muscolari,
scorrimento di una superficie tissutale sull’altra, apertura e chiusura
delle valvole cardiache o variazioni di pressioni del sangue all’interno
del sistema circolatorio, che, creando zone di bassa pressione a seguito
di movimenti vorticosi ne favoriscono lo sviluppo.
Teoricamente, una bolla di dimensioni così
piccole, immersa in un liquido, dovrebbe avere vita breve. Secondo la
legge di Laplace, la differenza tra la pressione all’interno di una
bolla e quella presente al suo esterno è inversamente proporzionale al
raggio della bolla stessa. Questo vuol dire che tanto più piccola è
una bolla immersa in un liquido, tanto maggiore sarà la pressione del
gas al suo interno, rispetto a quella del liquido. Grazie a questo
squilibrio la bolla dovrebbe dissolversi in seguito alla fuoriuscita del
gas dalla stessa.
Sperimentalmente, invece, è stato appurato
che molte bolle, soprattutto se di piccole dimensioni, rimangono stabili
all’interno di un liquido per un lungo periodo. Si suppone che a darne
stabilità siano delle sostanze chiamate surfattanti. Queste ne
irrigidiscono la struttura, annullando le tensioni superficiali.
E’importante sottolineare che il surfattante riesce a rendere stabile
una bolla soltanto se il diametro di quest’ultima rientra in determinate
dimensioni, al di sopra o al di sotto delle quali diventa instabile.
Durante l’immersione, le bolle presenti nei
nostri tessuti, verranno alimentate dall’aumento della tensione
dell’inerte. Risalendo, con la diminuzione della pressione del gas
all’esterno della bolla, quest’ultima tenderà ad aumentare di
dimensioni.
Teoricamente, una bolla immersa in un
liquido, espandendosi oltre un certo diametro, dovrebbe dissolversi
nello stesso liquido. Nel caso che ci riguarda, questa, invece,
trovandosi tra i tessuti del nostro organismo, potrebbe occupare
eventuali spazi disponibili, perdendo la sua forma sferica, creando
ostruzioni del flusso ematico e provocando la malattia da
decompressione (MDD).
Il compito di una corretta risalita è
quello di riuscire a contenere il diametro della bolla al di sotto
della tensione critica. Questa, chiamata anche valore M, o limite
di sovrasaturazione, è il valore massimo di pressione di gas inerte
che un ipotetico compartimento tissutale può tollerare senza che si
presentino sintomi di malattia da decompressione.
Ad ogni compartimento è assegnato un valore
M, che è un valore pressorio espresso in metri di colonna d’acqua di
mare, o msw (meter of sea water). Più veloce è il compartimento,
maggiore sarà il valore M, e viceversa. Nelle immersioni profonde,
generalmente sono i tessuti veloci a raggiungere il valore M. In quelle
poco profonde, i tessuti veloci non si avvicineranno mai al valore M,
per cui saranno quelli lenti a determinarne la durata.
Proviamo a fare un piccolo esempio.
Secondo i parametri utilizzati per
formulare il pianificatore per immersioni ricreative, un compartimento
tissutale con tempo di emisaturazione di 5 minuti, ha un valore M di
circa 30 msw. Se scendiamo ad una profondità di 20 mt, questo tessuto,
considerando quanto detto prima sul tempo di saturazione, dopo 5 minuti
avrà una pressione tissutale di 10 msw, fino a raggiungere il valore di
20 msw dopo 6 emitempi, ovvero dopo 30 minuti. Restando comunque ben
lontano da quello che è il suo valore M, che non potrà mai raggiungere.
Al contrario, un compartimento tissutale con tempo di emisaturazione di
80 minuti, al quale è assegnato un valore M di circa 15 msw, alla stessa
profondità di 20 mt, raggiungerà il valore M in due emitempi e quindi in
circa 160 minuti. Tornando al compartimento di 5 minuti, se portato ad
una profondità di 40 mt, giungerà invece al valore M in circa 10 minuti.
Considerando tali valori è stata concepita
quelle che viene chiamata curva di sicurezza, dove, in
rapporto alle profondità, vengono fissati dei valori massimi di tempo,
occorrenti per contenere la fase gassosa entro limiti di sicurezza.
Restando al di sotto di tali margini è possibile risalire direttamente
in superficie, rispettando esclusivamente la velocità di risalita.
Superandoli è necessario effettuare delle soste, chiamate tappe di
decompressione, necessarie perché le bolle si muovano nel flusso
ematico senza ostacoli fino ai polmoni, dove verranno eliminate.
Si ipotizza che i micronuclei gassosi, già
presenti nell’organismo del sub prima dell’immersione, possono ridurre
la loro dimensione, o addirittura sparire del tutto, se sottoposti ad un
rapido incremento pressorio. Questa teoria sostiene i vantaggi di una
discesa molto rapida. Di contro, c’è chi sostiene che durante una
discesa veloce, i micronuclei, urtando tra di loro potrebbero aggregarsi
e diventare più pericolosi durante la risalita. Solo nel caso di discese
molto profonde, 90 – 100 mt, si avrebbero dei vantaggi da una discesa
molto rapida. In questo caso, l’elevata pressione, sarebbe in grado di
far collassare le microbolle.
Comunque, come già detto in precedenza,
dopo ogni immersione avremo una certa quantità di bolle asintomatiche in
circolo, la cui quantità dipenderà dalla massima profondità raggiunta e
dal tempo di permanenza. Questa quantità di inerte presente nel flusso
ematico viene definita azoto residuo, ed è indicata tramite una
lettera chiamata gruppo di appartenenza dopo una specifica
immersione.
Nel caso di immersioni ripetitive, ovvero
quelle effettuate nell’arco delle 24 ore dalla prima, si dovrà tenere
conto della quantità di azoto non ancora desaturata, considerando
l’intervallo di superficie, durante il quale avremo espulso inerte.
Un caso particolare è quello delle
immersioni in quota, considerando tali quelle effettuate al di sopra
dei 300 mt di altitudine. Durante il tragitto per raggiungere il luogo
d’immersione, con la diminuzione della pressione atmosferica, il nostro
organismo comincerà a desaturare azoto, trovandoci in una condizione
simile a quella di un’immersione ripetitiva. Dovremo quindi considerare
la desaturazione in funzione dell’altitudine a cui effettueremo
l’immersione, o attendere 12 ore perché il processo si stabilizzi.
Attualmente, non esistono strumenti per
misurare le tensioni dei gas inerti disciolti nel corpo di un subacqueo.
Alcuni ricercatori hanno proposto degli algoritmi per calcolarle. Per
quanto siano frutto di studi su numerose casistiche di incidenti, e
siano state fatte un buon numero di sperimentazioni sul campo con
l’ausilio dell’ecodoppler (strumento che riesce a registrare la presenza
di bolle nel flusso ematico), non sappiamo quanto si avvicinino alla
realtà. Le conoscenze, nell’ambito della fisiologia dell’iperbarismo,
sono ancora ben lontane dall’avere certezze matematiche.
Torna all'inizio della pagina |