I fattori che influenzano
l’assorbimento e l’eliminazione dei gas
Sappiamo che il flusso
ematico (perfusione) e la diffusione sono i
due meccanismi che regolano lo scambio gassoso di un gas
inerte. Sappiamo anche che la distribuzione del flusso
ematico nei vari organi e tessuti del corpo umano
differisce da organo a organo, e nello stesso organo in
momenti e situazioni diverse. I tessuti con alta
attività metabolica come il cervello, il cuore e i
muscoli, hanno un controllo della perfusione loro
proprio.
Fatte queste premesse, si
possono analizzare i mutamenti che si verificano nel
corpo umano quando ci si immerge, ovvero quando aumenta
la pressione ambiente.
Durante un’immersione il trasferimento
di sangue nel torace (blood
shift)
aumenta il volume ematico centrale di una quantità
di circa 700 ml. Questo provoca un impegno maggiore
nella funzione meccanica e ventilatoria del polmone, ma
ha un effetto del tutto trascurabile sugli scambi del
gas inerte. Mentre la portata cardiaca aumenta del 30%
circa, le resistenze vascolari al flusso ematico
diminuiscono contestualmente del 30% e la perfusione dei
tessuti varia in funzione del consumo di ossigeno da
parte loro.
Lo spostamento di liquidi ("shift")
non riguarda solamente il sangue, ma interessa tutti i
liquidi dell’organismo, tanto che si ha un movimento
degli stessi dal sistema extra-vasale verso quello
intra-vasale. Questo movimento comporta un aumento dei
volumi plasmatici che si verifica durante i primi 30
minuti d’immersione.
Questa descritta, è la
situazione della distribuzione della perfusione
nell’organismo umano, a patto che non vi sia niente che
vada ad interferire con tali meccanismi, modificando in
qualche modo detta condizione.
Tra tutti i fattori in
grado di influenzare il sistema vascolare, la
perfusione e tutto ciò che riguarda i movimenti di
liquidi nell’organismo, quelli più significativi sono
tre:
• L’anidride carbonica (CO2);
• La temperatura
dell’ambiente;
• Lo stress in genere.
L’anidride carbonica (CO2)
Sappiamo
che l’organismo è fondamentalmente un “laboratorio
chimico”. L’anidride carbonica è il prodotto finale del
cosiddetto metabolismo ossidativo dell’organismo,
ossia il risultato ultimo di tutte le reazioni chimiche
che avvengono in presenza di ossigeno.
La quantità di anidride carbonica prodotta dipende dalla
quantità di ossigeno che si consuma.
In un soggetto normale, a riposo, ad ogni
litro di anidride carbonica prodotto corrisponde un
litro di ossigeno consumato. Il rapporto tra CO2
prodotta e O2 consumato si chiama QR (Quoziente
Respiratorio).
Il suo valore oscilla tra 0,7 e 1,0 e dipende in gran
parte dall’alimentazione e dall’allenamento fisico.
Il QR di un subacqueo si aggira intorno allo 0,9 che
significa che per ogni litro di ossigeno consumato
vengono prodotti 0,9 litri di CO2 circa.
Il livello di CO2
nel sangue e nei tessuti è mantenuto rigorosamente
costante attraverso una serie di meccanismi, il più
importante dei quali è l’apparato respiratorio. Ciò
significa che il volume di aria o miscela che un
subacqueo consuma è in stretta relazione con l’ossigeno
che consuma, quindi con l’anidride carbonica che
produce.
Se si considera che
sott’acqua la pressione parziale dell’ossigeno aumenta
in modo significativo, e che a parità di volume della
miscela respirata, ci sono molte più molecole di
ossigeno, ci si rende conto che il subacqueo respira
soprattutto per eliminare l’anidride carbonica. Ma è
fondamentale sapere che il volume d’aria richiesto per
eliminare l’anidride carbonica non aumenta con la
profondità.
La CO2 non può
essere considerata una "sostanza tossica" nel vero senso
della parola, però un suo aumento oltre i valori di
soglia provoca importanti effetti negativi
sull’organismo, che possono portare, nei casi più
estremi, alla morte.
Generalmente si può
affermare che un aumento della pressione parziale di CO2
nel sangue e nei tessuti è causa di effetti diretti
(vasodilatazione e depressione, oltre certi limiti, dei
centri nervosi della regolazione della respirazione) e
di effetti indiretti, attraverso l’introduzione di una
variazione del PH ematico (aumenta cioè l’acidità del
sangue e il valore del PH scende al di sotto di 7,40)
che provoca una stimolazione dei centri periferici e
centrali della respirazione (facendo aumentare la
profondità e la frequenza del respiro) e un
interessamento dello stato di coscienza che può condurre
al coma (si parla di "carbonarcosi").
Occorre
quindi analizzare quali siano le situazioni che
possono provocare un aumento del livello di CO2
nel subacqueo, ed esse sostanzialmente sono quattro:
• La ventilazione con gas
che contengano alte concentrazioni di CO2;
• Un erogatore con alta
resistenza al flusso dell’aria (il classico “erogatore
duro”);
• Dei sistemi di
respirazione a circuito chiuso o semichiuso
inefficienti;
• Un lavoro muscolare
condotto con strumenti inadeguati (ancora il solito
“erogatore duro”).
Tutte queste situazioni
possono provocare nell’organismo un aumento della CO2
molto pericoloso, poiché ogni singolo atto
ventilatorio anziché contribuire all’eliminazione
dell’anidride carbonica ne provoca l’aumento, con
conseguente aumento dell’incapacità mentale diminuendo
in modo considerevole la capacità di raziocinio. In ogni
caso, l’aumento della ventilazione e quindi del consumo
d’aria, è manifestazione costante soprattutto della
necessità di eliminazione della CO2.
Da
quanto detto sopra è possibile fare un’importante
deduzione: la ventilazione (quindi il consumo d’aria)
è la spia indiretta della CO2 che il
subacqueo produce.
Se si considera che
l’anidride carbonica è uno dei più potenti
vasodilatatori, si riesce a capire perché interferisce,
e in buona parte modifica, la quantità di sangue che
arriva agli organi e ai tessuti dell’organismo.
La sua azione si esplica
sia a livello dei vasi cerebrali (e si manifesta con
cefalee, cioè mal di testa), sia a livello cutaneo.
L’aumento di apporto ematico si traduce, per quanto ci
interessa, in una maggiore quantità di gas inerte che
raggiunge quei tessuti e quei distretti. Un aumento
della quantità di gas inerte che giunge ai tessuti
può significare una diminuzione del tempo richiesto a
quei tessuti per saturarsi, con le conseguenze che ne
derivano durante la decompressione. Questa maggiore
assunzione di gas inerte, infatti, allo stato attuale
non può essere né prevista né quantificata.
La vasodilatazione indotta
dall’eccesso di anidride carbonica (ipercapnia)
comporta un ulteriore effetto altrettanto importante: un
aumento della dispersione calorica
dell’organismo. La perdita di calore, a sua volta,
induce una serie di meccanismi che servono ad aumentare
la produzione di calore e, nel contempo, di diminuirne
la dispersione. Quest’ ultimo meccanismo però,
costituito fondamentalmente da una vasocostrizione allo
scopo di ridurre la superficie che disperde il calore,
non può essere messo in opera con efficacia
dall’organismo, dal momento che esiste una azione
opposta indotta dall’ipercapnia. Nello stesso tempo il
meccanismo che provoca una maggiore produzione di calore
si traduce in un aumento del consumo di ossigeno, e
quindi del consumo della miscela respiratoria a
disposizione del subacqueo.
La temperatura
L’acqua
possiede una grande capacità di assorbire calore,
quantificabile in circa 25 volte superiore a quella
dell’aria. Durante l’immersione la perdita di calore per
radiazione è trascurabile se confrontata
con le perdite per convezione e
conduzione. La traspirazione passiva
contribuisce alla dispersione calorica, sostituendosi
alla sudorazione e alla successiva evaporazione. Anche
l’aumento del volume urinario, come accade in
immersioni lunghe, contribuisce alla perdita di calore.
La perdita di calore
attraverso l’apparato respiratorio è molto
importante e va segnalato che le perdite caloriche
tramite l’apparato respiratorio non innescano i
meccanismi della termoregolazione, che sono invece
attivati principalmente dalla dispersione per conduzione
e convezione. Va inoltre tenuto presente che la
dispersione termica data dalla penetrazione di gas
freddo sotto pressione nell’albero respiratorio
contribuisce in buona misura alle perdite di calore, e
che la diminuzione o l’aumento della temperatura del
nucleo di 1°C causa una sensazione di disagio per
l’organismo, mentre la diminuzione di 3-4°C costituisce
una situazione d’emergenza.
E’ importante ricordare
quanto già detto parlando della CO2, vale a
dire che la perdita di calore provoca un aumento
della produzione del calore medesimo, che equivale
sempre a un aumento del consumo di ossigeno con
successivo incremento della produzione di CO2
e del consumo della miscela respiratoria.
Che cos’è la decompressione
Per
poter inserire i vari tipi di tessuti del corpo umano
all’interno dei modelli matematici di decompressione,
sono stati loro assegnati dei valori numerici teorici
che esprimono il "periodo di emisaturazione"
di ciascuno. Questi periodi permettono di valutare per
approssimazione l’assorbimento e il rilascio dell’azoto
dai tessuti.
L’evoluzione degli studi di Scott Haldane ha portato a
stabilire che mantenendo un rapporto di saturazione
di 1,48:1 ci si può immergere e riemergere senza che
siano necessarie tappe di decompressione. Integrando i
tempi di emisaturazione dei vari tessuti in modo che per
ciascuno di essi si mantenga un rapporto di pressione
entro i limiti di sicurezza, è stata elaborata una
curva, detta appunto "curva di sicurezza"
dove sono rappresentati i limiti massimi di tempo e
profondità entro cui è possibile risalire in superficie
senza dover fare decompressione.
Se l’immersione è profonda
e/o tanto lunga da superare il rapporto di saturazione
massimo dei tessuti – oltre il quale una risalita
diretta alla superficie provocherebbe la fuoriuscita
dell’azoto dalla soluzione e la formazione di bolle
sintomatiche – è necessario fare le tappe di
decompressione. Queste consistono in soste obbligatorie
da fare durante la risalita (a varie profondità e per
determinati tempi a seconda del tempo di immersione
effettuato), che servono a dare tempo all’organismo di
liberare l’azoto attraverso la respirazione.
Decompressione ed esercizio
fisico
Vi è tutta una
serie di fattori che portano a modificazioni della
perfusione (cioè del flusso ematico) durante
l’immersione. La temperatura dell’acqua è un
fattore fondamentale: una discesa in acque calde è causa
di vasodilatazione dei tessuti periferici, cosa che
comporta una riduzione del trasferimento di sangue nel
torace (blood
shift).
Invece un’immersione in acque a temperatura neutra (cioè
simile a quella esterna) non comporta modificazioni
significative del flusso ematico; mentre una in acque
fredde provoca una vasocostrizione periferica. Si è
calcolato che in presenza di temperature critiche, la
vasocostrizione riduce il flusso ematico di 10-15 ml al
minuto ogni 100 gr di tessuto.
Consideriamo ora il flusso
ematico nei grassi e nei muscoli: esso è regolato
fondamentalmente da due fattori:
• la temperatura (sia
quella cutanea che quella corporea);
• il lavoro muscolare.
Infatti, la temperatura
corporea e quella della cute modificano sia il flusso
nella cute stessa che quello nei grassi, mentre la
perfusione nei muscoli, a riposo, è modificata dalla
temperatura del muscolo stesso. Molto spesso, inoltre,
l’incremento di flusso ematico in un distretto
dell’organismo si accompagna ad una diminuzione in un
altro distretto. Per esempio, durante un esercizio
muscolare l’aumento del flusso ematico nei muscoli è
accompagnato dalla diminuzione del flusso nel distretto
epatico e renale. Sempre durante un esercizio muscolare,
si ha una produzione di calore a livello dei muscoli che
è causa di un aumento di temperatura locale con
successivo aumento del flusso ematico muscolare, anche
se la cute è fredda.
Fatta eccezione per le
immersioni in acque fredde, l’aumento di flusso ematico
muscolare durante un esercizio muscolare, provoca un
aumento di flusso ematico contestuale nei grassi. È da
sottolineare che l’adattamento al freddo riduce in modo
significativo la vasocostrizione che avviene normalmente
durante le immersioni in acque fredde.
La modificazione della
distribuzione della perfusione ematica dei vari organi
non influenza obbligatoriamente gli scambi gassosi
respiratori. Infatti, il flusso ematico di una certa
regione può essere drasticamente ridistribuito senza che
vi siano influenze significative sulla cessione di gas
inerte, benché questo possa essere intrappolato
localmente. Fanno eccezione a questo comportamento la
cute, i grassi e i muscoli: la permanenza in acque
fredde, infatti, rallenta significativamente gli scambi
gassosi del gas inerte di questi tre tessuti, mentre
l’esercizio muscolare li aumenta notevolmente.
Fatte
queste brevi premesse, è evidente che se si procede a
mettere in pratica tali acquisizioni, le cose si
complicano ulteriormente. Infatti, si dovrebbe dedurne
che l’eliminazione del gas inerte dal corpo, è
aumentata da tutti i fattori in grado di aumentare il
flusso ematico, cosa che comporta una diminuzione
del rischio di PDD. È stato dimostrato infatti che in
immersione un moderato esercizio fisico durante la fase
di decompressione, riduce il rischio di PDD. Si può
quindi affermare che mentre l’incremento degli scambi
gassosi sul fondo facilita l’assorbimento del gas inerte
e fa aumentare il rischio di PDD, l’aumento degli scambi
gassosi in fase di decompressione lo diminuisce. Lo
scambio di gas inerte è favorevole al subacqueo quando
questi è caldo, o in genere quando la temperatura
ambiente consenta una buona perfusione ematica. Questa è
la ragione per cui è fortemente consigliato a coloro che
praticano immersioni con decompressione, utilizzare la
muta stagna quando la temperatura media dell’acqua è al
di sotto dei 23°C. |