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di Tecnica & Medicina

 

168. Formazione delle bolle e fattori che influenzano la MDD

 

(Testo riveduto, integrato e corretto da Marcello Polacchini, sulla base del manuale Explorer Diver SNSI e di un articolo dell’amico Corrado Carozzino istruttore TDI)
 

Tutti i subacquei sanno che le formazioni emboliche (cioè le bolle di gas) costituiscono un problema e che nella maggior parte dei casi derivano dall’azoto; ma per molti sub la teoria della decompressione e dell’assorbimento e rilascio dei gas nei tessuti, rappresenta un mistero. Sapere esattamente come avviene la formazione delle bolle all’interno dell’organismo quando si respira aria in pressione e quali sono i fattori che influenzano l’assorbimento e l’eliminazione dei gas sono nozioni importantissime, specialmente per un subacqueo tecnico.

 

Perché le bolle causano dolore, e possono provocare paralisi e morte?

 

Ancora non si hanno certezze al riguardo, ma due sono le teorie più accreditate.
In primo luogo le bolle causano un danno meccanico ai tessuti. Infatti, le bolle tendono ad ingrossarsi attirando l’azoto dalla condizione di soluzione tissutale e riunendone le molecole. Una volta ingrossatesi esse esercitano una forte pressione sui nervi e possono creare delle micro lacerazioni nei capillari sanguigni. All’interno del torrente circolatorio le bolle rallentano gli scambi gassosi (apporto di ossigeno) e la circolazione e ciò danneggia i tessuti che necessitano di apporto costante di sangue ossigenato.
In secondo luogo le bolle causano un danno chimico. L’azoto contenuto all’interno della bolla è di per se inerte, ma la bolla stessa è considerata dall’organismo come un corpo estraneo, perciò i globuli bianchi l’attaccano causando un’ostruzione in quella zona con conseguente maggiore rallentamento del passaggio di sangue ossigenato. Contemporaneamente tutti i "campanelli di allarme" dell’organismo si attivano scatenando una vera e propria guerra chimica del sistema immunitario che procura sgradevoli effetti collaterali.

Fig. 1 Come fa la MDD a causare dolore, paralisi o morte? Siccome le bolle di azoto si raggruppano o si espandono in relazione alla diminuzione della pressione, premono sui terminali nervosi lacerando i capillari. All’interno di vene o arterie, le bolle rallentano il flusso sanguigno e ciò danneggia I tessuti che devono essere supportati dall’ossigeno in soluzione. Un’altra teoria sostiene che i globuli bianchi attaccano le bolle, causando una grossa ostruzione alla normale circolazione del sangue.

Come viene assorbito dai tessuti l’azoto respirato

 

L’azoto entra nell’organismo del subacqueo attraverso il meccanismo della respirazione di aria compressa e transitando nei polmoni confluisce direttamente nel flusso sanguigno, attraverso il quale viene trasportato in tutto il corpo e depositato nei vari tessuti. Così facendo, le molecole dell’azoto si disperdono tra le cellule sanguigne, superano la barriera delle arterie e in un certo senso riempiono gli "spazi vuoti" dei vari tessuti. Quando le molecole dell’azoto sono disperse e mescolate con altre molecole dei tessuti organici, l’azoto entra in "soluzione" e in questa prima fase non desta preoccupazioni di sorta. Solamente quando le molecole dell’azoto (e le molecole degli altri gas) vengono forzatamente associate o avvicinate esse creano i problemi legati all’agglomerazione che sono chiamate  bolle o formazioni emboliche. Quando l’azoto o le molecole di altri gas hanno riempito completamente gli spazi disponibili all’interno di un tessuto, quest’ultimo viene definito "saturo".

 

La saturazione dipende dalla profondità e dal tempo di immersione
Maggiore profondità significa che l’azoto (e gli altri gas respirabili) entrano nell’organismo con una pressione maggiore. Una maggiore pressione significa essenzialmente un numero più elevato di molecole di azoto che confluiscono insieme negli spazi disponibili dei tessuti. Le molecole di azoto cercano di andare dove c’è “meno affollamento” ovvero meno pressione e continuano a “spingere” contro il tessuto fino a quando la resistenza che si pone tra loro (pressione del gas) e quelle già presenti nel tessuto non equilibra la pressione di respirazione del gas stesso. A questo punto il raggruppamento delle molecole del gas è lo stesso in qualsiasi zona del tessuto (pressione interna al tessuto uguale alla pressione esterna) e quindi le molecole di azoto sono in equilibrio pressorio e non è possibile assorbire più gas in quel tessuto. Questo fenomeno però non avviene istantaneamente: è necessario che trascorra del tempo prima che la pressione raggiunga uno stato di saturazione.

Cosa succede quando si risale
Se si risale da 30 a 18 metri, la pressione del gas respirato è decisamente inferiore a quella presente all’interno dei tessuti che in questo momento vengono definiti "sovrasaturi". L’azoto adesso vorrà lasciare il tessuto che occupa e lo farà attraverso il circuito sanguigno e i polmoni fino a quando non diminuirà la sua pressione ovvero il sovraffollamento di molecole gassose. Naturalmente, abbandonando il tessuto, la pressione che mantiene l’azoto in soluzione all’interno dello stesso diminuisce e il gas comincerà ad espandersi ed a fuoriuscire

L’azoto continuerà ad abbandonare i tessuti fino a quando non si ristabilirà un nuovo livello di equilibrio tra la pressione interna e quella di respirazione del gas. Se il calo di pressione fosse più rapido di quanto l’organismo riesca ad espellere l’azoto, si formerebbero delle bolle di questo gas.

 

I tessuti non sono tutti uguali
Il processo sopra descritto sarebbe semplice se tutti i tessuti del corpo assorbissero e rilasciassero le molecole di azoto nello stesso modo e con lo stesso tempo. Ma così non è, perché alcuni impiegano molto più tempo per saturarsi rispetto ad altri, cioè vi sono tessuti lenti e tessuti veloci. Questo spiega anche perché alcuni tessuti possono sovrasaturarsi e rilasciare azoto mentre altri, nel contempo, stanno ancora assorbendo tale gas.

Se per esempio si raggiunge il fondo e ci si resta fino a quando un tessuto veloce non si sia completamente saturato, un tessuto lento, al termine di questa fase, ha appena cominciato ad assorbire l’azoto. Risalendo di qualche metro, il calo della pressione permette al gas del tessuto veloce, già saturo, di fuoriuscire mentre la maggior parte dei tessuti privi di gas, continueranno ad assorbire azoto.

E’ ragionevole supporre che se un tessuto saturo è adiacente ad uno parzialmente o totalmente vuoto, per il principio dei vasi comunicanti l’azoto potrà transitare direttamente da quello pieno a quello vuoto. Questo spiega perché i tessuti lenti continuano ad assorbire azoto anche durante l’intervallo di superficie: lo fanno prelevando parte del gas direttamente da quelli più veloci che confinano con loro e che non sono ancora completamente scarichi.

Fig. 2 La saturazione dei tessuti varia con la profondità. Più profondo si scende, più azoto si assorbe. Ad esempio i tessuti che dopo un determinato periodo di tempo si sono saturati di gas a 18 metri, saranno saturi per quella profondità e quindi non entrerà altro gas, ma se si scende a 30 metri, l’aumento della pressione causerà un ingresso di ulteriore gas nei tessuti fino a quando non si sarà raggiunto un nuovo livello di saturazione. Una volta saturatisi a 30 metri possono ancora assorbire altro gas se si scende a 45 metri e così via.

Come si formano le bolle
 

Ma come si formano le bolle nei tessuti del nostro corpo quando è in immersione e come si genera una MDD?

Il fisiologo inglese John Scott Haldane nel 1908 inventò la teoria dei compartimenti tissutali assieme alle prime tabelle d’immersione. Egli affermò: “noi non sappiamo nulla con certezza. Quindi immaginiamo che ci siano 5 tipi di tessuti. Diamo ad ognuno un tempo differente per saturarsi, lo calcoliamolo teoricamente, facciamo delle tabelle, e vediamo se i subacquei accusano MDD”.

Le tabelle di Haldane funzionarono, così l’idea dei compartimenti tissutali è ancora oggi attuale. Il numero dei compartimenti individuati da Haldane in realtà è arbitrario. Per esempio un maestro potrebbe dividere 100 studenti in 5 gruppi da 20 (A,B,C,D,E,F,) o in 2 gruppi da 50 studenti ciascuno, oppure in 10 gruppi da 10 ciascuno (90-100, 80-89, 70-79, etc.). Creare dei compartimenti tissutali  è solo un modo per semplificare i calcoli che da comunque un risultato utile alla pianificazione.

Anche i tempi di saturazione che Haldane assegnò ai suoi compartimenti erano arbitrari. Lui diede ai compartimenti degli emitempi di saturazione (o emiperiodi) di 5, 10, 20, 40 e 75 minuti, basandosi sulla teoria che la velocità di assorbimento di un compartimento rallenta in maniera esponenziale mentre il compartimento si satura a causa della pressione interna che contrasta quella esterna al compartimento stesso.
Un tempo "esponenziale" significa che il compartimento dei 5 minuti si emisaturerà (cioè si riempirà al 50%) in 5 minuti. L’altra metà del compartimento rimasta libera si riempirà a sua volta per metà nei secondi 5 minuti (per un totale del 75% dopo 10 minuti). La metà del 25% rimasto nei terzi 5 minuti (per un totale di 87,5% in 15 minuti). E così via fino ad arrivare al 6° emiperiodo (ovvero il sesto periodo di 5 minuti) dopo il quale il tessuto si può considerare quasi totalmente saturo (98,44%).
Nello stesso tempo, il compartimento dei 10 minuti impiegherà 10 minuti per riempirsi al 50%, 20 minuti per il 75% e così via. Quando il compartimento dei 5 minuti è stato saturato (ovvero dopo 30 minuti – 6 periodi da 5 minuti l’uno – 6x5=30minuti) il compartimento da 40 minuti sarà a meno della metà e quello da 75 minuti avrà appena iniziato ad assorbire gas.
In ogni caso l’idea di Haldane relativa agli emiperiodi è utilizzata ancora oggi. I modelli di calcolo più recenti sia di computer che di tabelle hanno semplicemente aggiunto un maggior numero di compartimenti ed hanno ricalcolato gli emiperiodi, come ad esempio l’algoritmo Bühlmann ZHL-12 (Zurich Limits a 12 compartimenti) che considera emiperiodi di 4, 7.94, 12.2, 18.5, 26.5 e così via fino a 635 minuti.

Dopo il primo modello della serie, lo ZH-L12 si adottò l’algoritmo ZH-L16A (16 compartimenti, con emiperiodi per l’azoto da 4 a 635 minuti), ma essendo risultato poco conservativo si svilupparono il modello ZH-L16B, adatto al calcolo di tabelle sportive e lo ZHL16C, creato appositamente per essere inserito in un computer subacqueo.

Molti costruttori di computer subacquei hanno poi ulteriormente adattato e utilizzato il modello decompressivo di Bühlmann, utilizzando versioni proprietarie in cui sono stati incorporati particolari elementi di conservativismo. Ad esempio il computer Aladin della Uwatec utilizzava il modello ZH-L8 ADT, che ha ridotto a 8 il numero dei compartimenti presi in considerazione ma tiene in considerazione alcuni fattori come la temperatura dell’acqua che possono portare alla produzione di microbolle.

 

Ma torniamo ora alla domanda iniziale: come si formano le bolle nei tessuti del corpo quando è in immersione? Per capirlo bisogna andare oltre la vecchia teoria di Haldane (nonostante essa sia sempre la base da cui partire) e rifarsi a degli studi più recenti che hanno fatto luce su alcuni aspetti della malattia da decompressione.

La formazione delle bolle nel corpo del subacqueo durante l’immersione è un fenomeno piuttosto complesso, ma per comprenderlo si può fare riferimento a qualcosa di molto più semplice, vale a dire la formazione delle gocce di pioggia. In ogni goccia di pioggia c’è una piccolissima particella di polvere, attorno alla quale il vapore acqueo condensa e cresce formando così la goccia.

Sia nell’uomo che negli altri animali, la turbolenza della corrente del sangue che scorre all’interno dei vasi sanguigni e i normali movimenti del corpo provocano spontaneamente la formazione di micronuclei gassosi (cioè delle microscopiche sacche di gas). Questi micronuclei, normalmente presenti in tutti noi, sono i precursori della formazione delle bolle, così come lo sono le particelle di polvere per le gocce di pioggia.
Quando il subacqueo è in fase di risalita l’azoto si diffonde nei micronuclei gassosi e forma delle minuscole microbolle. Questo fenomeno avviene inizialmente nei capillari, per poi entrare nella circolazione venosa e raggiungere il cuore. Dal cuore il sangue trasporta le microbolle fino ai polmoni dove, intrappolate nella finissima rete di capillari degli alveoli, queste si diffondono attraverso la parete alveolare.
Sappiamo che l’azoto in forma gassosa viene espirato attraverso il normale processo respiratorio, e dato che le bolle di azoto sono piccolissime, normalmente non causano nessun disturbo durante il loro passaggio nei vasi sanguigni; perciò, non avendo alcun effetto nocivo sull’uomo furono chiamate da A. R. Behnke nel 1942 "silent bubbles" (bolle silenti o asintomatiche).

Le microbolle che si formano in immersione sono molte e gli studi con la strumentazione ultrasonica Doppler hanno permesso di vedere (in realtà di sentire) le bolle nelle vene mentre il sangue fa ritorno dai tessuti verso i polmoni. Queste bolle sono molto comuni, ma fino a quando si mantengono all’interno della circolazione venosa, vengono filtrate dai polmoni e non causano pericoli, perciò sono bolle asintomatiche.

Ma allora, visto questo processo naturale di espulsione dell'azoto attraverso la respirazione, come mai i subacquei possono comunque incorrere nella MDD?
Innanzitutto bisogna precisare che non tutte le microbolle gassose vengono eliminate dai polmoni durante la respirazione. A tutt’oggi non se ne conosce ancora con certezza il motivo, e al riguardo vi sono due teorie.

La prima teoria dice che quando le microbolle sono troppe, tutti i capillari polmonari si dilatano consentendo al flusso ematico arterioso di passare nei capillari venosi polmonari aggirando completamente i polmoni. Questo fenomeno prende il nome di "effetto shunt" e consente alle bolle di passare dalla circolazione arteriosa polmonare a quella venosa polmonare, liberando così, alle microbolle, la via per il cervello.

La seconda teoria riguarda il coinvolgimento delle immersioni ripetitive nel passaggio delle bolle dal sistema venoso a quello arterioso. In pratica le microbolle presenti nella circolazione venosa dopo la prima immersione vengono ricompresse durante l’immersione successiva e diventano così piccole da poter passare, attraverso i capillari, nella circolazione arteriosa. Questo spiega il motivo per cui i computer subacquei tendono ad essere sempre più conservativi quando calcolano i tempi delle immersioni ripetitive. Oggi infatti, per una maggiore sicurezza dei subacquei, i computer utilizzano algoritmi sempre più complessi che prendono in considerazione fattori che in passato venivano del tutto trascurati.

Nell’ultimo decennio si è fatta avanti anche un’altra teoria che ha suscitato e continua a suscitare l’interesse degli studiosi: è la teoria del forame ovale pervio.
Sappiamo che il feto che si trova nel grembo materno non usa i propri polmoni per ossigenarsi, ma riceve ossigeno direttamente dal sangue materno. Il sangue che entra nell’atrio destro del cuore passa direttamente nell’atrio sinistro, attraverso un’apertura del tessuto cardiaco chiamata "
forame ovale": in pratica si tratta di una valvola di non ritorno che permette al sangue di passare dall’atrio destro al sinistro ma non viceversa. Al momento della nascita, con il primo respiro del bambino, la pressione nell’atrio sinistro aumenta e il forame ovale si chiude.

La valvola tra i due atri del cuore dovrebbe sigillarsi completamente con il passare del tempo; ma in realtà si suppone che nel 20-30% della popolazione ciò non avvenga e che il forame ovale rimanga aperto, da qui la denominazione medica di "forame ovale pervio".

Il rischio di passaggio di microbolle dalla circolazione venosa a quella arteriosa nei soggetti adulti che hanno il forame ovale pervio è abbastanza remoto, perché affinché vi sia un passaggio di sangue direttamente dal cuore destro al cuore sinistro occorre che, mentre il sangue venoso carico di microbolle passa attraverso il cuore destro, si abbia un aumento della pressione nell’atrio destro rispetto al sinistro. Se ciò avviene, assieme al sangue venoso passerebbero nel cuore sinistro anche le microbolle di azoto.
Va precisato che il forame ovale pervio non causa di per se stesso rischi di MDD, ma le microbolle che possono entrare nella circolazione arteriosa potrebbero dare dei sintomi e causare forme severe di MDD e nella peggiore delle ipotesi anche di EGA (Embolismo Gassoso Arterioso).

Il fenomeno del forame ovale pervio richiede tuttavia ulteriori studi, perciò i ricercatori sono ancora cauti nel trarre conclusioni definitive riguardo alla sua influenza nelle PDD.

I fattori che influenzano l’assorbimento e l’eliminazione dei gas

 

Sappiamo che il flusso ematico (perfusione) e la diffusione sono i due meccanismi che regolano lo scambio gassoso di un gas inerte. Sappiamo anche che la distribuzione del flusso ematico nei vari organi e tessuti del corpo umano differisce da organo a organo, e nello stesso organo in momenti e situazioni diverse. I tessuti con alta attività metabolica come il cervello, il cuore e i muscoli, hanno un controllo della perfusione loro proprio.

Fatte queste premesse, si possono analizzare i mutamenti che si verificano nel corpo umano quando ci si immerge, ovvero quando aumenta la pressione ambiente.

Durante un’immersione il trasferimento di sangue nel torace (blood shift) aumenta il volume ematico centrale di una quantità di circa 700 ml. Questo provoca un impegno maggiore nella funzione meccanica e ventilatoria del polmone, ma ha un effetto del tutto trascurabile sugli scambi del gas inerte. Mentre la portata cardiaca aumenta del 30% circa, le resistenze vascolari al flusso ematico diminuiscono contestualmente del 30% e la perfusione dei tessuti varia in funzione del consumo di ossigeno da parte loro.

Lo spostamento di liquidi ("shift") non riguarda solamente il sangue, ma interessa tutti i liquidi dell’organismo, tanto che si ha un movimento degli stessi dal sistema extra-vasale verso quello intra-vasale. Questo movimento comporta un aumento dei volumi plasmatici che si verifica durante i primi 30 minuti d’immersione.

Questa descritta, è la situazione della distribuzione della perfusione nell’organismo umano, a patto che non vi sia niente che vada ad interferire con tali meccanismi, modificando in qualche modo detta condizione.

Tra tutti i fattori in grado di influenzare il sistema vascolare, la perfusione e tutto ciò che riguarda i movimenti di liquidi nell’organismo, quelli più significativi sono tre:

• L’anidride carbonica (CO2);

• La temperatura dell’ambiente;

• Lo stress in genere.

 

L’anidride carbonica (CO2)

Sappiamo che l’organismo è fondamentalmente un “laboratorio chimico”. L’anidride carbonica è il prodotto finale del cosiddetto metabolismo ossidativo dell’organismo, ossia il risultato ultimo di tutte le reazioni chimiche che avvengono in presenza di ossigeno.
La quantità di anidride carbonica prodotta dipende dalla quantità di ossigeno che si consuma.

In un soggetto normale, a riposo, ad ogni litro di anidride carbonica prodotto corrisponde un litro di ossigeno consumato. Il rapporto tra CO2 prodotta e O2 consumato si chiama QR (Quoziente Respiratorio). Il suo valore oscilla tra 0,7 e 1,0 e dipende in gran parte dall’alimentazione e dall’allenamento fisico.
Il QR di un subacqueo si aggira intorno allo 0,9 che significa che per ogni litro di ossigeno consumato vengono prodotti 0,9 litri di CO2 circa.

Il livello di CO2 nel sangue e nei tessuti è mantenuto rigorosamente costante attraverso una serie di meccanismi, il più importante dei quali è l’apparato respiratorio. Ciò significa che il volume di aria o miscela che un subacqueo consuma è in stretta relazione con l’ossigeno che consuma, quindi con l’anidride carbonica che produce.

Se si considera che sott’acqua la pressione parziale dell’ossigeno aumenta in modo significativo, e che a parità di volume della miscela respirata, ci sono molte più molecole di ossigeno, ci si rende conto che il subacqueo respira soprattutto per eliminare l’anidride carbonica. Ma è fondamentale sapere che il volume d’aria richiesto per eliminare l’anidride carbonica non aumenta con la profondità.

La CO2 non può essere considerata una "sostanza tossica" nel vero senso della parola, però un suo aumento oltre i valori di soglia provoca importanti effetti negativi sull’organismo, che possono portare, nei casi più estremi, alla morte.

Generalmente si può affermare che un aumento della pressione parziale di CO2 nel sangue e nei tessuti è causa di effetti diretti (vasodilatazione e depressione, oltre certi limiti, dei centri nervosi della regolazione della respirazione) e di effetti indiretti, attraverso l’introduzione di una variazione del PH ematico (aumenta cioè l’acidità del sangue e il valore del PH scende al di sotto di 7,40) che provoca una stimolazione dei centri periferici e centrali della respirazione (facendo aumentare la profondità e la frequenza del respiro) e un interessamento dello stato di coscienza che può condurre al coma (si parla di "carbonarcosi").

Occorre quindi analizzare quali siano le situazioni che possono provocare un aumento del livello di CO2 nel subacqueo, ed esse sostanzialmente sono quattro:

• La ventilazione con gas che contengano alte concentrazioni di CO2;

• Un erogatore con alta resistenza al flusso dell’aria (il classico “erogatore duro”);

• Dei sistemi di respirazione a circuito chiuso o semichiuso inefficienti;

• Un lavoro muscolare condotto con strumenti inadeguati (ancora il solito “erogatore duro”).

Tutte queste situazioni possono provocare nell’organismo un aumento della CO2 molto pericoloso, poiché ogni singolo atto ventilatorio anziché contribuire all’eliminazione dell’anidride carbonica ne provoca l’aumento, con conseguente aumento dell’incapacità mentale diminuendo in modo considerevole la capacità di raziocinio. In ogni caso, l’aumento della ventilazione e quindi del consumo d’aria, è manifestazione costante soprattutto della necessità di eliminazione della CO2.

Da quanto detto sopra è possibile fare un’importante deduzione: la ventilazione (quindi il consumo d’aria) è la spia indiretta della CO2 che il subacqueo produce.

Se si considera che l’anidride carbonica è uno dei più potenti vasodilatatori, si riesce a capire perché interferisce, e in buona parte modifica, la quantità di sangue che arriva agli organi e ai tessuti dell’organismo. La sua azione si esplica sia a livello dei vasi cerebrali (e si manifesta con cefalee, cioè mal di testa), sia a livello cutaneo.
L’aumento di apporto ematico si traduce, per quanto ci interessa, in una maggiore quantità di gas inerte che raggiunge quei tessuti e quei distretti. Un aumento della quantità di gas inerte che giunge ai tessuti può significare una diminuzione del tempo richiesto a quei tessuti per saturarsi, con le conseguenze che ne derivano durante la decompressione. Questa maggiore assunzione di gas inerte, infatti, allo stato attuale non può essere né prevista né quantificata.

La vasodilatazione indotta dall’eccesso di anidride carbonica (ipercapnia) comporta un ulteriore effetto altrettanto importante: un aumento della dispersione calorica dell’organismo. La perdita di calore, a sua volta, induce una serie di meccanismi che servono ad aumentare la produzione di calore e, nel contempo, di diminuirne la dispersione. Quest’ ultimo meccanismo però, costituito fondamentalmente da una vasocostrizione allo scopo di ridurre la superficie che disperde il calore, non può essere messo in opera con efficacia dall’organismo, dal momento che esiste una azione opposta indotta dall’ipercapnia. Nello stesso tempo il meccanismo che provoca una maggiore produzione di calore si traduce in un aumento del consumo di ossigeno, e quindi del consumo della miscela respiratoria a disposizione del subacqueo.

 

La temperatura

L’acqua possiede una grande capacità di assorbire calore, quantificabile in circa 25 volte superiore a quella dell’aria. Durante l’immersione la perdita di calore per radiazione è trascurabile se confrontata con le perdite per convezione e conduzione. La traspirazione passiva contribuisce alla dispersione calorica, sostituendosi alla sudorazione e alla successiva evaporazione. Anche l’aumento del volume urinario, come accade in immersioni lunghe, contribuisce alla perdita di calore.

La perdita di calore attraverso l’apparato respiratorio è molto importante e va segnalato che le perdite caloriche tramite l’apparato respiratorio non innescano i meccanismi della termoregolazione, che sono invece attivati principalmente dalla dispersione per conduzione e convezione. Va inoltre tenuto presente che la dispersione termica data dalla penetrazione di gas freddo sotto pressione nell’albero respiratorio contribuisce in buona misura alle perdite di calore, e che la diminuzione o l’aumento della temperatura del nucleo di 1°C causa una sensazione di disagio per l’organismo, mentre la diminuzione di 3-4°C costituisce una situazione d’emergenza.

E’ importante ricordare quanto già detto parlando della CO2, vale a dire che la perdita di calore provoca un aumento della produzione del calore medesimo, che equivale sempre a un aumento del consumo di ossigeno con successivo incremento della produzione di CO2 e del consumo della miscela respiratoria.

 

Che cos’è la decompressione

Per poter inserire i vari tipi di tessuti del corpo umano all’interno dei modelli matematici di decompressione, sono stati loro assegnati dei valori numerici teorici che esprimono il "periodo di emisaturazione" di ciascuno. Questi periodi permettono di valutare per approssimazione l’assorbimento e il rilascio dell’azoto dai tessuti.
L’evoluzione degli studi di Scott Haldane ha portato a stabilire che mantenendo un rapporto di saturazione di 1,48:1 ci si può immergere e riemergere senza che siano necessarie tappe di decompressione. Integrando i tempi di emisaturazione dei vari tessuti in modo che per ciascuno di essi si mantenga un rapporto di pressione entro i limiti di sicurezza, è stata elaborata una curva, detta appunto "curva di sicurezza" dove sono rappresentati i limiti massimi di tempo e profondità entro cui è possibile risalire in superficie senza dover fare decompressione.

Se l’immersione è profonda e/o tanto lunga da superare il rapporto di saturazione massimo dei tessuti – oltre il quale una risalita diretta alla superficie provocherebbe la fuoriuscita dell’azoto dalla soluzione e la formazione di bolle sintomatiche – è necessario fare le tappe di  decompressione. Queste consistono in soste obbligatorie da fare durante la risalita (a varie profondità e per determinati tempi a seconda del tempo di immersione effettuato), che servono a dare tempo all’organismo di liberare l’azoto attraverso la respirazione.

 

Decompressione ed esercizio fisico

Vi è tutta una serie di fattori che portano a modificazioni della perfusione (cioè del flusso ematico) durante l’immersione. La temperatura dell’acqua è un fattore fondamentale: una discesa in acque calde è causa di vasodilatazione dei tessuti periferici, cosa che comporta una riduzione del trasferimento di sangue nel torace (blood shift). Invece un’immersione in acque a temperatura neutra (cioè simile a quella esterna) non comporta modificazioni significative del flusso ematico; mentre una in acque fredde provoca una vasocostrizione periferica. Si è calcolato che in presenza di temperature critiche, la vasocostrizione riduce il flusso ematico di 10-15 ml al minuto ogni 100 gr di tessuto.

Consideriamo ora il flusso ematico nei grassi e nei muscoli: esso è regolato fondamentalmente da due fattori:

• la temperatura (sia quella cutanea che quella corporea);

• il lavoro muscolare.

Infatti, la temperatura corporea e quella della cute modificano sia il flusso nella cute stessa che quello nei grassi, mentre la perfusione nei muscoli, a riposo, è modificata dalla temperatura del muscolo stesso. Molto spesso, inoltre, l’incremento di flusso ematico in un distretto dell’organismo si accompagna ad una diminuzione in un altro distretto. Per esempio, durante un esercizio muscolare l’aumento del flusso ematico nei muscoli è accompagnato dalla diminuzione del flusso nel distretto epatico e renale. Sempre durante un esercizio muscolare, si ha una produzione di calore a livello dei muscoli che è causa di un aumento di temperatura locale con successivo aumento del flusso ematico muscolare, anche se la cute è fredda.

Fatta eccezione per le immersioni in acque fredde, l’aumento di flusso ematico muscolare durante un esercizio muscolare, provoca un aumento di flusso ematico contestuale nei grassi. È da sottolineare che l’adattamento al freddo riduce in modo significativo la vasocostrizione che avviene normalmente durante le immersioni in acque fredde.

La modificazione della distribuzione della perfusione ematica dei vari organi non influenza obbligatoriamente gli scambi gassosi respiratori. Infatti, il flusso ematico di una certa regione può essere drasticamente ridistribuito senza che vi siano influenze significative sulla cessione di gas inerte, benché questo possa essere intrappolato localmente. Fanno eccezione a questo comportamento la cute, i grassi e i muscoli: la permanenza in acque fredde, infatti, rallenta significativamente gli scambi gassosi del gas inerte di questi tre tessuti, mentre l’esercizio muscolare li aumenta notevolmente.

Fatte queste brevi premesse, è evidente che se si procede a mettere in pratica tali acquisizioni, le cose si complicano ulteriormente. Infatti, si dovrebbe dedurne che l’eliminazione del gas inerte dal corpo, è aumentata da tutti i fattori in grado di aumentare il flusso ematico, cosa che comporta una diminuzione del rischio di PDD. È stato dimostrato infatti che in immersione un moderato esercizio fisico durante la fase di decompressione, riduce il rischio di PDD. Si può quindi affermare che mentre l’incremento degli scambi gassosi sul fondo facilita l’assorbimento del gas inerte e fa aumentare il rischio di PDD, l’aumento degli scambi gassosi in fase di decompressione lo diminuisce. Lo scambio di gas inerte è favorevole al subacqueo quando questi è caldo, o in genere quando la temperatura ambiente consenta una buona perfusione ematica. Questa è la ragione per cui è fortemente consigliato a coloro che praticano immersioni con decompressione, utilizzare la muta stagna quando la temperatura media dell’acqua è al di sotto dei 23°C.

Consigli pratici per evitare di incorrere nella MDD

Queste che seguono sono le avvertenze di carattere generale che possono evitare al subacqueo di incorrere in una malattia da decompressione.
1° risalire sempre lentamente (soprattutto durante gli ultimi 18 metri) e non saltare mai la sosta di sicurezza o la tappa di decompressione.
 

2° non abbreviare mai gli intervalli di superficie previsti dalle tabelle o dal computer in caso di immersioni ripetitive. Siccome questi strumenti forniscono precisi riferimenti numerici essi tendono a creare nei subacquei un falso senso di sicurezza, ma ci sono fattori che sia le tabelle che i computer non considerano: l’età, la forma fisica, il livello di idratazione, la temperatura corporea e la stanchezza fisica.

 

3° evitare un profilo d’immersione a "yo-yo" o a "dente di sega" (cioè svariate discese seguite da risalite) che può causare più facilmente una MDD rispetto ad una singola discesa alla stessa massima profondità per lo stesso tempo di fondo seguita da una singola risalita. Questo perché durante la prima risalita l’azoto entra in circolazione sotto forma di bolle silenti e si muove nel flusso venoso fino ai polmoni. Lì le bolle vengono intrappolate negli alveoli e cominciano ad essere evacuate attraverso la respirazione. Ma se si scende ancora l’aumento di pressione agevola nuovamente l’assorbimento dell’azoto non ancora evacuato con la respirazione. Le microbolle intrappolate negli alveoli, in questa fase, si sottodimensionano e possono fluire direttamente nel torrente sanguigno arterioso da dove si muoveranno direttamente verso i muscoli, i nervi, il midollo, cioè proprio le zone solitamente colpite da MDD.

In che modo i vari compartimenti sono collegati tra loro: i vari modelli decompressivi

I ricercatori hanno proposto diversi modelli per spiegare come l’azoto si possa muovere tra due compartimenti tissutali e tra questi e il flusso sanguigno. Ogni risultato sperimentale è stato trasformato in un algoritmo ed è servito per dare vita a tabelle di immersione o computer.

1)   Il modello di Haldane, sulla base del quale sono state fatte le tabelle US Navy, è un modello definito “parallelo”, perchè ogni compartimento si riempie e si svuota indipendentemente ed è direttamente influenzato dal flusso sanguigno.

2)   Il modello definito “in serie”, sulla base del quale sono state fatte le tabelle DCIEM canadesi è quello nel quale tutti i compartimenti sono immaginati in connessione l’uno con l’altro come in una fila ed il gas entra solo ad una estremità.  

3)   Il modello “EL” (Esponenziale-Lineare) immagina tessuti paralleli che assorbono in maniera esponenziale (crescente) e scaricano però in maniera lineare (costante) ed abbastanza lenta.

4)   Il modello “Slab”, sulla base del quale sono state fatte le tabelle della British Sub-Aqua Club, asserisce che un solo tessuto è esposto all’assorbimento dell’azoto e solo in un unico senso.

La verità è probabilmente un mix di tutte queste teorie, ma per calcolare un modello simile sarebbe necessario un super computer subacqueo che attualmente non è stato ancora inventato.

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