Gli studi del Dr. E.
Donald Thalmann costituiscono la base di ciò che è
conosciuta come tossicità dell’ossigeno sul S.N.C.,
ossia:
·
Vi è un’ampia variazione individuale alla
sensibilità e al tempo di insorgenza dei sintomi, e ciò
viene definita come "tolleranza all’ossigeno".
·
Rispetto all’esposizione a secco,
l’immersione diminuisce notevolmente la tolleranza
all’ossigeno, riducendo i tempi di esposizione fino a
4-5 volte.
·
Condizioni sotto sforzo diminuiscono
notevolmente la tolleranza all’ossigeno, rispetto a
condizioni di riposo.
·
Immersioni in acque molto fredde (9°C) o
molto calde (31°C) sembrano diminuire la tolleranza
all’ossigeno.
Lo scopo della ricerca del
Dr. Donald Thalmann per la Royal Navy era quello di
fissare una serie di limiti di esposizione
all’ossigeno, ossia una tabella che avrebbe indicato
per quanto tempo un sommozzatore avrebbe potuto
continuare a respirare in sicurezza ossigeno puro al
100 % a varie profondità, nonostante la grande
variabilità esistente fra diversi individui e lo stesso
individuo.
Come risultato di questi
studi la Royal Navy ritenne non sicuro respirare
ossigeno puro oltre una profondità di 7,6 metri (con
una pressione parziale dell’ossigeno di 1,76 ata).
In realtà, 7,6 metri è
stata la profondità minima testata. Non fu fissato
nessun limite di tempo per questa esposizione, ma il
tempo esaminato più lungo fu di 2 ore.
La Royal Navy effettuò
immersioni più profonde utilizzando miscele di azoto e
ossigeno nei nuovi autorespiratori a circuito
semi-chiuso. Questo fu l’inizio delle cosiddette
"immersioni con miscele", in cui il gas utilizzato per
la respirazione è una miscela di ossigeno e azoto
piuttosto che essere semplicemente compresso dall’aria
atmosferica.
Studi della U.S. Navy
Negli anni ‘50, il Dr. E.
H. Lanphier studiò la possibilità di determinare i
limiti di esposizione all’ossigeno per immersioni con
ossigeno puro al 100 % oltre i 7,6 metri. I limiti di
esposizione ad ossigeno puro al 100 % da lui
raccomandati restarono in uso fino al 1970 e con solo
alcune lievi modifiche continuarono ad essere utilizzati
fino al 1991, quando furono nuovamente modificati.
Gli studi riguardavano
anche le modalità in cui tali limiti potevano essere
applicati alle pressioni parziali dell’ossigeno relative
alle immersioni con miscele Nitrox.
Durante un’immersione
Nitrox, possono verificarsi pressioni parziali
dell’ossigeno simili a quelle utilizzate in immersioni
con ossigeno puro, ma a causa dell’aggiunta di azoto,
tali pressioni parziali possono essere raggiunte a
profondità maggiori e, quindi, a una maggiore
densità del gas usato per la respirazione.
Scoperte studi U.S.A.
La maggiore densità di gas
riscontrata durante un’immersione con miscela Nitrox ha
richiesto che i tempi di esposizione a una certa
pressione parziale di ossigeno fossero più corti
rispetto agli autorespiratori a ossigeno puro, che
possono essere usati solo a basse profondità e che
comportano una minore densità di gas.
Si è ritenuto che il motivo
di questa minore tolleranza durante le immersioni Nitrox
sia dovuto a una minore eliminazione di anidride
carbonica a maggiori profondità, dando come risultato
livelli più elevati di anidride carbonica nel sangue.
Ciò renderebbe il subacqueo più sensibile alla tossicità
dell’ossigeno.
Con l’avvento degli
autorespiratori ad ossigeno a circuito chiuso, la U.S.
Navy non utilizza più gli autorespiratori a miscela
Nitrox e non pubblica più i limiti di esposizione a
miscela Nitrox nel suo Manuale d’immersione ufficiale.
Il conflitto e alcuni
buoni consigli
Gli esperti inglesi non
condividono gli esiti delle ricerche del Dr. Lanphier e
la Royal Navy ha fissato i propri limiti di esposizione
per immersioni con miscela Nitrox che non cambiano
nell’immersione con ossigeno puro.
Il lavoro del Dr. Lanphier
è certamente degno d’interesse tanto da indurre i
subacquei ad essere estremamente cauti prima di
estrapolare i limiti di esposizione all’ossigeno
stabiliti per l’uso di autorespiratori ad ossigeno puro
ed applicarli direttamente alle immersioni in miscela
Nitrox a maggiore densità di gas. Sarebbe ideale che i
limiti Nitrox fossero testati alla massima densità di
gas prevista per il loro utilizzo.
Ritenzione di CO2
Perché la ritenzione di
anidride carbonica (CO2) dovrebbe diventare
un problema a maggiori densità di gas? Sono stati
realizzati molti studi che mostrano che normalmente, nel
caso di autorespiratori ad aria, all’aumentare della
profondità la maggiore densità del gas e l’elevata
densità dell’ossigeno rallenteranno la frequenza
di respirazione e quindi il tasso di eliminazione
dell’anidride carbonica. Ciò comporta un aumento dei
livelli di anidride carbonica nel sangue, benché non in
tutti i subacquei si verifichi un rallentamento della
respirazione agli stessi valori.
Il Dr. Lanphier ha studiato
il problema dei subacquei che tendevano a respirare più
lentamente durante l’immersione rispetto al normale, i
cosiddetti "trattenitori di anidride carbonica". Intuì
che tali individui erano esposti a un rischio
particolarmente elevato di esposizione a tossicità
dell’ossigeno per il S.N.C. durante la respirazione di
alte percentuali di ossigeno in miscele di azoto.
Ciò significherebbe,
dunque, che un subacqueo che effettui un’immersione
Nitrox debba preoccuparsi se è un trattenitore di
anidride carbonica o meno? Non vi è purtroppo alcun test
valido che ci permetta di individuare con certezza tali
"trattenitori di anidride carbonica".
La migliore strategia
attualmente disponibile consiste nel far riferimento a
dei limiti di esposizione ad ossigeno prudenti.
Ulteriori studi U.S. -
Limiti di esposizione all’ossigeno
Fra la fine degli anni ‘70
e gli inizi degli anni ‘80, il Navy Experimental Diving
Unit (NEDU) realizzò una serie di studi per esaminare
tempi di esposizione ad ossigeno più lunghi di individui
che utilizzavano autorespiratori ad ossigeno puro a
basse profondità esercitandosi a livelli normalmente
riscontrati in nuotatori d’assalto impegnati a nuotare
per lunghi tragitti sott’acqua. (Bisogna ricordare che i
tempi di esposizione elaborati in riferimento a
subacquei in condizioni di riposo possono facilmente
causare problemi a subacquei sotto sforzo, in quanto lo
sforzo riduce la tolleranza all’ossigeno.)
La conclusione dello studio
è stata che esposizioni di 4 ore a 7,6 metri
(1,76 ata) avevano una bassa probabilità di causare
sintomi al S.N.C. ma che non erano assolutamente
prive di rischi, in quanto è stato riportato un caso
di convulsione a tale profondità dopo 72 minuti di
esercizio. A causa di tale rischio, è stato raccomandato
di non effettuare esposizioni di routine oltre una
profondità di 6,1 metri (1,6 ata) per un massimo di 4
ore, con un’unica escursione fra 6,4 e 12 metri per 15
minuti, o fra 12 e 15 metri per cinque minuti.
Persino tale
raccomandazione non esclude totalmente la probabilità di
convulsioni. Nel corso di tali studi si sono verificati
vari casi di convulsioni da ossigeno e ne è stata
verificata l’imprevedibilità come osservato dal Dr.
Donald circa 40 anni prima. Una caratteristica di tali
convulsioni è che si verificano con un minimo di sintomi
se non addirittura senza alcun avvertimento.
Con l’avvento delle
immersioni con miscela Nitrox è consigliabile prendere
in considerazione tali studi.
La Dr.ssa Andrea Harabin ha
analizzato le esposizioni ad ossigeno di individui degli
studi NEDU e ha utilizzato un modello matematico per
prevedere la probabilità dell’insorgenza di sintomi di
tossicità all’ossigeno sul S.N.C.. Ha riscontrato che il
modello indica una soglia a 1,3 ata; ciò
significa che la probabilità del verificarsi di un
sintomo sul S.N.C. a tale livello o a un livello
inferiore dovrebbe essere praticamente uguale a zero.
Quando la Dr.ssa Harabin
prese in considerazione solo le convulsioni e
determinati sintomi, riscontrò che le soglie erano a 1,7
ata. Ancora una volta tale analisi riflette il forte
grado d’incertezza inerente a tali tipi di
esposizioni di esseri umani ad ossigeno.
Quali sono, quindi, i
livelli di ossigeno a cui si può respirare con
sicurezza?
Attualmente la U.S. Navy
utilizza 1,3 ata come limite massimo nei suoi
autorespiratori ad ossigeno a circuito chiuso , cioè
la soglia più sicura determinata dalla Dr.ssa Harabin
per subacquei sotto sforzo.
Con l’utilizzo di tali
apparecchiature a circuito chiuso, sono possibili anche
esposizioni che superino le 8 ore e ad un livello di 1,3
ata le probabilità di essere esposti alla tossicità
dell’ossigeno sul S.N.C. dovrebbero essere abbastanza
rare.
Invece la National Oceanic
and Atmospheric Administration (NOAA) adotta un
atteggiamento un po’ più cauto, raccomandando 180
minuti a 1,3 ata per esposizioni normali e 240
minuti solo per esposizioni eccezionali.
I limiti del NOAA si basano
sui risultati degli studi del NEDU realizzati negli anni
‘80, che prendono in considerazione le maggiori densità
di gas riscontrate nelle immersioni Nitrox.
I "limiti di esposizione
normale" sono più lunghi dei limiti Nitrox proposti
dal Dr. Lanphier, ma sono molto al di sotto di 240
minuti, con un’esposizione di 1,6 ata, che sono quelli
attualmente ammessi dalla U.S. Navy per immersioni con
ossigeno puro.
La PADI ha proposto un
limite di 1,4 ata
per immersioni con autorespiratori a circuito aperto
con miscela Nitrox. Poiché tale tipo d’immersione
non esporrebbe i subacquei continuamente a tale livello,
in pratica dovrebbe essere altrettanto sicuro, se non
addirittura più sicuro, del limite di 1,3 ata proposto
dalla U.S. Navy per esposizioni continue.
Infatti, i tempi di
esposizione ridotti nella fascia fra 1,3 e 1,4 ata sono
soprattutto intesi a evitare l’insorgenza della
tossicità dell’ossigeno a livello polmonare (effetto
Lorraine - Smith).
La possibilità dell’insorgenza della tossicità sul
S.N.C. (effetto Paul Bert) a questi livelli è molto
bassa e probabilmente non molto diversa al di sopra di
tale fascia.
E’ possibile respirare
ossigeno a una PpO2 più elevata?
La risposta è sì, però! Le analisi della
Dr.ssa Harabin hanno fissato una soglia limite a 1,7 ata
(7 metri) per un subacqueo sotto sforzo se si
considerano solo le "convulsioni" e i sintomi
"determinati". Ciò è pericolosamente vicino alla
profondità limite di 7,6 metri (1,76 ata) dove si è
verificato un caso di convulsioni, quindi riportare tale
limite a 6,1 metri (1,6 ata) dà un maggiore grado di
sicurezza.
Attualmente, la U.S. Navy
ammetterebbe un’esposizione sotto sforzo a tale
pressione parziale per un massimo di 4 ore,
presupponendo però che si tratti di nuotatori da
combattimento allenati che respirino ossigeno puro al
100% a 7,6 metri. Un’escursione di profondità di soli
1,5 metri metterebbe il sommozzatore in una fascia a
rischio di convulsioni e coloro che tendono a trattenere
anidride carbonica sotto sforzo sarebbero esposti a un
rischio ancora più elevato.
Il limite NOAA per le
immersioni Nitrox a 1,6 ata è di 45 minuti per
un’immersione normale
e di 120 minuti per immersioni a esposizione
eccezionale.
Durante un’immersione con
miscela Nitrox effettuata presso il Duke University’s F.
G. Hall Hypo/Hyperbaric Center a una profondità di 30
metri, respirando 1,6 ata di PpO2 sotto
pesante sforzo, si è verificata una convulsione dopo 40
minuti. Probabilmente questa non si sarebbe verificata a
un’entità di sforzo più ridotta, ma ciò sembra stare a
indicare che il limite NOAA di 45 minuti per
un’immersione con miscela Nitrox di 1,6 ata non è
eccessivamente sicuro.
Respirare ossigeno puro
al 100 % durante la tappa di decompressione a 6,1 metri
è una pratica comune e a tale profondità la
pressione parziale è di circa 1,6 ata. A una profondità
così bassa, in condizioni di riposo, le probabilità di
esposizione a tossicità dell’ossigeno sul S.N.C.
dovrebbero essere molto ridotte. Ma come molte altre
cose al mondo, ciò non è totalmente sicuro, come
dimostrato da un recente caso di convulsione da ossigeno
verificatosi a 6,1 metri durante la decompressione di un
tecnico subacqueo dopo aver completato un’immersione sul
relitto del Lusitania.
Sintomi di tossicità
dell’ossigeno sul S.N.C. verificatisi negli studi NEDU
Convulsioni: il sintomo
più grave da evitare ad ogni costo
Sintomi determinati:
contrazioni muscolari convulse, tinnito auricolare
(fischi nelle orecchie), visione offuscata o a tunnel,
disorientamento, afasia (incapacità di esprimersi
mediante il linguaggio), nistagmo (rapidi movimenti
laterali dell’occhio) o incoordinazione motoria.
Sintomi probabili: segni
più equivoci che potrebbero essere dovuti sia a
tossicità dell’ossigeno che ad altre cause: un leggero
senso di apprensione, disforia (una sensazione di
disagio), letargia e nausea transitoria.
Raccomandazioni
Un aspetto fondamentale da
tener presente per ora è che la tossicità
dell’ossigeno è volubile: le convulsioni si sono
verificate a basse profondità in condizioni in cui la
maggior parte degli esperti non si sarebbe aspettata
tale evenienza.
Quindi, come dovrebbero
comportarsi i subacquei sportivi nei confronti delle
immersioni con miscela Nitrox? La risposta è: con
prudenza!
Innanzitutto, ogniqualvolta
si respira un gas con una percentuale di ossigeno
superiore al 21 %, bisogna tenere presente che
l’intossicazione da ossigeno è una possibilità e ciò
richiede un adeguato addestramento.
In secondo luogo,
l’utilizzo di attrezzature appositamente studiate per
comprimere miscele ad elevato contenuto di ossigeno può
essere pericoloso di per sé e richiede uno speciale
addestramento.
In terzo luogo, ciò che si
immette nell’autorespiratore non necessariamente è ciò
che ci si aspetta.
E’ necessario in questo
caso disporre di un metodo di analisi della quantità di
ossigeno nell’autorespiratore indipendente da quello
della stazione di ricarica delle bombole.
In quarto luogo, se avete
una particolare predilezione per gli autorespiratori ad
ossigeno (ARO), ricordate che sono delle attrezzature
molto complesse, che richiedono molta più manutenzione e
cura dei vecchi ma sicuri autorespiratori ad aria. Se
decidete di utilizzare gli autorespiratori ad ossigeno
preparatevi ad affrontare un adeguato addestramento ed
elevati costi di manutenzione.
Infine, c’è il problema di
ridurre la probabilità della tossicità dell’ossigeno al
minimo.
Via libera
Per le immersioni con
autorespiratore ad aria a circuito aperto,
"semaforo verde" per una PpO2
uguale o inferiore a 1,4 ata (che corrisponde a
circa 25 metri su una miscela di ossigeno al 40 per
cento). Se tale livello non sarà mai superato, saranno
altre le limitazioni che interverranno nel caso delle
immersioni con autorespiratore ad aria a circuito
aperto, limitando i tempi di esposizione ad una
permanenza sott’acqua in cui l’insorgere della tossicità
da ossigeno sul S.N.C. sarà altamente improbabile, anche
nel caso di esposizioni della durata di quasi 4 ore.
Procedere con cautela
La "zona gialla" è
compresa fra 1,4 ata e 1,6 ata
(ossia a 30 metri con una miscela al 40 per cento).
La possibilità della
tossicità da ossigeno a 1,6 ata è molto bassa, ma il
margine di errore è molto ristretto rispetto a 1,4 ata.
Le variazioni individuali, le escursioni di profondità
non programmate e la possibilità di dover compiere del
lavoro pesante in caso di emergenza fanno salire la
possibilità di tossicità da ossigeno a livelli di
guardia. Quindi, i livelli fra 1,5 e 1,6 ata dovrebbero
essere riservati a condizioni in cui il sommozzatore è
in condizioni di completo riposo, come ad esempio
durante la decompressione.
Alt!
Il "semaforo rosso"
scatta al di sopra di 1,6 ata.
Non superate mai tale soglia. Infatti, esistono prove
che sono certamente possibili brevi esposizioni a
livelli superiori di PpO2 ma ricordate che
anche le convulsioni lo sono! Anche un lieve sforzo può
elevare il rischio e persino i sommozzatori con
autorespiratore ad aria a circuito aperto che si
immergono a tali profondità possono essere a rischio se
permangono in profondità oltre una certa durata.
Infine...
L’immersione Nitrox può
prolungare i tempi di permanenza o ridurre la
possibilità dell’insorgenza della malattia da
decompressione, a seconda delle modalità a cui viene
effettuata, ma aumenta il rischio di tossicità da
ossigeno. La malattia da decompressione raramente si
verifica sott’acqua e raramente è letale. Se si dovesse
verificare sott’acqua comunque non dovrebbe normalmente
rappresentare un pericolo di vita.
Nel caso di convulsioni da
ossigeno, queste quasi sempre insorgono sott’acqua,
complicando dunque seriamente il trattamento. Quindi, se
le probabilità dell’insorgenza di convulsioni sono
ridotte, nel momento in cui si dovessero verificare la
possibilità di un incidente grave o morte è elevata.
L’esperienza e una buona
preparazione sono dunque essenziali.
Cosa fare in caso
d’intossicazione da ossigeno o di convulsioni?
Le convulsioni da ossigeno
in acqua sono rare ma potenzialmente pericolose per la
sopravvivenza.
In base al Manuale
d’immersione della U.S. Navy, paragrafi 14.9.1.1 e
14.9.1.2, la procedura suggerita per far fronte
all’insorgenza di convulsioni è la seguente:
A)
Trattamento dei sintomi non convulsivi
Il sommozzatore colpito
dovrebbe avvisare il suo compagno d’immersione ed
effettuare una risalita controllata verso la superficie.
Si dovrebbe procedere (all’occorrenza) a gonfiare il GAV
della vittima mentre il compagno d’immersione lo tiene
sotto stretto controllo per monitorare l’andamento dei
sintomi.
B)
Trattamento di convulsioni sott’acqua
Per intervenire su un
sommozzatore affetto da convulsioni devono essere
osservate le procedure seguenti:
a) Assumere
una posizione retrostante al sommozzatore affetto da
convulsioni. Sganciare la cintura della zavorra della
vittima a meno che non indossi una muta stagna; in tal
caso la cintura della zavorra non deve essere rimossa
per evitare che il subacqueo assuma una posizione con la
testa all’ingiù in superficie.
b) Lasciare
l’erogatore della vittima in bocca. Se non è in bocca,
non cercare di rimetterglielo; tuttavia, se c’è tempo
sufficiente, assicurarsi che il rubinetto di chiusura
del boccaglio sia chiuso, cioè in posizione SUPERFICIE
(questo si riferisce solo all’ARO).
c) Afferrare
la vittima intorno al torace al di sopra
dell’autorespiratore ad aria (ARA) o fra l’ARA e il suo
corpo. In caso di difficoltà nel tenere la vittima sotto
controllo in questa maniera, il compagno dovrebbe
ricorrere al metodo migliore possibile per ottenerne il
controllo. Se necessario si potranno afferrare i
cinghiaggi della vita o del collo dell’ARA.
d) Effettuare
una risalita controllata verso la superficie, applicando
una leggera pressione sul torace del sommozzatore per
aiutarlo ad espirare.
e) Se
è necessario un maggiore assetto idrostatico, gonfiare
il jacket della vittima. Il compagno non deve sganciare
la propria cintura della zavorra né gonfiare il proprio
jacket.
f) Dopo
essere risaliti in superficie, gonfiare il jacket della
vittima nel caso in cui non sia già stato gonfiato.
g) Togliere
il boccaglio dalla bocca della vittima e, esclusivamente
nel caso degli autorespiratori ad ossigeno, girare il
rubinetto in posizione SUPERFICIE per evitare che si
allaghi il sacco polmone appesantendo la vittima (questo
si riferisce solo all’ARO).
h) Segnalare
il recupero di emergenza.
i) Una
volta che le convulsioni sono scomparse aprire le vie
respiratorie della vittima piegandone la testa
leggermente all’indietro.
j) Accertarsi
che la vittima respiri. Se necessario si può iniziare la
respirazione bocca a bocca.
k) Se
durante le convulsioni si è verificata una risalita
verso la superficie, trasportare la vittima al più
vicino centro iperbarico e farla esaminare da un esperto
in medicina subacquea.
Ovviamente, una maschera
tipo gran facciale è il modo migliore per effettuare
immersioni con miscele ad alto contenuto di ossigeno, in
quanto il sommozzatore può essere tenuto in profondità
fino alla scomparsa delle convulsioni. Se il
sommozzatore respira da un boccaglio e questo fuoriesce
dalla bocca, non vi è nessun’altra alternativa se non
quella di riportare in superficie il subacqueo, in
quanto nel momento in cui le convulsioni smetteranno la
prima cosa che questi cercherà di fare sarà di prendere
un respiro.
La fase g) dovrebbe essere
modificata nel caso in cui la vittima respiri miscela
Nitrox da un autorespiratore a circuito aperto. Durante
le convulsioni sarà impossibile estrarre il boccaglio
dalla bocca della vittima e non si dovrà mai tentare di
forzarlo. Al placarsi delle convulsioni, se il boccaglio
è in posizione (o se il subacqueo indossa una maschera
tipo gran facciale) e se il subacqueo è ancora in acqua
e respira, allora lasciare tutto al suo posto finché non
si riporterà la vittima fuori dall’acqua. Se non
respira, allora togliere il boccaglio una volta
raggiunta la superficie e cominciare la respirazione
bocca a bocca.
Lo scopo principale, mentre
il sommozzatore colpito è in acqua, è evitare che
anneghi. In secondo luogo bisogna assicurarsi che le
vie respiratorie siano libere al placarsi delle
convulsioni tenendo il collo esteso. Infine, si deve
verificare che non vi siano corpi estranei nella
trachea.
Esposizioni continue ed
esposizioni intermittenti all’ossigeno
Bisogna ricordare che i
sintomi della tossicità dell’ossigeno sul S.N.C. sono un
fenomeno che perdura nel tempo. Man mano che la
pressione parziale dell’ossigeno inspirato aumenta, il
tempo di esposizione diminuisce.
Nelle
immersioni Nitrox, i sommozzatori respirano da
autorespiratori a circuito aperto con una percentuale
fissa di ossigeno nella miscela. Se si utilizza un
autorespiratore a circuito aperto, la pressione parziale
massima dell’ossigeno di 1,4 ata sarà raggiunta solo
alla profondità massima, e nella stragrande maggioranza
dei casi di immersioni subacquee sportive, il tempo
trascorso alla massima profondità sarà limitato a
livelli a cui difficilmente si potrà verificare la
tossicità dell’ossigeno sul S.N.C.
A
profondità più basse, la pressione parziale
dell’ossigeno sarà minore. Esistono formule per
integrare le esposizioni a varie profondità per
prevedere i tempi di esposizione totali se si considera
solo la tossicità dell’ossigeno a livello polmonare, ma
non esiste nessuna formula che permetta l’integrazione
delle esposizioni ad ossigeno a varie profondità in un
unico indicatore che permetterebbe al sommozzatore di
evitare la tossicità dell’ossigeno sul S.N.C. La cosa
migliore che si possa dire è che un’unica escursione di
15 minuti a 12 metri, o di cinque minuti a 15 metri,
probabilmente non ha nessun effetto significativo. Ciò
rappresenta la base delle attuali raccomandazioni
dell’U.S. Navy.
Dr. E. D. Thalmann
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