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di Tecnica & Medicina

 

155. il Forame Ovale Pervio (PFO)

A cura del Dr. Remo Albiero
Responsabile Emodinamica 
Istituto Clinico San Rocco
Via dei Sabbioni 24 - 25050 Ome (Brescia)
http://www.panvascular.com/fs.htm?http://www.panvascular.com/pagine/info/pazienti/index.htm

Cos'è il Forame Ovale Pervio (PFO)?
Il Forame Ovale Pervio, altrimenti abbreviato con l'acronimo PFO, definisce un'anomalia cardiaca in cui l'atrio destro comunica con il sinistro a livello della fossa ovale tra septum primum e il septum secundum.

Statisticamente interessa all'incirca il 25-30% della popolazione adulta.

In realtà la comunicazione tra i due atri è assolutamente normale e anzi essenziale durante la vita fetale, prima della nascita.

Durante la vita fetale (vedi figura sotto) i polmoni sono inattivi e l'ossigeno che va ai tessuti proviene dalla madre tramite la placenta e i vasi del cordone ombelicale. Dovendo oltrepassare i polmoni, il sangue fluisce direttamente dalla porzione destra del cuore nella parte sinistra tramite due aperture il dotto di Botallo posto tra l'arteria polmonare e l'aorta toracica e il forame ovale che connette i due atri. Alla nascita, la circolazione placentare viene interrotta, i polmoni iniziano la loro attività respiratoria e il piccolo circolo (cioè quello polmonare) diventa pienamente funzionante. Le modificazioni delle resistenze vascolari fanno sì che la pressione atriale sinistra diventa leggermente superiore a quella destra. Questa differenza di pressione fa accollare al forame ovale una piccola membrana chiamata septum primum. Normalmente, entro il primo anno di vita, la membrana si salda alla parete e la chiusura diviene permanente.

 

Quando si parla di PFO?
Il forame ovale viene definito pervio (aperto), quando questa saldatura non avviene e la chiusura anatomica risulta imperfetta o manca completamente e quindi il septum primum viene mantenuto in sede soltanto dalla differenza pressoria. È come se avessimo una porta semplicemente accostata e non chiusa con la serratura, che si può aprire in un senso o nell'altro a seconda della pressione esercitata ai due lati. Nelle normali condizioni di vita, il PFO non comporta nessun problema. Se invece la pressione nell'atrio destra supera quella dell'atrio sinistro, ci può essere un passaggio (shunt) di sangue nell'atrio sinistro. Il volume di sangue che viene deviato dipende, oltre che al gradiente pressorio, anche dalle dimensioni dell'apertura e ambedue variano di volta in volta.
Un forame ovale pervio (PFO) è stato riscontrato a livello autoptico (cioè all'autopsia sul cadavere) nel 25-35% della popolazione adulta senza differenza di sesso. Utilizzando l'
ecocontrastografia, un PFO si può rilevare nel soggetto vivente ("in vivo") nel 5-20% della popolazione adulta. Queste percentuali sono diverse perchè all'autopsia si vede direttamente la parte anatomica (cioè il setto interatriale), mentre l'ecocardiografia con ecocontrasto si basa sulla misura indiretta di un fenomeno fisiologico.

Quali sono le persone che dovrebbero essere interessate al PFO?

1.    Pazienti giovani (di età inferiore ai 60 anni), colpiti da uno o più episodi di ischemia cerebrale la cui causa non sia stata determinata ("criptogenetica") e si sospetti una embolia cerebrale "paradossa". La causa di un episodio di ischemia cerebrale rimane sconosciuta ("criptogenetica") nel 35-40% dei casi.

2.    I subacquei colpiti da forme gravi di malattia da decompressione, dopo immersioni eseguite nel rispetto delle tabelle.

 

Quando va fatto l'esame specifico per il PFO?
Il PFO non provoca alcuna anomalia all'esame fisico e radiologico nè all'elettrocardiogramma. Raramente da manifestazioni patologiche, per cui molti non sanno assolutamente di averlo. Esistono vari metodi di indagine che accoppiano tecniche contrastografiche all'uso di ultrasuoni e che consentono di valutare lo stato delle strutture cardiache e del flusso di sangue, sia normale che patologico (ecocontrastografia bidimensionale ad alta definizione, ecocardiografia color doppler). In pratica, viene iniettata in vena una soluzione salina contenente microbolle che, una volta giunte al cuore, permettono di rilevare il tipo e l'entità di un eventuale shunt. Il metodo Doppler visualizza molto bene le bolle gassose e la direzione del flusso circolatorio, che apparirà in blu quando è in allontanamento dalla sonda e in rosso quando si sposta in direzione opposta. L'uso della soluzione salina con microbolle non ha evidenziato nessuna conseguenza particolare e la metodica è considerata pressoché sicura. La sensibilità diagnostica aumenta se questo esame viene associato alla manovra di Valsalva. Se è presente un PFO, l'ecocardiografia con ecocontrasto metterà in evidenza il passaggio dall'atrio destro a quello sinistro di microbolle nella fase transitoria di aumento della pressione in atrio destro. La dimostrazione di un PFO mediante ecocontrastografia è strettamente correlata con i risultati del cateterismo cardiaco. Quando usata in associazone alla manovra di Valsalva, l'ecocontrastografia ha rilevato il 60% dei PFO che sono stati rilevati al cateterismo cardiaco, e quando usata in associazione al test del colpo di tosse è stato rilevato nel 78% dei casi. Una tecnica di più recente introduzione è l'ecocardiografia transesofagea color doppler, che si esegue introducendo una sonda in esofago previa una blanda sedazione del paziente. La più stretta vicinanza tra il trasduttore e il cuore porta a migliori risultati con una sensibilità diagnostica del PFO del 100%.

  

I pazienti con episodi di ischemia cerebrale da sospetta "embolia paradossa"
L'embolia paradossa viene ritenuta responsabile di un episodio di ischemia cerebrale quando:

1.    non è presente una fonte trombo-emboligena nelle sezioni cardiache di sinistra,

2.    vi è la possibilità di uno shunt (passaggio di sangue) tra le sezioni destre e sinistre del cuore, e

3.    viene rilevato un trombo nel sistema venoso o nell'atrio destro.

Dal momento che il rilievo di un trombo all'interno del PFO è di raro riscontro, la diagnosi di embolia paradossa è di solito presuntiva. Le condizioni che in presenza di un PFO determinano un'embolia paradossa si ritiene siano le seguenti:

1.    un aumento cronico della pressione nell'atrio destro con conseguente shunt destro-sinistro (ad esempio ipertensione polmonare, BPCO, embolia polmonare),

2.    un aumento transitorio della pressione atriale destra che si verifica al termine di un aumento della pressione dell'aria nei polmoni (manovra di Valsalva, tosse, immersioni) e

3.    differenze cicliche della pressione tra i due atri con transitori shunt tra l'atrio destro e il sinistro. 

Mentre non c'è attualmente alcuna prova sicura di un rapporto causa-effetto, numerosi studi hanno comunque confermato una forte associazione tra la presenza di un PFO e il rischio di embolia paradossa o di episodi di ischemia cerebrale. Quando confrontati con un gruppo di soggetti di controllo senza PFO, i pazienti con PFO hanno un rischio di soffrire di un evento trombo-embolico che è quattro volte più alto; tale rischio è 33 volte maggiore nei pazienti che hanno sia il PFO che un aneurisma del setto interatriale. Inoltre, la presenza di un forame ovale ampiamente pervio (con separazione tra septum primum e septum secundum >5mm) o con ampio shunt destro-sinistro (più del 50% dell'atrio sinistro riempito da ecocontrasto) sono state identificati come predittori ecocardiografici di un aumentato rischio di embolia paradossa. Infine, ci sono sempre più dati che evidenziano come i pazienti con PFO ed embolia paradossa hanno un rischio aumentato di future recidive di ischemia cerebrale. 
Uno studio retrospettivo, multicentrico eseguito in Francia ha dimostrato che il rischio annuo di avere una recidiva di ischemia cerebrale transitoria (TIA) è dell'1.2%, e del 3.4% di avere una recidiva di ictus cerebrale o di TIA; le stesse percentuali di recidiva di eventi ischemici cerebrali si verificano anche nei pazienti con PFO e pregressi episodi di ischemia cerebrale "criptogenetica" che assumono una terapia medica profilattica con farmaci anticoagulanti o antiaggreganti piastrinici. I dati di questo studio francese sono confermati da quelli di uno studio svizzero condotto a Losanna, in cui la recidiva di ictus ischemico cerebrale in 140 pazienti con PFO e pregresso ictus è stata dell'1.9% all'anno, mentre la percentuale combinata di ictus e TIA è stata del 3.8% all'anno.

 

I subacquei colpiti da forme gravi di malattia da decompressione dopo immersioni eseguite nel rispetto delle tabelle

(le cd. MDD immeritate)
Le bolle gassose originate dopo ogni immersione subacquee si formano all'interno delle vene e non nel sangue arterioso. Quest'ultimo presenta una pressione più elevata, non è quasi mai sovrasaturo e non riceve gas direttamente dai tessuti. Le bolle formatesi sono piccole e non provocano sintomi poichè si arrestano a livello dei capillari polmonari e vengono gradatamente espulse con la respirazione (microbolle). In definitiva rimangono confinate alla circolazione venosa, la quale non ha nessuna funzione nutritizia ma costituisce una sorta di via di scarico per le sostanze che vanno eliminate dall'organismo. Un PFO consentirebbe a queste bolle altrimenti asintomatiche di entrare nel circolo arterioso, poiché la separazione tra i due atri non è ermetica. Inoltre, questo passaggio potrebbe associarsi a turbolenze e creare nuovi nuclei gassosi. Il filtro polmonare perderebbe così l'importante funzione di blocco ed eliminazione dei gas in eccesso residuati dall'immersione. Queste bolle farebbero come un ospite indesiderato che entra nella porta di servizio, evitando di essere respinto all'ingresso da un cortese ma deciso portiere (i polmoni). Se poi la decompressione è stata inadeguata, la gran quantità di bolle presenti potrebbe congestionare i polmoni far alimentare la pressione in atrio destro e spingerne una certa quantità nel circolo arterioso. L'inversione del gradiente pressorio, per un transitorio alimento della pressione venosa, si potrebbe verificare anche durante una manovra di compensazione forzata come il Valsalva, della quale sono noti gli effetti del piccolo circolo. Il Valsalva alimenta la pressione nella parte destra del cuore e può incrementare uno shunt in caso di PFO o di altro difetto settale. Inoltre, anche rapidi cambi di posizione o di orientamento, sollecitazioni improvvise, stress termici, tosse, vomito, mute o cinghiaggi troppo stretti potrebbero dare origine a transitori aumenti di pressione. Infine, qualche cenno sui possibili effetti indotti dalla posizione di Trendelemburg, ormai peraltro poco usata, nel caso la vittima dell'incidente sia portatore di PFO. È stato visto che gli effetti sullo shunt non sono consistenti, poichè l'innalzamento delle gambe fa aumentare la pressione simultaneamente in ambedue i compartimenti sia destro che sinistro.

 

Il PFO è realmente un fattore di rischio?
Nel già citato studio di Moon, il 61% dei subacquei colpiti da forme gravi di MDD(malattia da decompressione) presentava un PFO. Successivamente Wilmhurst trovò che molti individui con sintomatologia da MDD dopo immersioni nel rispetto delle tabelle evidenziavano shunts destro-sinistri. Venne attribuita un'incidenza di PFO del 66% in coloro che presentavano sintomi precoci di MDD (entro 30 minuti dall'immersione), a fronte di un dato del 17% tra chi aveva manifestato più tardivamente i segni dell'incidente da decompressione. Il tempo che intercorre tra l'emersione e l'inizio dei sintomi è tanto più breve quanto più rilevante e immediato è l'interessamento del circolo arterioso. Il Divers Alert Network (DAN) definisce come immeritati quegli incidenti non giustificati da chiari errori di risalita o di decompressione. Uno studio specifico compiuto da tale organizzazione considerava la possibilità che tali incidenti venissero favoriti dalla presenza di un PFO. I dati non ancora definivi evidenziano una significativa, maggiore incidenza del PFO nelle patologie da decompressione di tipo celebrale: la percentuale è del 62% in chi ha subito un incidente da decompressione, del 88% nei casi con ripercussioni cerebrali e del 40% se presenti sintomi neurologici periferici. In un articolo di Moon diffuso recentemente nella traduzione italiana, viene rilevato come circa il 50%) dei soggetti sofferenti di gravi forme neurologiche di Mdd presenti una pervietà del forame orale, attribuendo loro una probabilità 5 volte maggiore di venir colpiti da forme severe di MDD. La predisposizione riguarderebbe anche le forme cardiorespiratorie e cutanee di MDD ma non le localizzazioni articolari. Altri studiosi ritengono invece che il legame tra shunt e MDD continui a rimanere controverso. I dati a sostegno di questa valutazione considerano, per esempio, che dei 50.000 sub praticanti in Gran Bretagna, circa 15.000 dovrebbero presentare un PFO. Ebbene, ogni anno vengono osservati circa 100 casi di MDD di tipo neurologico, e cioè indica che il fatto di avere lo shunt non necessariamente deve portare a MDD. Uno shunt potrebbe si incrementare il rischio di incidente con sintomi neurologici, ma tale rischio rimane comunque molto basso in termini di popolazione.

 

Terapia medica profilattica contro l'embolia paradossa in presenza di PFO
La presenza di un PFO o di un aneurisma del setto interatriale non necessita di una profilassi farmacologica nei soggetti che non hanno sofferto in precedenza di episodi di ischemia cerebrale. Al contrario, ai pazienti con PFO che hanno già avuto un ictus cerebrale o un TIA e in cui non è stata evidenziata nessun altra causa responsabile dell'evento ischemico cerebrale (forma detta "criptogenetica") viene consigliata una terapia profilattica (preventiva) per diminuire la percentuale annua di recidive tromboemboliche. I pazienti vengono generalmente trattati con anticoagulanti orali (Coumadin, Sintrom) o antiaggreganti piastrinici (aspirina, ticlopidina o clopidogrel, ecc). A tutt'oggi, comunque, non c'è un consenso su quale trattamento sia il più efficace (gli anticoagulanti orali piuttosto che gli antiaggreganti piastrinici), o per quanto tempo la terapia medica debba essere protratta dopo che è comparso un evento ischemico cerebrale. Nello studio di Losanna, ad esempio, non sono state rilevate differenze nella riduzione del rischio di recidive di ictus o TIA tra i differenti tipi di terapia profilattica anticoagulante o antiaggregante assunta.

 

Chiusura non chirurgica (per via percutanea) dei PFO
La chiusura non chirurgica dei PFO è diventata possibile con l'avvento dei sistemi di chiusura transcatetere, inizialmente sviluppati per la chiusura percutanea dei difetti interatriali (DIA). LA prima chiusura per via percutanea di un DIA con un doppio-ombrellino di Dacron è stata eseguita nel 1974. Da allora, sono stati introdotti numerosi nuovi sistemi di chiusura percutanea che sono stati utilizzati con successo in ambito clinico (cioè impiantati in esseri umani). Tra i sistemi di chiusura utilizzati in ambito clinico ricordiamo il sistema a bottone Sideris, il sistema Sideris auto-centrante, il sistema Angel Wings e il sistema Cardioseal. 

Il principale svantaggio dei primi sistemi di chiusura percutanea dei PFO appena citati consiste nel fatto che alcuni di essi sono tecnicamente difficili da impiantare, oppure sono a rilascio incontrollato, o non sono recuperabili a causa della loro forma e costruzione. Uno degli ultimi sistemi sviluppati (denominato "AMPLATZER PFO Occluder") ha risolto quasi tutti questi svantaggi: è facile da impiantare con un rilascio controllato ed è facilmente recuperabile. E' perciò diventato, nei centri specializzati in questo tipo di interventi, uno dei sistemi più utilizzati in alternativa alla terapia anticoagulante (non esente da effetti indesiderati come emorragie, ematomi, necrosi o gangrena cutanea, o interazione con altri farmaci) o a quella chirurgica (sicuramente più traumatica) nei pazienti con PFO ed episodi di embolia paradossa associata ad ischemia cerebrale.

 

Chiusura non chirurgica (per via percutanea) del forame ovale pervio (PFO) mediante "AMPLATZER PFO Occluder"

Cosa accade prima, durante e dopo la procedura

La procedura si svolge nel laboratorio di Emodinamica, dove opera personale altamente specializzato ed addestrato. Il paziente, posto sul lettino di cateterismo, viene attentamente seguito e valutato attimo per attimo in tutte quelle che sono le funzioni vitali (polso, pressione, ritmo cardiaco) e vengono approntate tutte le misure farmacologiche e non farmacologiche atte a contrastare eventuali urgenze. Il paziente dovrà avere in precedenza effettuato un bagno o una doccia ed essere stato sottoposto alla rasatura dei peli nella zona attraverso la quale verrà introdotto il catetere.

Dopo aver effettuato l'anestesia locale nel punto di accesso cutaneo, il cardiologo interventista (che chiameremo "operatore") introduce in una vena (quasi sempre quella femorale a livello dell'inguine) un tubicino (introduttore) di calibro adeguato a contenere il catetere che servirà per attraversare il PFO.

Un secondo medico ecocardiografista potrebbe eseguire un ecocardiogramma transesofageo (ETE) durante la procedura di chiusura del PFO. Questo tecnica di immagine agevola il medico operatore nel posizionamento corretto dell'ombrellino a livello del PFO prima del suo rilascio definitivo.

Il cardiologo interventista (l'operatore) può eseguire la misura della saturazione di ossigeno in alcune cavità cardiache (cateterismo destro).

L'ombrellino ("AMPLATZER PFO Occluder") di dimensioni adeguate al PFO da chiudere (il più usato è quello da 25 mm di diametro) viene avvitato su uno speciale catetere, viene poi inserito in un lungo introduttore e fatto avanzare (sempre chiuso nel catetere) attraverso il PFO.

L'operatore spinge l'ombrellino fuori dall'introduttore in modo tale che i suoi due dischi aperti si aprano su ciascun lato del forame ovale pervio (PFO), cioè uno in atrio sinistro e l'altro in atrio destro.

Quando l'operatore, sulla base dei dati angiografici, delle manovre eseguite per il controllo della stabilità del sistema, dell'esecuzione di un'angiografia e/o di uno studio ecocontrastografico, e delle immagini ecocardiografiche (ETE), è soddisfatto della posizione del sistema di chiusura, esegue il suo rilascio definitivo svitando l'ombrellino dal catetere su cui era stato montato e che era stato usato per spingerlo in atrio sinistro. Il sistema "AMPLATZER PFO Occluder" è ora definitivamente impiantato nel cuore.

Il catetere, l'introduttore venoso e la sonda transesofagea (nel caso venga usata) vengono rimossi e la procedura è terminata.

La procedura dura generalmente 1-2 ore, ed è sicuramente molto meno invasiva di un intervento chirurgico a torace aperto. Il paziente viene generalmente dimesso il mattino successivo, ma potrebbe anche essere dimesso la sera stessa dell'intervento se questo viene eseguito al mattino.

Cosa aspettarsi dopo la procedura
Se non ci sono complicazioni, la dimissione avviene il mattino successivo oppure la sera stessa dell'intervento se questo viene eseguito al mattino. Prima di lasciare l'ospedale viene eseguito un ecocardiogramma transtoracico (ETT) per verificare il persistente corretto posizionamento del sistema di chiusura.

Dal momento che la procedura di chiusura per via percutanea del PFO è meno invasiva di quella chirurgica a torace aperto, anche il recupero (periodo di convalescenza) è molto più facile. Il paziente viene dimesso con un cerotto adesivo a livello dell'inguine dove era stato introdotto il catetere. Qualche volta rimane un lieve fastidio in gola come conseguenza dell'eco transesofageo (ETE) nel caso questo venga eseguito.

Prima della dimissione vengono dati dei consigli sul tipo di attività che può essere svolta e sul farmaci da assumere (viene solitamente consigliata un terapia antiaggregante piastrinica (per sciogliere il sangue) associando aspirina (da 100 a 300 mg al giorno) e clopidogrel (Plavix o Iscover 1 cp da 75 mg al giorno) per almeno 6 mesi. Informare subito il medico se i farmaci consigliati determinano degli effetti indesiderati, ma non sospenderli assolutamente di propria iniziativa prima di aver avvertito il cardiologo, il quale potrà suggerire quale altro farmaco può essere assunto in alternativa.

Oltre alla terapia antiaggregante piastrinica è necessario assumere degli antibiotici prima di sottoporsi a particolari interventi (vedi prevenzione dell'endocardite batterica). La decisione di proseguire la terapia antiaggregante piastrinica oltre i 6 mesi è a discrezione del medico/cardiologo curante.

E' importante ritornare alle visite programmate di controllo per l'esecuzione di degli ecocardiogrammi di controllo, che vengono normalmente prescritti nel primo anno dopo l'impianto.

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