I RELITTI DELLA LAGUNA DI VENEZIA

     

 

I fondali della Laguna di Venezia riservano un mucchio di sorprese. Sui fondali fangosi della laguna e nelle acque antistanti alle Bocche di Porto giace un’infinità di relitti, e tutti hanno una storia interessante da raccontare.

Si tratta di imbarcazioni storiche, alcune medievali, altre settecentesche, altre ancora più recenti, perlopiù precedenti la Prima Guerra Mondiale, andate perdute a causa di un carico eccessivo o di agguerriti combattimenti. Testimonianze inequivocabili dell’intenso traffico marittimo specialmente commerciale che animava la laguna, le bocche di porto e la costa in prossimità degli approdi. Inoltre non mancano carlinghe di aerei inabissati, a testimonianza di scontri avvenuti nel cielo veneziano.

Si tratta di un patrimonio archeologico e storico che solo i subacquei conoscono e che ci parla della nostra storia, passata e recente. Un tesoro inestimabile, sul quale sta ora lavorando anche l’Università Ca’ Foscari con il progetto interregionale "Underwater Muse", in collaborazione con la Croazia.

Esiste una mappatura dei relitti che sono rimasti nei fondali per secoli, oltre a numerose testimonianze di vecchi pescatori, che con le loro reti spesso si sono imbattuti in alcuni reperti trovando fasciame, legno lavorato, chiodi o altri materiali.

Poco più di una quarantina di relitti sono stati censiti, studiati e analizzati, scatenando la fantasia dei curiosi, oltre ovviamente all’interesse degli studiosi di archeologia e di storia.

Il tratto di mare davanti a Venezia è una continua fonte di scoperte: qualche anno fa, ad esempio, fu recuperato un grande timone in legno di una nave inglese di metà Ottocento, e ogni tanto sulla battigia del Lido sono rinvenuti piccoli reperti d’epoca romana, segni di una nave che giace sul fondo sabbioso e che non è ancora stata individuata.

Il 19 novembre del 1860 a detta dei registri navali a ridosso della diga di San Nicoletto, nel vano tentativo di accesso al porto di Venezia, affondò il brigantino prussiano "Hellmuth" con un carico di carbone coke, un combustibile a basso prezzo, che non valse la pena recuperare in quegli anni da parte della proprietà. Il fasciame della nave è ad appena 6-7 metri sott’acqua e ogni tanto pezzi di questo legno spiaggiano a riva.

Nel 1980 alcuni subacquei davanti alla Bocca di Porto di Malamocco trovarono i resti una nave risalente al XVI secolo, il cosiddetto "Relitto del Vetro" che trasportava un carico vario, probabilmente proveniente dal Medio Oriente, tra cui un carico di vetro verde grezzo e 50 mastelli di materiale ferroso. La ricostruzione storica rivelò che ad avere la meglio sull’imbarcazione fu una tremenda tempesta di scirocco.

A metà degli anni ’80 a circa 6 miglia dalla Bocca di porto del Lido, su un fondale di 18 metri, è stato individuato il "Relitto dei Mattoni", una specie di burcio che prende il suo nome dal suo pesante ed enorme carico di laterizi che trasportava.

Nel 1991 sul fondale della “Palada delle Ceppe” (una delle tante fosse scavate dai gorghi nel fondo del mare) la Sezione Archeologica dello storico Club Subacqueo San Marco scoprì il cosiddetto “Relitto delle Ceppe”, una nave datata tra il XVII e il XVIII secolo, il cui affondamento pare che avvenne a causa di un violento incendio. Nel 1996 il Gruppo Subacqueo Argo curò la prospezione del relitto per conto della Soprintendenza Archeologica del Veneto.

Nel 1992 a circa 12 miglia di fronte a Caorle, su un fondale di circa 30 metri, è stata rinvenuta una nave oneraria datata tra la fine del II e inizi del I secolo a.C. denominata "Relitto delle Alghe". Il suo carico di anfore fu intravisto dai subacquei attraverso una fessura della nave ricoperta da alghe e “tegnùe”. Un termine quest’ultimo che deriva dal dialettale di “trattenute”, riferito alle reti dei pescatori che nello strascico si impigliano nei sedimenti che si sviluppano nei fondi rocciosi e ricoprono i relitti affondati.

Nel 1995, durante un rilievo al largo del porto di Venezia sul relitto del cacciatorpediniere della Regia Marina "Quintino Sella" affondato l’11 settembre 1943 da una motosilurante tedesca a 11 miglia , i subacquei dello storico Club Subacqueo San Marco trovarono un blocco di carta in parte bruciacchiato. Si scoprì che si trattava di uno dei portolani di bordo della zona di La Spezia, e fu consegnato al Museo Storico Navale di Venezia.

Nel 1998 ai margini dell’isolotto di San Marco di Boccalama, situato nella laguna centrale e scomparso nel corso del XVI secolo a causa dell’erosione, furono ritrovati due antichi scafi del XIV secolo. Seguì nel 2001 lo scavo vero e proprio coordinato dal Consorzio Venezia Ricerche ed eseguito dal Consorzio Venezia Nuova, durante il quale si misero in luce gli scafi e se ne fece il rilievo fotogrammetrico. Secondo la ricostruzione storica nel 1328 il priore del monastero agostiniano che sorgeva sull’isola fece zavorrare le due imbarcazioni e le fece affondare e ancorare con grossi pali perché servissero da casseri per il rialzo delle rive dell’isola, minacciata dagli allagamenti. Un espediente che servì per breve tempo: nel Cinquecento l’isola e il monastero che vi sorgeva dovettero essere abbandonati.

Per il recupero delle due imbarcazioni si provvide ad arginarli con una parancolatura di ferro per asciugarne l’acqua all’interno. Dopo le misurazioni e il prelievo dei reperti più importanti le due imbarcazioni sono state ricoperte e il sito riallagato, in attesa di un ulteriore finanziamento che permetta di completare il lavoro recuperandole, restaurandole e ricoverandole degnamente all’Arsenale di Venezia. Il loro recupero e restauro sarebbe stato infatti complicato, lungo e oneroso, mentre in attesa di dare loro una collocazione adeguata il fango del fondale li avrebbe conservati perfettamente.

Gli studi effettuati sui due scafi hanno permesso di appurare che uno era un burchio, un’imbarcazione da trasporto a fondo piatto utilizzata sui fiumi, mentre l’altro era una galea della Serenissima lunga 38 metri, identificabile per la caratteristica forma allungata dello scafo e la presenza della tipica scassa nella zona prodiera arretrata. Si è trattato di una scoperta di grandissima importanza e unica nel suo genere. Per la prima volta in assoluto è stato individuato un relitto di galea, grazie al quale poter conoscere le tecniche costruttive ancora segrete dei Priori dell’Arsenale di Venezia.

Poco distante dal Golfo di Venezia, a circa 8 miglia da Punta Tagliamento, nel 2001 è stato scoperto per caso da un peschereccio sul fondale sabbioso a 16 metri di profondità, il relitto del brigantino italo-francese "Mercure" che faceva parte della flotta del Regno d’Italia, affondato nella notte del 21 febbraio 1812 durante la battaglia di Grado. Questa nave ha un’importanza fondamentale dal punto di vista archeologico, non solo per l’enorme quantità di oggetti recuperati, in eccellenti condizioni di conservazione, ma soprattutto perché siamo di fronte all’unico relitto noto di una nave del Regno d’Italia napoleonico.

Dal relitto sono stati recuperati sette  scheletri umani e circa 900 oggetti, molti riferibili alla cucina e alla cambusa, come botti, posate, bottiglie, calderoni e un contenitore in latta, il primo ritrovato finora, usato per la conservazione di cibi.

Nell’agosto del 2007, durante i lavori di realizzazione del Mose (il sistema di dighe mobili per difendere Venezia dall’acqua alta), fu portato alla luce il brigantino inglese  "Margareth", affondato nel 1853 di fronte alla Bocca di Porto di Malamocco. L’imbarcazione, lunga 25 metri e larga 8, dapprima fu issata su un pontone-laboratorio per un’accurata pulitura e per i rilievi della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, che furono effettuati in collaborazione con il Nucleo Archeologia Umida Subacquea Italia Centro Alto Adriatico (NAUSICAA) e con il Magistrato alle Acque di Venezia. Successivamente il relitto fu riaffondato nei fondali della laguna, affinché il legno non marcisse e continuasse ad essere preservato dalla coltre di fango.

 

Ma non sono soltanto navi mercantili quelle che affollano il braccio di mare davanti alla laguna di Venezia. Lo dimostra il cosiddetto "Relitto dei Cannoni", scoperto a una profondità di circa 7 metri nell’agosto del 2003 dagli apparecchi sonar utilizzati dal Consorzio Venezia Nuova durante le opere preliminari per la costruzione del Mose alla Bocca di Porto di Malamocco, tra le isole del Lido e Pellestrina. Si tratta del relitto di un vascello di primo rango in legno costruito in Arsenale presumibilmente nel 1698. La nave, colata a picco mentre cercava di imboccare il porto, forse a causa di forti venti di scirocco, ha una lunghezza di circa 40 metri. La mole di reperti che ha restituito questa imbarcazione (cannoni di oltre 3 metri di lunghezza, palle di cannone, materiali della vita di bordo, armi bianche e da fuoco, attrezzature navali) ne fa uno dei più importanti relitti di epoca moderna mai rinvenuto in tutto il mondo.

 

Sempre nei pressi della Bocca di Porto di Malamocco, durante gli scavi per la realizzazione del Mose, è stato ritrovato il "Relitto dei Tubi", un’imbarcazione che risale alla seconda metà dell’Ottocento. Il relitto è considerato di grande interesse storico e scientifico perché documenta la prima fase di industrializzazione moderna nel territorio veneto. All’interno del relitto, infatti, è ancora visibile il carico composto da tubi di ferro flangiati, chiavarde in rame, volani, meccanica pesante e grossi ingranaggi.

 

Chissà quali altri relitti sommersi nasconde la Laguna!

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