I Relitti della Sicilia nord-occidentale (TP)   -  Agosto  2009

Nel tratto di mare che va da Trapani a Castellammare del Golfo, al largo della costa nord occidentale della Sicilia, si trovano diversi interessanti relitti di navi: pezzi di ferro che esercitano una forte attrattiva in me, appassionato della loro storia e curioso di ascoltarne da vicino la “voce”.

Se è vero che i relitti hanno un’anima, questa è capace di raccontare storie affascinanti a chi le sappia ascoltare.

Io ho provato ad ascoltare la "voce" di tre relitti di navi mercantili affondate in questo mare ed ecco qui quello che mi hanno raccontato nell’agosto del 2009...

La m/c "PAVLOS V"

La storia del naufragio

La "Pavlos V" era una grande nave cisterna, lunga circa 180 metri e larga 24, battente bandiera greca ed è il relitto più grande che io abbia esplorato nel Mediterraneo, dopo la “Grande Signora” (la superpetroliera "Haven") che si trova al largo di Genova.

Il naufragio della "Pavlos" avvenne all’alba dell’11 gennaio 1978 a seguito di un grosso incendio sviluppatosi nella sala macchine mentre la nave, proveniente dal porto tedesco di Wilelmschaven e diretta a Milazzo, si trovava al largo delle isole Egadi e precisamente 25 miglia a ovest di Marettimo. Lanciato l’SOS, questo fu raccolto da Radio Roma che lo rilanciò alla Capitaneria di Porto di Trapani. Questa fece partire immediatamente due motovedette e i due rimorchiatori "Ciclope I°" e "Ciclope II°" per prestare soccorso alla "Pavlos". Nel frattempo però, la nave in fiamme veniva raggiunta dalla portacontainer norvegese “Admiral Nigeria”, dalla motonave "Eleonora F." e da un elicottero di una nave appoggio della Sesta Flotta degli USA di stanza nel Mediterraneo. 

 

Intanto Marisicilia faceva decollare un elicottero dalla base di Catania per recuperare i naufraghi. Ma la prima a raggiungere la motocisterna al largo di Marettimo fu la portacontainer "Admiral Nigeria", che prese a bordo 32 naufraghi sfuggiti alle fiamme grazie alle scialuppe di salvataggio calate in acqua appena in tempo. Alcuni dei marinai intirizziti e terrorizzati raccolti dalle scialuppe erano scalzi e ancora in pigiama, infatti l’incendio, sviluppatosi nella sala macchine a seguito di una violenta esplosione, si era propagato rapidamente a tutta la parte poppiera, costringendo l’equipaggio che dormiva nelle cuccette ad una precipitosa evacuazione così come si trovava. Alla fine all'appello mancarono solo due macchinisti, che verosimilmente dopo l’esplosione erano rimasti incastrati tra le lamiere senza potersi mettere in salvo. Poi, a metà strada tra Marettimo e Trapani, una motovedetta della Capitaneria di Porto incrociò la portacontainer norvegese e provvide al trasbordo dei naufraghi.

 

Ormai per la "Pavlos" tutto sembrava procedere senza grosse complicazioni: trainata dai due rimorchiatori "Ciclope" la nave procedeva lentamente verso il porto di Trapani con mare forza 2-3. Più tardi però, mentre si trovava tra l’isola della Formica e il molo della Colombaia, a bordo si verificò una nuova esplosione. A causa del vento di libeccio che aveva cominciato a soffiare con una certa intensità i focolai che nel pomeriggio precedente sembravano completamente spenti, si erano infatti rinvigoriti causando una nuova deflagrazione e questa fece inclinare la nave su di un fianco. Dato che la nave cisterna era scarica e viaggiava con i portelloni dei serbatoi aperti, questa seconda esplosione fece sì che l’acqua incominciasse ad invadere rapidamente le cisterne di carico. A questo punto furono ipotizzate due alternative per salvare la nave: trainarla sino in porto a Trapani, oppure ormeggiarla sul versante di tramontana, a ridosso del forte vento di libeccio. Fu scelta quest’ultima soluzione e la "Pavlos" venne trainata dai rimorchiatori su un basso fondale di 35 metri, sul quale si adagiò facendo perno sul calcagno del timone. Dato che il fondale era piuttosto basso, si poteva scorgere distintamente lo scafo che emergeva per una quarantina di metri, dal ponte di comando all’estremità della prua, a un miglio e mezzo dalla costa trapanese. Adesso però si presentava il problema del recupero della nave, ma soprattutto quello del possibile inquinamento del litorale con il gasolio contenuto nei suoi serbatoi.

 

I giorni seguenti furono decisivi per la sorte della nave, perché la tempesta che nel frattempo si era abbattuta sul litorale trapanese impediva qualunque intervento. Nel frattempo la Capitaneria di Porto stava ancora completando la definizione del piano di rigalleggiamento per riportare in porto la nave dopo averla alleggerita attraverso il pompaggio dell’acqua che ne aveva invaso i serbatoi. Il piano però non fece in tempo ad essere attuato, dato che la "Pavlos" si inabissò completamente spezzandosi in due tronconi all’altezza del castello di poppa.

Attualmente la chiglia della nave poggia su un fondale di circa 35 metri, mentre il castello di prua arriva sino ad appena una quindicina di metri dalla superficie del mare.

Sopra: il profilo dell'immersione sulla m/c "PAVLOS V"

L'immersione  - 1 agosto 2009

 

Partiti dalla bellissima base nautica della L.N.I. che si trova nel porto di Trapani, raggiungiamo la verticale del relitto dopo una breve navigazione verso nord-est. Ormeggiamo la nostra barca alla cima che dalla prua della "Pavlos" arriva alla boa posta in superficie e cominciamo a prepararci per la discesa, dividendoci in due gruppi di subacquei guidati da Fabio. Io naturalmente mi immergo con la mia buddy di sempre: mia moglie Angela.

Scesi sotto la superficie, grazie alla trasparenza dell’acqua che qui è davvero eccezionale, la nave ci appare in tutta la sua maestosità dopo pochi metri, dapprima con i contorni un po' sfumati e poi sempre più nitidi. Questa zona di solito è battuta da forti correnti, ma oggi siamo fortunati e le condizioni del mare sono davvero ideali: acqua trasparente e nessuna corrente. Arriviamo rapidamente sopra al castello di prua della nave e subito notiamo gli immensi argani delle due ancore con avvolte le catene, le grandi bitte per le cime di ormeggio e un boccaporto che porta giù di tre livelli, il primo dei quali è la cala delle catene delle ancore. Tutto intorno a noi migliaia di castagnole danzano in mezzo alle bolle prodotte dai nostri erogatori, contribuendo a creare un'atmosfera magica.

Ci diamo il segnale di ok e ci tuffiamo oltre alla ruota di prora, scendendo sino a dove la nave appoggia sulla sabbia bianca del fondo, a 32 metri di profondità. Siamo felici e abbiamo voglia di scherzare: Angela si appoggia alla prua della nave che incombe su di noi, allaga le braccia e abbraccia la nave sorridendo, mentre la scena viene ripresa da Mariano. Guardandola ci rendiamo conto di quanto siamo piccoli al confronto con questo gigante di ferro. Sopra di noi incombe una delle enormi ancore, ancora posizionata nell’occhio di cubia.

Iniziamo quindi l’esplorazione del relitto, nuotando lungo tutto il lato di dritta della nave, tenendolo sulla nostra destra. La murata esterna del relitto è alta una quindicina di metri e ci appare come la parete di un reef, tutta ricoperta di varie forme di vita colorate: coralligeno, ostriche, spugne incrostanti, tunicati. Qui e la spuntano esili rametti di bianca Eunicella cavolini, mentre ad un tratto le nostre torce illuminano l’unico ramo di Paramuricea clavata presente sul relitto dello scafo, facendolo esplodere del suo bellissimo caratteristico color rosso porpora. Poco dopo scorgiamo un bell’esemplare di riccio matita e poi delicati nudibranchi e dei piccoli spirografi con i loro pennacchi espansi per catturare il plancton. E’ davvero incredibile come il mare si impossessi di tutto ciò che vi finisce dentro e come la natura abbia in breve il sopravvento sull’opera dell’uomo: questa nave oramai “appartiene” al mare! Osservando la superficie dello scafo non si capisce più se la nave sia di acciaio o di roccia, tanto la sua superficie è incrostata da mille organismi sessili.

Proseguiamo nuotando verso poppa e dopo un po’ arriviamo all’enorme squarcio provocato dall’esplosione che ha fatto affondare la nave: in questo punto le lamiere dilaniate dalla deflagrazione sono tutte piegate e accartocciate ed è molto difficile riuscire a intuire in questo groviglio di acciaio contorto la forma originaria della nave. La violenta esplosione seguita all’incendio ha infatti troncato letteralmente in due la nave, lasciando la poppa intera e leggermente inclinata sul fianco sinistro a una trentina di metri di distanza dal troncone prodiero del relitto che è lungo oltre un centinaio metri.

Scendiamo giù di qualche metro e iniziamo la penetrazione in quelli che dovevano essere gli alloggi dell’equipaggio. Nuotiamo con cautela in fila indiana verso prua, cercando di sollevare meno sospensione possibile, dato che il pavimento dei locali è ricoperto da un sottile strato di limo che si smuove ad ogni colpo maldestro di pinna. All’interno vediamo distintamente alla nostra sinistra un lavabo e un water in ceramica, sui quali, ovviamente, non ha attecchito il coralligeno. Sulla destra io mi accorgo della presenza di una porta e, come al solito, cedo alla tentazione di infilarmi all’interno del piccolo locale sul quale si affaccia. Scruto con il fascio potente della mia torcia tutto intorno, cercando di trovare qualche particolare che mi permetta di identificarlo, ma all’interno non c’è assolutamente nulla salvo un oblò con ancora il vetro intatto, perciò mi ritraggo deluso. Il locale è piuttosto angusto e devo indietreggiare pinneggiando all’indietro, mentre una pioggia di rosse particelle di ruggine si stacca dal soffitto smossa dalle bolle della mia respirazione e in breve oscura tutta la visuale.

Proseguiamo nuotando verso prua ed arriviamo sul ponte di coperta, dove è tutto un intrico di tubature e di condotte. Le varie sezioni in cui è divisa la coperta sono attraversate in ogni senso dalle tubature per l’imbarco e lo stivaggio del carico e molte di queste sono ancora integre. Sul ponte ci sono anche delle lunghe passerelle che passano al di sopra delle tubature e i grandi volantini delle saracinesche che comandavano l’apertura e la chiusura del carico delle cisterne. Qui e là si aprono grandi boccaporti nei quali si scorgono le scale per scendere nelle stive e si vedono anche diversi portelloni attraverso ai quali si accede ai locali di servizio della nave. Guardando dentro due lunghe tubazioni che tagliano la coperta di traverso mi accorgo della presenza di una cernia bruna, mentre in un altro tubo vedo un grosso grongo che si ritrae infastidito dalla luce della mia torcia. Sulla coperta, invece, ci sono dei piccoli scorfani che si mimetizzano completamente tra le lamiere concrezionate della nave. Purtroppo sono avvenuti diversi crolli nella parte centrale del relitto e questo impedisce di effettuare lunghe penetrazioni al suo interno; ciononostante ci addentriamo in altri locali della nave più agevoli da visitare e questo mi consente ugualmente di provare le emozioni che io amo di più nell’esplorazione dei relitti.

Il tempo trascorre inesorabile ed è giunto ormai il momento di risalire. Del resto, data la profondità non eccessiva, l’immersione è durata parecchio e abbiamo potuto gustarci le immagini degli angoli più suggestivi del relitto, oltre che una visione d’insieme favorita dalla visibilità eccezionale Raggiungiamo la cima collegata al pedagno, diamo un ultimo saluto a questo gigante addormentato e iniziamo la risalita sino alle nostre soste di decompressione. Un’immersione davvero entusiasmante che non potrò dimenticare facilmente!

Sotto: galleria di immagini filmate da Mariano del "Pinna Nobilis D.C." durante l'immersione sul relitto del "PAVLOS V"

Con Angela nel porticciolo di Castellamare del Golfo

Il relitto della m/n "KENT"

 

La m/n "KENT"

La storia del naufragio

Il “Kent” era un cargo battente bandiera cipriota di 783 tsl. e lungo un’ottantina di metri. Partito da Siracusa alla fine di giugno del 1978 diretto a Brindisi, era ripartito dal porto pugliese il 5 luglio con rotta Nigeria. La nave trasportava un carico misto di oltre 53 tonnellate, formato da numerosi colli di merce varia contenuti nelle stive (tra i quali zampironi antizanzare, sigarette, sacchi di palline di polietilene) e due container in legno contenenti migliaia di libri del Corano (di qui il soprannome di “nave dei Corani”).

Il giorno 7 luglio 1978, alle ore 16, mentre la nave era alla fonda nel golfo della tonnara di San Vito Lo Capo, appena poco più a nord di Trapani, scoppiò un violento incendio nella sala macchine. Dopo gli inutili tentativi di spegnerlo l’equipaggio, formato da una decina di persone, abbandonò la nave con una scialuppa. Nel frattempo arrivavano per il soccorso due motovedette della Capitaneria di Porto e un motopeschereccio di Castellamare del Golfo che recuperarono i naufraghi. Il giorno dopo intervennero due rimorchiatori per spegnere l’incendio, ma le operazioni furono inutili e alle ore 11:40 dell’8 luglio il “Kent” cominciò ad imbarcare acqua e ad inclinarsi su di un fianco. Lentamente, mentre era ancora all’ancora, la nave iniziò ad affondare sempre più velocemente, finché anche l’ultimo pezzo della prua scomparve sotto la superficie del mare. Durante l’affondamento la parte poppiera fu la prima ad urtare sul fondo sabbioso e in parte roccioso e l’impatto violento smosse l’aria intrappolata sottocoperta facendo sì che le enormi bolle formatesi raddrizzassero lo scafo facendolo adagiare sul fondale di una cinquantina di metri in perfetto assetto di navigazione. Invece i due container contenenti i Corani, essendo di legno, colarono a picco più lentamente della nave e finirono ad una ventina di metri più avanti dell’ancora che era filata di prua. 

Oggi il relitto del “Kent” si trova nel punto 38° 09’ 51” N e 12° 46’ 73” E su un fondale di 52 metri, con la prua rivolta verso terra e con la chiglia adagiata sul fondo sabbioso Il punto si trova nel golfo tra Punta Spadillo e Punta Forbice, un piccolo tratto di mare chiuso denominato il “Firriato” (parola che in vernacolo indica una caduta di massi, simile a quella che si può ammirare sulla vicina costa che, tra l’altro, ha creato al suo interno il Lago di Venere), che è a circa mezzo miglio dalla costa, quasi di fronte alla vecchia “tonnara del Secco” di San Vito Lo Capo.

 

Peppe e Marcello a Castellammare del Golfo

Sul gommone prima del tuffo sul "CAPUA"...

 

L’immersione - 3 agosto 2009

 

Oggi il "Kent", dopo una trentina d'anni dall'affondamento, ospita parecchia flora e fauna interessante ed è sicuramente una della più belle immersioni di tutta la Sicilia settentrionale. Il relitto si trova adagiato tra i 45 e i 52 metri di profondità, ma le sue sovrastrutture iniziano a 38 metri e rimanendo sempre intorno alla profondità di 45 metri è possibile visitare la maggior parte della nave.

 

Partiti dal porticciolo di San Vito Lo Capo con il gommone, raggiungiamo in breve la verticale del relitto, che fortunatamente è pedagnato e quindi facilmente individuabile. Ormeggiamo direttamente sul pedagno collegato al bigo di carico principale, che si trova circa 38 metri più sotto e ci apprestiamo alla discesa. Io e Angela abbiamo pianificato una immersione "tecnica", con tempo di fondo di 15 minuti a 48 metri e deco con EAN40 che ci portiamo appresso nelle nostre stage S40. Il gas principale è normale aria, contenuta in bombole da 15 litri a 230 bar di pressione. Ci guida l'amico Peppe del "Pinna Nobilis Divers Club" di Petrosino (TP) e assieme a noi scendono anche Manuel e Francesco, che però non hanno le bombole decompressive e si accontentano di bombole di aria da 18 litri caricate a 230 bar. Ad ogni modo, per maggiore sicurezza, lasciamo appesa a 10 metri sotto alla barca una bombola di aria con l’octopus mentre a 6 metri caliamo anche un bombolino di O2 al 100%.

Scendiamo in acqua e rapidamente, secondo quanto pianificato, raggiungiamo la base del bigo di carico al quale è assicurata la cima di discesa. L’acqua particolarmente limpida ci consente di avere da subito una visione d’assieme della nave. Il relitto del “Kent” è veramente piacevole e interessante, pieno di angoli che stimolano la curiosità e l’osservazione ed è letteralmente colonizzato da ogni sorta di invertebrato. Planando a mezz’acqua, prima di giungere in prossimità della coperta vediamo gradualmente i toni blu e verdi dello scafo visto dall’alto tramutarsi in toni sempre più saturi e, illuminati dalla luce delle nostre torce, possiamo subito ammirare i primi incredibili colori che, pur essendo comuni a molti relitti, sono sempre emozionanti da vedere. Si tratta del colore degli Anthias anthias (castagnole rosa), quei piccoli pesciolini della famiglia dei serranidi che, con il loro delicatissimo rosa e l’eleganza delle loro forme incorniciano quasi ogni tipo di struttura sommersa. La magia delle castagnole rosa si somma a quella delle sovrastrutture dello scafo: corrimano, scalette, alberi e bracci delle gru di carico, interamente ricoperti da tunicati e poriferi multicolori e multiformi. La biodiversità qui è talmente varia da ricordarmi la ricchezza di un mare tropicale. Ad un osservatore attento e amante della natura come me non passano inosservati i grappoli di claveline bianche e delicate, le spugne ramificate dal colore violaceo, i delicati polipi delle madrepore e i ciuffi di spirografi di vari colori. Queste e molte altre specie ricoprono interamente le lamiere del relitto e le rendono vive ed è praticamente impossibile isolare con lo sguardo le singole specie, mentre è molto più facile godere del cromatismo di questa stupenda tavolozza di colori sommersa.

 

Per prima cosa scendiamo all’interno della stiva di poppa della nave, dove, sotto uno strato di limo, è ben visibile il carico di balle di zampironi. Pur essendo ricoperte da una patina di fango, le spiralette antizanzare sono riconoscibilissime ed è curioso vederne ammassata una simile quantità. Su un lato della stiva, addossato alla parete scorgo un grosso scorfano che si accende di rosso vivace non appena viene illuminato dalla mia torcia. E’ allora che mi ricordo di aver letto un bell'articolo su questa nave che la descriveva come la "nave degli scorfani" per la presenza di numerosi grossi esemplari di  Scorpaena scrofa, che è il nome scientifico di un pesce tozzo e "brutto", con la testa molto grande rispetto al resto del corpo e pieno di appendici spinose sulle pinne, che di solito sta fermo immobile perfettamente mimetizzato con l'ambiente circostante.

 

Dopo una breve perlustrazione della stiva, ci dirigiamo verso il cassero di poppa e precisamente sul lato di sinistra. Alla base del cassero si apre una piccola porticina che da su un corridoio che si affaccia su vari locali completamente spogli. Il lato di questo camminatoio che da verso poppa è pieno di finestroni e dopo essere entrati nel corridoio sgusciamo fuori uno alla volta proprio da uno di questi finestroni e ci dirigiamo verso la poppa estrema della nave. Ci affacciamo sulla murata di dritta e siamo contornati da sciami di castagnole nere e rosa. guardando in basso riusciamo a distinguere benissimo la grossa ammaccatura sulla fiancata generata dal violento impatto della nave con il fondale avvenuto al momento del naufragio. Proseguiamo quindi verso il ponte superiore e ci affacciamo all’interno di un locale completamente spoglio ma con varie lamiere collassate che sconsigliano una più lunga penetrazione all’interno. Do un'occhiata al computer e mi accorgo che siamo in leggero ritardo rispetto al nostro piano di immersione, dato che Manuel e Francesco si attardano un poco a curiosare inutilmente dentro a questo locale vuoto. All'interno si vedono soltanto alcuni piccoli gamberi rossi che con il loro vivace colore contrastano con il giallo/arancio delle lamiere arrugginite. Avverto Peppe del piccolo ritardo sulla nostra tabella e lui prontamente li richiama all’ordine. Poi, finalmente, riusciamo a compiere la nostra ultima penetrazione programmata: quella sul ponte di comando. Entriamo da una porta sul lato sinistro e usciamo da quella sul lato destro, dopo aver notato che il locale, caratterizzato da ampi finestroni sul davanti, è completamente spoglio e ciò che vi rimane è solo il basamento del timone o della bussola. Usciti sul lato di sinistra del ponte di comando, nuotiamo di nuovo verso la prua per dare una rapida occhiata alla grande ancora di rispetto addossata alla parete del cassero di prua, che si trova appena dopo la stiva prodiera.

Nonostante la nostra scorta d'aria ce lo permetta, non c'è però più tempo  per visitare la parte prodiera della nave e tantomeno per raggiungere i famosi container contenenti i Corani, che sono troppo distanti e richiedono un’immersione a parte. Siamo al 18° minuto d’immersione: la nostra tabella dice che il tempo di fondo è terminato ed è giunto purtroppo il momento di risalire. Perciò, sebbene a malincuore, ritorniamo al bigo di carico principale e da li alla cima di risalita e cominciamo lentamente la nostra ascesa, rispettando il piano decompressivo riportato sulle tabelle che portiamo sul polso.

Riemergiamo felici di ciò che abbiamo visto dopo 43 minuti di immersione e sul gommone, di ritorno verso San Vito, commentiamo entusiasti quello che siamo riusciti a "catturare" di questa bellissima nave.

 

Sopra: il profilo dell'immersione sulla m/n "KENT "

Sopra: Angela e Marcello sul gommone prima dell'immersione sul "KENT"

La m/n "CAPUA"

La storia del naufragio

Il "Capua" era una piccola nave da carico di 423 tsl., lunga circa 45 metri e larga poco meno di 8, che fu adibita al trasporto munizioni durante l’ultimo conflitto mondiale. Costruita nel 1907 dai cantieri Wood Skinner & Co. di Newcastle nel Regno Unito, venne acquistata dall'Italia nel dicembre del 1942 e fu data in gestione alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia.

La nave affondò durante la Seconda Guerra Mondiale, precisamente il  27 aprile del 1943 durante la navigazione da Trapani a Tripoli con un carico di armi destinato alle truppe italiane in Africa. Secondo la versione ufficiale del naufragio, mentre il "Capua" si trovava circa mezzo miglio ad est della tonnara di Scopello, nel punto latitudine 38°5,02' nord e longitudine 12°48,92' est, proprio di fronte alle spiagge della riserva naturale dello Zingaro, a bordo si verificò una violenta esplosione a causa di un incendio scoppiato accidentalmente. Dopo vani tentativi, non riuscendo a domarlo, l’equipaggio abbandonò la nave e allontanandosi con le scialuppe raggiunse la vicina tonnara sulla costa.

Il comandante ed il suo equipaggio vennero soccorsi e assistiti dagli abitanti di Scopello e fra i vecchi della zona c’è chi ancora ricorda quell’evento. Su questa vicenda si intrecciano però delle strane leggende e c’è chi sostiene addirittura che l'incendio fu provocato volontariamente dall’equipaggio perché era ormai stanco della guerra in corso. Secondo alcune testimonianze, pare invece che l’incendio a bordo del "Capua"  venne appiccato dal suo equipaggio subito dopo avere avvistato un sommergibile inglese al largo di Punta Impisu. Pare inoltre che prima di dare fuoco alla nave il comandante diede l’ordine di trasportare le armi dalle stive fino a terra.  Queste leggende fanno si che la nave sia circondata da un fascino misterioso... quello che è certo però - perché su questo tutte le testimonianze sono concordi - è che il "Capua" impiegò circa dieci ore prima di inabissarsi completamente, rimanendo verticale e fuori dall’acqua per un lungo periodo di tempo a causa del basso fondale.

Oggi il relitto giace in perfetto assetto di navigazione, appoggiato su un fondale di  sabbia di circa 38 metri e le sue sovrastrutture di prua arrivano a 28 metri dalla superficie del mare.

Sopra: il profilo dell'immersione sulla m/n "CAPUA"

L’immersione - 5 agosto 2009

 

Partiti con il gommone da Castellammare del Golfo, ci dirigiamo in direzione di Scopello  percorrendo circa 3 miglia, finché giungiamo sulla verticale del relitto segnalata da un pedagno assicurato alle sovrastrutture sulla prua della nave a circa 28 metri di profondità. Saltiamo in acqua e già dopo i primi metri riusciamo ad intravedere per intero la sagoma della nave affondata, che mano a mano che scendiamo diventa sempre più definita. Intorno a noi volteggia un branco di grossi saraghi fasciati che ci accompagnano durante tutta la discesa, forse incuriositi da questa intrusione nella loro "casa". Gran parte delle strutture del "Capua" sono ormai collassate per via dell’azione del mare e del furioso incendio che ne causò l’affondamento nel ’43, ma la visione dell’intero scafo è comunque suggestiva.

Attorniati da fitti branchi di anthias rosa scivoliamo veloci fin sotto alla prua e iniziamo da qui la nostra esplorazione del relitto. Lo scafo è interamente ricoperto dal coralligeno e qui e là spuntano esili rametti di gorgonie gialle. Nuotando verso poppa raggiungiamo il punto in cui era attaccato il timone e io scendo fino sul fondo sabbioso a 38 metri, dove si vede nettamente l’asse dell’elica dal quale però questa è stata asportata. La buona visibilità mi permette da questa posizione di ammirare gran parte del relitto in tutta la sua grandezza. Stare qui sotto da un’idea dell’imponenza della nave. Pinneggiando lungo la murata risaliamo sulla coperta di poppa, dove sono visibili due grosse bitte, mentre sparsi disordinatamente sul ponte ci sono parecchi detriti difficilmente identificabili. Sotto a delle lamiere fa capolino un grosso grongo. Lo illumino con la torcia e mi avvicino con cautela. Spengo la luce e tendo la mia mano nuda e l'animale... si lascia accarezzare su di un fianco.

Proseguiamo la nostra perlustrazione e raggiungiamo le stive buie e deserte. Illuminando l’ambiente con le torce, scorgiamo sul fondo alcuni resti delle cassette che un tempo contenevano le munizioni, ma il fitto strato di sedimento non ci permette di vedere molto di più. Poi passiamo in volo sopra il fumaiolo della nave che è collassato nel locale sottostante e diamo un’occhiata alla sala macchine, tutta ingombra di tubi e cavi volanti sparsi dappertutto e di color ruggine. Nuotando a rana lentamente e con molta attenzione cerchiamo di evitare di alzare il sedimento, anche se purtroppo lo scarico dell’aria delle nostre bombole provoca la caduta di piccole particelle di ruggine dalle strutture alte e la sospensione creata oscura in fretta la visibilità. Lasciamo quindi la sala macchine e torniamo nuovamente all’esterno. Lungo le paratie interamente rivestite di spugne, astroides, margherite di mare, gorgonie gialle e spirografi, nuotano allegramente fitte colonie di anthias rosa e di castagnole nere, mentre qui e la si vedono grosse salpe e occhiate.

Ripassiamo sopra al ponte e vediamo nuovamente il grongo semicoperto da una lamiera. La tentazione di tornare ad accarezzarlo è grande, ma il tempo non me lo permette, perciò ci dirigiamo verso prua. Sul ponte la coperta in legno è ormai scomparsa completamente e restano solo le strutture metalliche di sostegno che hanno resistito all’azione del mare e del tempo e lasciano intravedere facilmente l’ambiente sottostante. Entro in un piccolo locale di servizio, proprio sotto al cassero di prua. Il locale è completamente vuoto e privo di interesse, ma mentre sto per uscire mi accorgo che addossata ad una parete c’è una grossa murena. Infastidita dalla luce della mia torcia sguscia via rapidamente nuotando flessuosa e poco dopo vedo la testa di un’altra piccola murena apparire da sotto una lamiera sul pavimento. Esco da un boccaporto che mi porta proprio sopra alla prua, dove c’è il basamento della mitragliatrice contraerea che costituiva la difesa della nave e poco più avanti vedo l’argano delle ancore. La grossa murena che poco prima avevo infastidito nel frattempo è tornata indietro e mi si avvicina. Sembra che mi inviti a toccarla ed io la sfioro delicatamente su di un fianco, mentre mi scivola sotto alle dita.

Do un’occhiata agli strumenti e capisco che è tempo di risalire per fare tranquillamente la nostra decompressione; perciò raggiungo la cima di risalita ben tesa verso la superficie e lentamente comincio a risalire. Lancio uno sguardo alla mia compagna che mi fa un cenno di approvazione e lasciamo a malincuore sotto di noi il relitto del piccolo "Capua" che ci ha regalato un’immersione molto tranquilla ma davvero interessante, a dimostrazione del fatto che anche una piccola nave può comunque riservare delle splendide emozioni.

 

Alcune immagini tratte dal filmato fatto da Mariano durante l'immersione del 1° agosto 2009  che mi ritraggono sul relitto della m/c "PAVLOS V"

 

 

 

 

 

 

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