26 settembre 2004. Ero tornato a Porto Santo Stefano a trovare il mio amico Paolo Bausani del "Centro Immersioni Costa d’Argento", convinto di poter passare tre o quattro giorni di magnifiche immersioni nel mare dell’Argentario, sul finire di un’estate che mi aveva già regalato fantastiche emozioni dal punto di vista subacqueo e invece… Due giorni di Maestrale ininterrotto avevano reso impossibile qualunque uscita in mare e, a parte simpatiche cene con gli amici del diving, il lungo week end subacqueo che avevo deciso di “regalarmi” in occasione del mio compleanno si stava rivelando una terribile delusione...
Quella domenica mattina ero sceso al diving di buon ora (si trova proprio sotto all’albergo, in posizione strategica…) e mi aggiravo sulla banchina, rabbioso come un animale ferito, imprecando contro la cattiva sorte che mi aveva regalato l’ennesima giornata di Maestrale. Il vento soffiava bello teso da NW con raffiche sui 15-20 nodi e il mare incominciava ad essere agitato con creste bianche dappertutto. Il sole era splendente, il cielo terso e la visibilità ottima tanto da permettere di intravedere l’isola di Montecristo. Se anziché sognare di andare sott’acqua avessi voluto tirare quattro bordi in barca a vela sarebbe stata la giornata ideale! Appena arrivato Paolo gli andai incontro e gli chiesi che intenzioni avesse e lui mi rispose laconico “Non si fa nulla!”. Già me lo immaginavo, ma questa era la fine brusca di ogni mio sogno. Angela (mia moglie), che avrebbe dovuto immergersi con me, si teneva a debita distanza per evitare le mie ire… Che fare? D’un tratto Paolo mi si avvicinò e mi disse “Vuoi che senta se c’hanno posto al Cala Galera? C’è Stefano che è un mio amico. Adesso lo sento”. Detto e fatto. Una telefonata e dopo venti minuti io ed Angela con tutta la nostra attrezzatura eravamo davanti alla sede del "Cala Galera Diving Center", davanti al Porto Nuovo.
Dopo circa 40 minuti di navigazione, doppiamo la punta meridionale del Giglio - Punta Capel Rosso - e risaliamo verso nord fino allo Scoglio del Corvo. Il vento è piuttosto forte, con raffiche sui 20 nodi e abbiamo qualche difficoltà nell’ormeggio, sino a che si decide di tirare una cima da poppa direttamente sullo scoglio e di passarne un’altra in costa dalla prua, per evitare che la barca all’ancora si metta alla ruota. Si formano i vari gruppi ed io e Angela, che siamo gli ultimi arrivati a bordo, rimaniamo con Stefano Donnini (il titolare del diving, un fiorentino davvero eccezionale) ed un ragazzo di Roma. Stefano si informa sui nostri brevetti e decide che possiamo tranquillamente scendere verso la punta ovest dello scoglio, una cresta di roccia che prosegue sott’acqua fino ad oltre 50 metri di profondità.
E’ quasi mezzogiorno, quando ci tuffiamo da poppa e scompariamo rapidamente sotto la superficie. L’acqua è cristallina (sono stato diverse volte al Giglio, ma non finirò mai di stupirmi della limpidezza dell’acqua da queste parti!) e c’è una visibilità superiore ai 40 metri. Stefano e il romano aprono l’immersione, segue Angela ed io chiudo la fila. Un’immersione molto tranquilla e rilassante, che mi fa dimenticare come d’incanto il malumore accumulato nei due giorni precedenti passati all’asciutto. Tutto fila via liscio. Superiamo i grandi massi che si trovano proprio sotto la barca e scivoliamo tra le creste di granito che digradano verso il largo, formando dei canali di roccia molto suggestivi. Nuotiamo in fuori sino al panettone di roccia che si trova ad ovest dello scoglio e che sorge isolato dal fondale di sabbia bianca di oltre 50 metri. I colori degli organismi che si trovano sulla roccia sono stupendi: tutto è ricoperto di gorgonie gialle e di spugne rosse incrostanti. Nelle spaccature si affacciano diverse murene, che si lasciano penzolare mollemente fuori della loro tana. Mentre, in acqua libera, passano nuvole di anthias rosa. A un tratto Angela mi fa vedere un bel Phycis phycis (Musdea Bianca) molto grande, che si ripara dalla luce della sua torcia sotto ad un piccolo arco naturale. Questo pesce è molto timido ed ama l'oscurità e appena gli punto addosso la mia torcia si ritrae intimorito sotto alla roccia. Scendo ancora un poco, fino quasi alla base del panettone di roccia, dove ho intravisto delle spaccature più profonde e, poco più avanti, scorgo una bella cernia bruna dentro alla sua tana, che non è affatto spaventata dalla luce potente della mia torcia. Tutto intorno ci sono grandi rami di Paramuricea clavata, le bellissime gorgonie rosse, mentre rami arancioni di Axinella polipoides spuntano qua e là. Un colpo d’occhio stupendo, ma nessuno di noi ha la macchina fotografica purtroppo. Do un’occhiata agli strumenti. Sono passati già 30 minuti e il computer indica 3 minuti di decompressione. Siamo a -47 metri… è tempo di risalire! Incominciamo la nostra lenta risalita per desaturarci e intanto continuiamo ad ammirare la limpidezza di quest’acqua, che in settembre è davvero incredibile. Ad un tratto vedo delle sagome scure nuotare contro la superficie del mare. Salgo ancora un po’ e… mi trovo proprio sotto ad un piccolo branco di barracuda di grosse dimensioni, che nuotano ordinati tutti in una stessa direzione. I raggi del sole fanno brillare il loro corpo affusolato d’argento e io resto incantato per qualche attimo ad osservarli. Finisco la mia deco ancora in compagnia dei barracuda che adesso nuotano un poco più in la, appena sotto al pelo dell’acqua. Veramente bello!
Tornati a bordo ci aspetta una piacevolissima sorpresa. Carlo, il comandante, è anche un ottimo cuoco e mentre eravamo sott’acqua ha preparato diversi vassoi di bruschette sulle quali i sub si avventano famelici. Il tempo di spazzolare le bruschette ed ecco due pentoloni di farfalle con calamari, cozze, gamberi e pomodoro. Ce n’è per tutti e, complice anche un vinello bianco generoso (ma chi l’ha detto che non bisogna bere dopo un’immersione ?!) alle tre del pomeriggio, quando ci spostiamo con la barca, la voglia è solo quella di stendersi sul ponte prendisole del "Cala Won" per fare una ricca pennica… Invece navighiamo lentamente verso sud e ci ormeggiamo a ridosso dello Scoglio di Pietrabona, riparati dal mare e dal vento che, nel frattempo, ha girato a Tramontana.
Alle ore 15:35 scendiamo nuovamente in acqua, nella stessa formazione del mattino e facciamo un’immersione stupenda, tra le rocce di granito che in questa zona formano spettacolari cavità. Appena sceso lungo la parete vedo le antenne di un’aragosta spuntare da una nicchia e, subito dopo, poco più in là un’altra ancora, non molto grande. Continuiamo a nuotare con la parete sulla nostra destra, dirigendoci verso il largo e continuando a fare degli “incontri” interessanti: murene, sia dentro che fuori della loro tana, un astice di dimensioni ragguardevoli, una grande musdea che fugge timidamente a nascondersi appena l’illumino con la mia torcia e poi due bellissime Aplisya depilans (Lepri di mare) che nuotano eleganti l’una dietro l’altra e sembrano volare nell'acqua, grazie ai parapodi espansi. Arrivati alla "schiena d’asino", che è la prosecuzione dello scoglio sott’acqua, scavalliamo fin sul versante nord dell’isolotto e scendiamo sul lato esterno della parete che strapiomba ben oltre i 50 metri di profondità. Noi rimaniamo intorno ai -45 e continuiamo a nuotare, per poi risalire lentamente sul versante opposto dello scoglio. L’acqua è piuttosto fresca: ci sono appena 13 °C ed è ancora più limpida che di mattino. Si vede benissimo tutto, anche senza la torcia.
Verso le ore 16:45 molliamo l’ormeggio per fare ritorno a Porto S. Stefano. Appena doppiata la Punta di Capel Rosso il mare ci sbatte in faccia con tutta la sua violenza e si comincia davvero a ballare. Il vento ha ben rinforzato e le creste bianche sono ormai dappertutto. Ogni tanto qualche frangente si abbatte rumorosamente sulla prua della barca e l’acqua scorre sulla coperta spazzando tutto, per poi uscire da poppa. Oltre un’ora e mezza di navigazione, con mare in prua forza 5. Il "Cala Won" ha modo di dimostrare tutte le sue doti marine, infilandosi dentro l’onda con tutta la prua e Carlo ha il suo bel da fare al timone per mantenerlo dritto. Che stano assetto questa barca. Molto marina, ma… sembra di stare su di un sommergibile! A poppa, i sub “de Roma” mostrano i loro evidenti segni del mal di mare, mentre le onde passano letteralmente sopra alla nostra barca e si riversano nel pozzetto inzuppando ogni cosa. Decido di tenermi la muta addosso, tanto… Poco più in là, Angela dorme pacifica su una panca, spossata da due tuffi consecutivi fatti ad oltre 45 metri di profondità e per niente preoccupata dal mare che monta. Io mi rifugio dentro l’angusta cabina del comandante a parlare di mare (quello brutto) e di barche con Carlo il marinaio, mentre Stefano, con addosso la sua muta stagna, dorme a pagliolo nella cabina di prua, dove si balla che è una meraviglia. Gli altri, verso poppa, bagnati e infreddoliti, non sorridono per niente e sono anche piuttosto palliducci… Ma loro non hanno nuotato con il pesce luna!! Coraggio ragazzi! |
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PESCE LUNA scheda biologica
Il Pesce luna (Mola mola dal latino mola, "macina, mola" ) è il più grande tra i pesci ossei (gli squali sono infatti pesci cartilaginei). In inglese viene chiamato Sunfish, presumibilmente tanto per la sua forma, quanto per le sue dimensioni e per il fatto che durante le giornate di sole tende a salire alla superficie dell'acqua. Il Pesce luna abita il mare aperto, ma è localizzato prevalentemente lungo le acque costiere, vive in acque tropicali, temperate e fredde (spingendosi fino ai banchi di Terranova e lungo le coste norvegesi, occasionalmente anche nel Mar Baltico), Mediterraneo compreso. Nell'emisfero australe è diffuso intorno alle acque del Sudafrica e dell'Australia, ma non intorno alla Terra del fuoco.Questo pesce è caratterizzato da una forma allungata, ovaloide, molto compressa ai fianchi. La pinna caudale è formata da un'escrescenza carnosa (che parte dalla radice della pinna dorsale) che ha poca mobilità: la locomozione è affidata alle pinne dorsale e anale, opposte, simmetriche, robuste e allungate. La pinna dorsale è piccola e a ventaglio.I denti sono fusi tra loro nella piccola bocca e formano una sorta di becco. Le aperture branchiali sono ridotte ad un buco appena prima la pinna pettorale. La sua pelle può raggiungere lo spessore di 15 cm. Essa ospita fino a cinquanta specie di parassiti e microorganismi, i quali possono provocare il fenomeno della bioluminescenza. Il Pesce luna può raggiungere la lunghezza di tre metri per un'altezza di tre metri ed un peso di oltre due tonnellate. Si tratta inoltre di un pesce estremamente longevo: presumibilmente può superare ampiamente i cento anni di età. Quando il Pesce luna nuota in prossimità della superficie, visto da una barca, può esser confuso con uno squalo, dato che se ne vede soltanto una pinna.Come accennato, spesso risale alla superficie del mare dove fa galleggiare il corpo in posizione orizzontale. Pare che sia questa una maniera di liberarsi dei parassiti, che in questo modo possono venire mangiati dagli uccelli. Una femmina può deporre fino a trecento milioni di uova in una volta. Le larve hanno il diametro di appena due o tre millimetri.Il Pesce luna si nutre di plancton, di piccoli pesci e di meduse. |
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