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Capo Palinuro - 9 settembre 2010
Il cielo sopra di noi è plumbeo. Il vento da Libeccio spinge velocemente le nuvole verso la costa di Palinuro. Come il solito siamo scesi puntuali giù al diving appena finito di fare colazione, ma oggi ci siamo solo noi. Dei diversi subacquei che si erano prenotati per l’immersione del mattino non si vede nessuno, ma Angela ed io non riusciamo ad accettare l’idea di rimanere all’asciutto dopo quasi una settimana in cui abbiamo fatto due bellissimi tuffi ogni giorno.
Il vento ha alzato un po’ di onda e ha reso impossibile l’approdo della barca al comodo pontile del villaggio dove di solito ci imbarchiamo. Gli ombrelloni sulla spiaggia sono tutti chiusi e non c’è nessuno, salvo alcuni villeggianti che, con la felpa addosso, osservano sconsolati lo spettacolo offerto da quest’anticipo di autunno. Lo scenario è bello per lo spettacolo che il mare sa offrire anche quando il tempo è brutto, ma è alquanto desolante pensando di essere in un villaggio vacanze. Minaccia un forte temporale e non sembra proprio la giornata ideale per fare un’immersione. |
Dalla terrazza del diving guardiamo sconsolati verso il porto di Palinuro a nord del capo stesso che è ridossato in un’ansa circondata da verdi colline, orlata a sud da una piccola spiaggia di sabbia chiara. Il porto è riparato da quasi tutti i venti, solo quelli provenienti da nord-ovest e da nord-est possono diventare fastidiosi. |
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Guardiamo Mauro con sguardo implorante. Lui conosce la nostra “fame di immersioni” e non vuole deluderci. Ci strizza l’occhio e ci dice “Se volete possiamo uscire dal porto”. Non ce lo facciamo ripetere due volte e in un attimo prendiamo la decisione e prepariamo tutta la nostra attrezzatura. Partiremo dal porto, dove è ormeggiata la barca del diving. La salita trascinando i nostri cassoni con l’attrezzatura lungo il ripido sentiero che porta dalla spiaggia all’ingresso del villaggio è molto faticosa, ma per fortuna le bombole e le zavorre si trovano già in barca. Carichiamo tutta l'attrezzatura sul furgone che ci aspetta all’ingresso del villaggio e in pochi minuti arriviamo giù al porto di Palinuro. Il cielo sopra di noi è sempre più cupo e il vento ha incominciato a girare verso nord-ovest. Dobbiamo assolutamente sbrigarci. Trasbordiamo la nostra attrezzatura sulla barca e lasciamo rapidamente l’ormeggio. Non andremo molto lontano. Per oggi dovremo accontentarci di fare un tuffo appena fuori del porto, al di là del molo frangiflutti che lo chiude a nord. Comunque, è sempre meglio che restare all'asciutto!! |
Una volta scesi di pochi metri sotto la superficie, il mare diventa tranquillo e siamo circondati dal silenzio più totale. Scendiamo sino a una ventina di metri di profondità e cominciamo a nuotare decisi in direzione del molo frangiflutti. L’acqua è abbastanza limpida, ma è molto scuro e dobbiamo tenere costantemente accese le nostre torce. Attorno a noi nuotano banchi di salpe e di castagnole, mentre nei tratti di sabbia del fondale non ricoperti dalla posidonia, vediamo alcune triglie che brucano freneticamente in cerca di cibo. Dopo un po’ arriviamo alla base del molo del porto e cominciamo a costeggiarlo nuotando vicino ai tetrapodi di calcestruzzo: si tratta di grosse e pesanti strutture a quattro punte accatastate le une sulle altre, che incastrandosi tra loro assicurano la necessaria resistenza all’azione disgregatrice delle onde. Queste opere a mare formano tante piccole cavità, all’interno delle quali si nasconde il pesce da tana, che noi cerchiamo frugando con le nostre torce. A un certo punto riesco ad avvistare una piccola cernia bruna che, appena mi avvicino, si rifugia immediatamente in mezzo ai massi. Alcuni passaggi più ampi invitano a infilarsi “dentro” il molo, ma confesso che l’idea di trovarmi sotto tonnellate di cemento con la risacca che sbatte mi crea una certa inquietudine e non cedo alla tentazione. |
La spiaggia del Villaggio poco prima del nostro tuffo.... il deserto!!
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In mare ci siamo solo noi tre...
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Proseguiamo nuotando lungo l’esterno del molo e, poco dopo, cominciamo a scorgere un ammasso informe di rottami. Ci avviciniamo ancora un po' e vediamo quello che resta del “San Pietro”, un motoveliero della fine del XVIII secolo che trasportava laterizi nelle varie località campane. Di questo vascello, privo di qualunque valore storico, si sa molto poco, ma ho letto da qualche parte che nel settembre del 1972 questa nave fu sorpresa da una forte mareggiata e s’incagliò a Punta Licosa, al limite meridionale del Golfo di Salerno, vicino a Castellabate. Una volta disincagliatasi, la “San Pietro” riuscì a proseguire la sua navigazione fino a Palinuro, dove affondò a soli diciotto metri di profondità.
Essendo in legno, il relitto si è deteriorato rapidamente e, dopo la costruzione del nuovo molo foraneo del porto, le violente mareggiate succedutesi nel corso degli anni l’hanno sospinto contro i massi e l’hanno completamente distrutto. Ormai rimangono solo pochi resti delle strutture lignee e alcune parti metalliche addossate ai tetrapodi che proteggono il molo. Nuotiamo per un po’ attorno a questi resti curiosando tra l'ammasso di lamiere, poi proseguiamo l'immersione raggiungendo la testata del molo.
Saliamo un po’ di quota e, pur nell’oscurità che ci circonda, vediamo sopra di noi la superficie del mare sulla quale scorgiamo distintamente le grosse gocce di pioggia che è sempre più forte. Si sta decisamente meglio sott'acqua; perciò scendiamo di nuovo in profondità ed entriamo nuotando nel porto. Qui lo scenario cambia completamente. La prateria di posidonia lascia il posto a una distesa di sabbia grigiastra. Tutto è grigio attorno a noi. Il fondo melmoso è ricoperto di detriti e di rifiuti, come in tutti i porti. A un tratto ci appaiono davanti una serie di cime e di catene che salgono dal fondo sino in superficie. Sul fondo sono ancorate a grossi blocchi di cemento o a copertoni di camion riempiti di cemento, mentre sulla superficie del mare s’intravvedono molte boe e gavitelli. Man mano che avanziamo in direzione della riva l’intrico di cavi e di catene si fa sempre più fitto. Sono i corpi morti che servono per l’ormeggio delle imbarcazioni. Procediamo con cautela rimanendo il più possibile a ridosso della diga foranea e facendo molta attenzione alle moltissime lenze da pesca che si sono impigliate sulle cime. Non vorremmo rimanere agganciati a qualche amo... |
A ridosso del molo l’oscurità è ancora più forte e una densa sospensione rende lo scenario ancora più cupo. Sembra quasi di nuotare nella nebbia e le catene che s’incrociano in tutte le direzioni creano uno scenario inquietante e affascinante al tempo stesso. La mia fantasia vola e mi sembra di essere... all’interno di un castello incantato. Procediamo lentamente nuotando in fila indiana ma stando piuttosto staccati l’uno dall’altro. I potenti fasci di luce delle nostre torce creano effetti suggestivi che rendono lo scenario ancora più magico. Il fondale sale rapidamente di quota. Ormai siamo quasi arrivati alla fine del nostro percorso. Poco più avanti riusciamo a distinguere lo scivolo utilizzato per l’alaggio delle barche. Lo raggiungiamo con poche bracciate e dopo circa trequarti d’ora d’immersione usciamo dall’acqua. Appena messi i piedi sulla scivolosa rampa per l’alaggio delle barche veniamo investiti da forti sferzate di vento proveniente da Maestrale e da un violento rovescio di pioggia. Senza toglierci le pinne, per evitare di scivolare sulle alghe che ricoprono lo scivolo delle barche, saliamo camminando all’indietro lungo la rampa con indosso le nostre bombole, ma le raffiche di vento ci fanno barcollare sotto il peso dell’attrezzatura e rendono la cosa parecchio difficoltosa. Pochi metri più in là ci aspetta il furgone del diving con l’ampio portellone posteriore spalancato. La pioggia e il vento ora sono diventati violentissimi e facciamo persino fatica a rimanere in piedi. E’ un vero nubifragio. Sembra che stia arrivando una tromba d’aria. Senza neppure spogliarci, gettiamo le nostre pinne, le zavorre e i gav con attaccate le bombole nel furgone e, poco dopo, ci ritroviamo tutti all’interno completamente fradici. Le nostre facce hanno quell’aria complice e soddisfatta di chi ne ha combinata una di grossa. In effetti, oggi non era proprio il caso di uscire in mare con questo tempo da lupi, ma il nostro insaziabile desiderio di immergerci conosce ben pochi limiti… e Mauro ancora una volta si è dimostrato l’amico che conosciamo bene e ci ha fatto davvero un grosso regalo. Ad ogni modo, anche se un po' folle, questo tuffo in questo paesaggio inusuale e misterioso per me è stato bello e rinunciare sarebbe stato un vero peccato. Aspettiamo che spiova un po', rimanendo per una decina di minuti nel furgone con il riscaldamento acceso e con ancora addosso le mute gocciolanti. Le raffiche di vento fanno ballare il furgone come se fossimo in barca. Non è possibile lasciare il porto finché piove in questa maniera. Non si vede niente e non sembra proprio il 9 di settembre: pare di essere in autunno inoltrato! Poco dopo il violento nubifragio estivo finisce e lascia il posto a una noiosa pioggerellina sottile che ci accompagnerà per tutto il resto della giornata. Di fare un altro tuffo nel pomeriggio neanche se ne parla. Il mare è diventato davvero grosso e non ci resta che fare ritorno al villaggio per il pranzo e… trovare qualche altra occupazione per il pomeriggio. |
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