L’emozione di tornare in acqua... dopo quasi un anno

Numana, 19 giugno 2022

 

Al tramonto lungo la Riviera del Conero  

Domenica di giugno, tardo pomeriggio, davanti al mio Circolo subacqueo.
«Marcello l’acqua è buona, vieni a fare una notturna?»

«Ma quando… stasera?»
«Si. Ci vediamo qui alle otto.»
E’ Giacomo che parla, il presidente dello Smile Diving, il mio Circolo.

Sono colto di sorpresa…. Non avevo la minima idea di fare un tuffo qui sotto casa mia. Ormai non vado in acqua da metà ottobre dello scorso anno… sono passati 247 giorni. In venticinque anni che faccio immersioni non mi era mai capitato di restare “a secco” per un periodo così lungo. Sono capitate tante cose quest’inverno e questa primavera, il Covid-19, le restrizioni, vari problemi in casa… non ho più avuto modo di andare sott’acqua. E’ troppo tempo.

Mia moglie insiste «Vai, che ti farà bene.»
Decido… «Va bene. Ci vediamo qui alle otto» Mi precipito a casa. Sono quasi le sette e devo preparare l’attrezzatura. Sono due anni che m’immergo solo con il rebreather in circuito chiuso.

Dove sarà la mia attrezzatura “ricreativa”?

Arrivo a casa, scendo in garage e comincio a cercare. Dov’è un octopus? Nonostante il mio ordine quasi maniacale non lo trovo.
Il jacket lo vedo subito, ma gli erogatori che trovo appesi sulla rastrelliera sono solo quelli “tek” del bibo e dei bailout. Eppure so che avevo un octopus per le immersioni ricreative… Dove sarà finito?

Chiedo aiuto a mia moglie che, ridendo, mi ricorda che l’anno scorso avevo cannibalizzato il mio octopus per attaccare gli erogatori alle S80 di bailout. Già… ma questa sera devo scendere in assetto “rec”e non trovo i pezzi necessari. Non ho tempo per rimontarli. Decido di usare gli erogatori del bibo (che non uso più da due anni ormai). Sono in configurazione “DIR”, con un routing adatto al bibombola, doppi primi stadi, la frusta lunga, la frusta della stagna, moschettoni, elastici, manometro…  un accrocchio mostruoso dovendolo montare su una piccola bombola da 10 litri. Avrò bisogno di una bombola con il doppio attacco DIN e so che al Circolo ce ne sono poche. Pazienza. Non ho altro tempo, ormai sono quasi le otto.

Prendo un cassone e comincio a metterci dentro la mia attrezzatura.
Per non dimenticare pezzi comincio dal basso, come insegno agli allievi nei corsi OWD. Calzari, pinne, muta da 5 mm (sono due anni che uso solo la muta stagna, ma mi hanno detto che l’acqua è calda… vedremo), cintura di zavorra (ne ho una già pronta con 8 kg… andrà bene? Lo scoprirò quando sarò in acqua…), jacket, due erogatori, cappuccio, due torce (è una buona regola averne almeno due quando ci s’immerge di notte), flash light da attaccare alla bombola, computer subacqueo… mi pare di aver preso tutto.

Butto in uno zaino un asciugamano, un costume e una maglietta di ricambio, le ciabatte e lo shampoo (per fortuna al porto di Numana ci sono le docce calde...) e carico tutto sul mio furgoncino, il mitico "Dive Van" di Marpola che non usavo da troppo tempo per la subacquea.

Alle otto in punto sono di nuovo al mio Circolo e lì ritrovo i miei amici: Giacomo, Alessandro, Giordano, Paolo e Aleandro. Saluti e abbracci. Era da un po’ che non ci si vedeva.

Ci immergeremo in cinque. Paolo guiderà il gommone e resterà a bordo per farci assistenza.
«Finalmente ti sei deciso a fare un’immersione qui al Conero!» mi dicono gli amici. Hanno sempre pensato che li snobbassi visto che ero sempre in viaggio per luoghi per me molto più allettanti delle acque di casa; ma non è così. Semplicemente, essendo passato al CCR, trovavo assurdo immergermi con il rebreather su un fondale sabbioso di appena una decina di metri e preferivo immersioni più impegnative e appaganti.

I miei amici sanno benissimo che non amo queste acque basse e fangose, ma la lunga "astinenza da azoto" questa volta mi ha fatto capitolare. E poi c’è il dopo immersione… una parte che mi piace moltissimo. Dopo ogni notturna c’è l’abitudine di andare a mangiare una pizza insieme e restare a chiacchierare con in mano una buona birra. A volte vado al porto di Numana incontro ai miei amici che ritornano da un’immersione e mi fermo con loro a cena soltanto per il piacere della compagnia. Questa sera però andrò in acqua con loro, e la pizza me la sarò guadagnata.
Carichiamo tutte le nostre attrezzature sul famoso pulmino giallo dello Smile Diving e in dieci minuti arriviamo al porto di Numana dove ad attenderci c’è il nostro gommone.
Carichiamo tutto in barca, indossiamo le mute e alle 20:40 salpiamo in direzione del relitto della m/n “Nicole”, affondata un miglio e mezzo al largo.

In navigazione verso il relitto della "Nicole"

Mentre navighiamo verso est con un po’ di onda di prua, osservo le ultime luci del tramonto dietro il profilo scuro del Monte Conero. Il sole si è tuffato nel mare e il cielo è tinto di arancio. E' uno spettacolo davvero mozzafiato.

Arriviamo in dieci minuti alle boe fisse che segnalano il relitto e ormeggiamo il gommone.

In pochi minuti siamo pronti per il nostro tuffo. Confesso che mi sento un po’ emozionato. Anche se i gesti compiuti centinaia di volte li faccio automaticamente, ho il timore di aver dimenticato qualcosa. Ormai ho acquisito gli automatismi necessari per le immersioni con il rebreather, e il ritorno alla configurazione ricreativa fa sì che sia un po’ impacciato. E’ solo questione di un attimo però. In fondo immergersi è come andare in bicicletta: una volta imparato non si dimentica più.
Seduto sul tubolare del gommone finisco di indossare la mia attrezzatura, provo a respirare dai due erogatori, indosso le pinne, gonfio il gav e mi tuffo all’indietro. In un attimo l’acqua, il mio elemento amico, mi avvolge completamente. Sento solo un brivido di freddo lungo la schiena dovuto all’acqua che s’infila nel collo della mia muta umida, ma è soltanto un attimo. La temperatura dell’acqua in superficie è 26 gradi ed è molto piacevole.

Accendo la mia torcia principale, sgonfio il gav e senza pensarci tropo scendo in vista della catena della boa senza nemmeno il bisogno di attaccarmi, perchè non c’è un filo di corrente. Poco sotto la superficie le onde non si avvertono più. L'acqua è chiara. Appena sceso di un paio di metri vedo già la prua del relitto e la bitta alla quale è assicurata la catena. Incredibile!
Trovo subito il mio assetto orizzontale. Arrivato sulla coperta di prua, scavalco la murata e raggiungo il fondale a poco più di 10 metri di profondità. La mia pesata (per puro culo…) va bene e con una leggera iniezione di aria nel mio jacket riesco ad avere un assetto neutro, e mi trovo a galleggiare a pochi centimetri dal fondo.

La temperatura è gradevole. Si sente il termoclino: dai 26 gradi della superficie si arriva a 20 gradi, ma mi sento bene.
Inizio a pinneggiare verso la poppa della "Nicole" nuotando a rana con le pinne sollevate. Pochi colpi di pinne e ritrovo subito la mia nuotata ideale. Mi sento benissimo.

Mi godo il gorgoglio dell’aria che esce dal mio erogatore e riprovo una sensazione quasi dimenticata, dato che lo scorso anno mi ero immerso solo con il silenzio del mio rebreather.

La visibilità è incredibilmente buona questa sera. Stimo che sia di almeno 7-8 metri, forse anche di più. Basta non pinneggiare verso il fondo per evitare di alzare nuvole di fango e si riesce a vedere un bel tratto del relitto. Una cosa piuttosto rara nelle basse acque dell’Adriatico.

Con la torcia illumino alcuni grossi scorfani che stanno appoggiati immobili sulle lamiere arrugginite e hanno preso il loro stesso colore.

Continuo a nuotare verso poppa lungo la murata di sinistra, ma a un tratto il relitto sparisce alla mia vista... La nave da diverso tempo si è spezzata in due tronconi e le mareggiate l’hanno fatta sprofondare quasi completamente nel fango. Ormai la murata in certi punti è poco più alta di un metro.

Seguendo le luci dei miei compagni d’immersione, che conoscono questo "ferro" molto meglio di me, trovo il troncone di poppa del relitto, quello nel quale una volta c’erano il cassero con la timoneria e le cabine dell’equipaggio. Ormai le lamiere della nave sono completamente collassate e, nonostante la buona visibilità, è impensabile penetrare nel relitto come in passato ho fatto tante volte. Pezzi di lamiera pendono dal soffitto come lame affilate, e numerosi cavi di gomma che ondeggiano nella leggera corrente consigliano di stare ben alla larga da quei locali ormai pieni di uno spesso strato di limo.

Dopo i tuffi tra i 60 e i 70 metri di ottobre in Sardegna il Dive Log del mio computer registra il tuffo a 14 metri su relitto della "Nicole"


 

Il mio computer riporta il classico profilo "a dente di sega"... ma immergendosi sulla m/n "Nicole" non si può fare diversamente.

 

Un grappolo  di minuscole flabelline.

Continuo a scrutare gli angoli più nascosti del relitto puntando la mia torcia in cerca di vita. All’interno di un tubo scorgo la coda di un grosso grongo. Vado dall’altra parte del tubo per osservarne il muso. Chissà se è il solito grongo che vive qui da diversi anni e che ho visto altre volte? Davanti al muso del grosso pesce nuota una miriade di piccolo gamberetti rossi, e i loro occhietti illuminati dalla mia potente torcia brillano come piccoli tizzoni ardenti.

Il tempo scorre lentamente. Sono in acqua da una ventina di minuti e do un’occhiata al manometro. Ho sulle spalle solo una piccola bombola da 10 litri e anche se sono a bassa profondità e non dovrò fare decompressione devo preoccuparmi della mia scorta di gas.  Devo cercare di respirare in maniera lenta e regolare per risparmiare aria, e confesso che abituato al rebreather con il quale il consumo del gas è l’ultimo dei problemi, ci metto un po’ a riadattarmi alla respirazione in circuito aperto.
Scavalco il relitto e mi trovo lungo la murata di dritta. Finalmente vedo un po’ di pesce interessante. Prima una coppia di piccole corvine, poi una di una cinquantina di centimetri davvero bella.

La corvina è uno dei pesci che preferisco. Bella, elegante, con il corpo allungato compresso ai fianchi, con la testa a punta e la fronte alta. Il suo colore è inconfondibile: il corpo è bruno dorato con riflessi argentei, le pinne inferiori sono nere con il bordo anteriore bianco, mentre la pinna caudale e la pinna dorsale doppia sono tendenti al giallo.

Appoggiati sul camminatoio laterale della coperta vedo parecchi scorfani, perfettamente mimetizzati. Nell’acqua libera nuotano saraghi e occhiate e un’infinità di piccoli pesci che sono attirati dal fascio di luce della mia torcia.

Vista la buona visibilità, che permette di vedere facilmente le luci di ciascuno di noi, nuotiamo ciascuno per conto proprio, tralasciando il “sistema di coppia” che in acque più profonde sarebbe sempre necessario. Qui la massima profondità non arriva a 15 metri e in caso di necessità una risalita in superficie può avvenire in ogni momento.

Continuo la mia immersione godendomene ogni momento Finalmente dopo tanto tempo ho ritrovato la pace e la serenità che provo solamente stando sott’acqua. Vengo da un periodo piuttosto difficile che ormai dura da diversi mesi, e questo mi fa apprezzare ancora di più questa immersione notturna in solitario.

Nuotando lentamente arrivo al punto dal quale siamo partiti, e mi “tuffo” oltre la prua per vedere il possente tagliamare da davanti. La prua è forse il punto più bello di ciò che rimane della "Nicole". Si vedono bene le ancore, la catena che esce dall’occhio di cubia, il grande argano salpa ancore e le grandi bitte alle quali sono assicurate con delle catene le boe che indicano il relitto in superficie.

Ovviamente dopo l'immersione si cena con gli amici.

Una piadina farcita e una birra sono meglio di niente.

Resto ancora per qualche minuto ad indugiare sopra la prua, il tempo di ammirare un’alga alla quale sono aggrappate decine di minuscole flabelline, un  nudibranco dallo sgargiante colore violetto lungo un paio di centimetri.

Sono trascorsi una quarantina di minuti, un tempo ragionevole per la mia prima immersione dell’anno con una piccola bombola da 10 litri sulle spalle e senza nessun allenamento. Vedo che anche i miei compagni stanno risalendo.

Risalgo lentamente dai 10 metri fino a 3 e mi sforzo di rimanere in assetto orizzontale come se dovessi fare la sosta di decompressione, ma ovviamente non ce né alcun bisogno. E’ la prima immersione in curva NDL che faccio dopo oltre un anno. Fare un po’ di esercizio è comunque sempre utile.

Riemergo dopo 43 minuti. Ormai è buio, ma s’intravede ancora un certo chiarore rossastro dietro al profilo scuro del Monte Conero. Paolo mi prende le pinne che gli porgo con una mano ed io risalgo dalla scaletta. Ad uno ad uno saliamo tutti in barca con le tipiche facce soddisfatte del dopo immersione. Acqua piuttosto chiara, un sacco di pesce, consumi regolari. E’ stato un bel tuffo e siamo tutti soddisfatti. Adesso si andrà insieme a cenare da qualche parte.
In pochi minuti di navigazione siamo di nuovo al porto. Risciacquiamo l’attrezzatura in banchina, facciamo una rapida doccia e poi andiamo al diving per scaricare le bombole e recuperare le nostre macchine.
Poi finalmente alle 23:30 siamo tutti seduti a tavola. Le pizzerie della zona ormai hanno chiuso la cucina, ma riusciamo a trovare un locale vicino al diving dove fanno delle ottime piadine farcite. Con una buona birra rossa ghiacciata è proprio quello che ci vuole.
Restiamo a tavola per un’oretta a chiacchierare, poi ognuno torna a casa sua, soddisfatto della bella serata trascorsa al mare.
Ormai ho ripreso il via. Non passeranno altri mesi prima che io torni in acqua, ne sono sicuro. Che sia nel bellissimo Tirreno o nella pozzanghera Adriatico, l’importante è che il mio digiuno di azoto sia terminato.
T
o be continued…

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