LA "MALEDIZIONE DELLA HAVEN"...

 

di Marcello Polacchini

   «Luglio 2018: ancora una vittima sul relitto della Haven»

Il relitto della petroliera Haven, che si trova adagiato su un fondale di 80 metri al largo di Arenzano, poco distante dal Porto Petroli di Genova Multedo, è tornato a far parlare tristemente di se.

Il "relitto maledetto" – come lo chiamano i giornalisti –ai primi di luglio ha restituito il corpo senza vita di una subacquea piemontese che era stata data per dispersa per due giorni dopo un’immersione sul famoso relitto.

Quando leggo queste notizie provo una profonda tristezza. Com’è possibile – mi domando – che il relitto che io amo di più faccia così tante vittime?

I giornali e le televisioni, come ormai è loro abitudine, parlano della "maledizione della Haven", abbondano i titoli ad effetto e ancora una volta si paventa la chiusura del relitto ad ogni tipo di immersioni.

E’ pur vero che dal 1991, anno dell’affondamento della petroliera, si sono contati in tutto tredici subacquei morti, e che il numero delle vittime è salito in maniera significativa e preoccupante negli ultimi anni. Infatti, dal 2015 sono morti sei subacquei mentre visitavano il relitto della Haven e altri sette sono stati colti da malore e sono stati tratti in salvo. Numeri che fanno riflettere e che costringono a chiedersi se questo sia un sito d'immersione sicuro.

Ogni volta che si verifica un incidente i titoli ad effetto dei giornali e dei media si sprecano...

Nonostante il desiderio della comunità subacquea di fare chiarezza, le cause e la dinamica dei vari incidenti purtroppo non sono mai del tutto chiare. Con il passare del tempo su ogni singolo incidente scende un velo di silenzio e si finisce per dimenticarlo. I risultati delle inchieste non vengono resi noti e molto spesso gli incidenti subacquei vengono archiviati con la generica frase "malore improvviso". Purtroppo le testimonianze di chi era presente sul fatto non sono quasi mai in grado di fornire dettagli in grado di chiarire in maniera assoluta l’esatta dinamica dell’incidente e anche le risultanze delle perizie, dell’esame dell’attrezzatura posta sotto sequestro e gli esiti dell’eventuale esame autoptico vengono tenute riservate, dapprima coperte dal segreto istruttorio e poi da un silenzio che non contribuisce certo a far luce sulla vicenda fornendo elementi utili per coloro i quali in futuro volessero cimentarsi in questa immersione.

Qualcosa però alla fine si è saputo, ad esempio che alcuni degli incidenti non c’entrano nulla con l’attività subacquea in sé, ma sono avvenuti per problemi di salute preesistenti nelle vittime.

Le statistiche sugli incidenti in mare, in generale, dicono che la metà sono di natura cardiovascolare. Il freddo, lo sforzo fisico e aritmie indotte dal "diving reflex" (1) possono concorrere a mandare in crisi un cuore non sano.

La morte di un subacqueo però fa sempre notizia… specialmente sui media, perchè il "terrore", che si tratti di una sciagura in montagna o di un’immersione subacquea, fa audience e aiuta a vendere più copie dei giornali.
La nuda cronaca riporta che il 5 aprile 2015 morì uno svizzero di 35 anni.
Il 16 maggio dello stesso anno, invece, persero la vita due olandesi di 46 e 53 anni che utilizzavano un rebreather, ma poi si scoprì che praticamente i due non si erano neanche immersi: forse erano scesi appena di un paio di metri ed è molto strana la stessa dinamica contemporanea per entrambi.
Il 16 ottobre del 2015 l’immersione sulla Haven fu fatale a un sub tedesco di 60 anni. Il 13 maggio del 2017 morì una guida subacquea svizzera, mentre il 26 ottobre dello stesso anno è toccato ad un lombardo di 52 anni che stava semplicemente nuotando per recuperare una pinna prima di immergersi.

Infine, il 7 luglio 2018 è morta la subacquea piemontese di 50 anni.

Ma è davvero "maledetta" questa nave? Secondo me non esiste assolutamente una "maledizione della Haven". Esiste solamente per i giornali, che hanno bisogno di titoli ad effetto per attirare più lettori. In realtà la Haven non è altro che uno dei tanti relitti visitabili oltre i 50-60 metri di profondità che si trovano disseminati per il Mediterraneo, solo che essendo il più grande e il più famoso attira ogni anno centinaia di subacquei di ogni livello, provenienti da ogni parte d’Europa e i rari incidenti che si verificano in questo sito d'immersione fanno inevitabilmente notizia.

A mio avviso parlare di chiusura della Haven ad ogni tipo di immersioni non mi sembra una cosa ragionevole. Da istruttore, amante del mare e delle immersioni sui relitti trovo assurdo chiudere un sito d’immersione perché qualcuno ci è morto. Sarebbe come pensare di chiudere il Cervino o il Monte Bianco o l’Everest perché è morto un alpinista. È una cosa assolutamente inutile.
Oltretutto esistono già delle regole precise e abbastanza stringenti per le immersioni su questo relitto
(2), basta rispettarle e usare il buon senso.

Piuttosto, date le caratteristiche dell’immersione e il verificarsi di parecchi incidenti dovuti a problemi di salute indipendenti dall’attività subacquea, per limitare il numero di incidenti sarebbe utile che prima di accompagnare i subacquei sulla Haven i diving verificassero il possesso di un certificato medico aggiornato che attesti l'idoneità all'immersione.

In effetti, quello del controllo sanitario periodico è un problema di carattere più generale della subacquea: sono almeno trent’anni che giacciono in Parlamento varie proposte per una legge quadro sulla subacquea che obblighi, tre le altre cose, a controlli medici da parte di specialisti qualificati, ma tali proposte non sono mai arrivate a buon fine.

Il controllo sanitario è indispensabile, però non è sufficiente: occorrono anche una seria preparazione tecnica, la consapevolezza di ciò che si sta facendo, una discreta forma fisica e soprattutto una buona dose di buon senso.

Il relitto della petroliera Haven è molto grande, semplice e difficile allo stesso tempo. Molte volte questa immersione viene affrontata con superficialità e senza l’adeguata preparazione tecnica. Ho visto spesso con i miei occhi subacquei scendere sul relitto indossando solo un monobombola da 15 litri. Magari erano sub in possesso del brevetto Deep (che abilita ad immersioni fino a 40 metri) e volevano limitarsi a visitare il ponte del comandante che si trova appena sotto il ponte di comando a meno di 40 metri. A quella profondità siamo ancora nell’ambito della cosiddetta "immersione ricreativa" (pur con decompressione), ma occorre considerare che una bombola da 15 litri anche se caricata a 230 bar contiene meno di 3.500 litri di aria, che danno un’autonomia di 40-50 minuti: troppo pochi per affrontare in sicurezza un’immersione su questo relitto che richiede sempre almeno qualche minuto di decompressione da fare in mare aperto.
La frase "io consumo poco", che spesso si sente ripetere, è stupida e denota una grande superficialità e sottovalutazione dei rischi che si corrono. Qualunque imprevisto può portare il subacqueo ad un maggiore consumo di aria e il malfunzionamento del sistema scuba con un monobombola (magari addirittura con un octopus!) può essere fatale. E poi, specialmente quando l’acqua è limpida, la tentazione di molti subacquei brevettati "Deep" di scendere un attimo a "toccare la coperta" è grande… dimenticando che questa si trova a 55 metri di profondità e che laggiù la scorta d'aria se ne va in un soffio.

Ho visto tanti subacquei a fine immersione stare aggrappati alla cima di risalita e respirare l’aria dal proprio compagno, mentre erano sballottati dalle onde…

La mancata programmazione sia dei tempi che delle riserve d’aria possono creare problemi seri. Anche la narcosi d’azoto non va sottovalutata quando si scende a certe profondità. Respirando aria ad elevata pressione ambiente la pressione parziale dell’azoto ha sempre un effetto narcotico e non esiste un subacqueo che sia immune da questo effetto. I riflessi si allentano, la mente si annebbia, e proprio quando non si è sufficientemente lucidi per intervenire in caso di un’emergenza può avvenire l’incidente. La frase "io sopporto bene la narcosi, ci sono abituato" è un'altra delle sciocchezze che si sentono spesso affermare girando per i diving.
Secondo me non serve imporre regole ancora più restrittive di quelle già emanate(2) dalla Capitaneria di Porto di Genova per le immersioni sulla Haven. Mettere vincoli e regole ancora più stringenti per immergersi su questo sito potrà forse limitare il numero dei subacquei che vi si immergono (e di conseguenza ridurre il numero degli incidenti), ma non risolverà il problema alla radice. Per farlo bisogna soltanto che ciascun subacqueo impari a farsi un onesto esame di coscienza e che capisca quando non è il caso di "osare" di più.

Scarsa preparazione tecnica, scarso e sporadico allenamento, sistema di coppia non efficace, superficialità, scarsa se non nulla pianificazione, mancanza di controlli medici specialistici periodici, sopravvalutazione delle proprie capacità e condizioni fisiche, attrezzatura inadeguata, sottovalutazione dei rischi, incapacità di gestire un’emergenza....  sono davvero tante le possibili cause di un incidente in un’immersione profonda come quella sul relitto della Haven.
Per limitare gli incidenti sarebbe utile avere dei dati precisi sugli eventi verificatisi, frutto di uno studio organico e scientifico che analizzi tutte le loro cause: dalle componenti umane a quelle tecniche, dalla situazione ambientale alle attività che sono state svolte dai sub, dalle strategie che ogni subacqueo ha attivato alla gestione dei fattori di prevenzione e di gestione di incognite e pericoli, fino all’interazione delle modalità comportamentali che sono state realizzate nel contesto specifico. Questa analisi è sicuramente complessa, ma nell'ambito aereonautico viene fatta da molti anni, con risultati significativi in termini di prevenzione degli incidenti.
Mi rendo conto però che fare un'analisi di questo tipo nell’ambito delle immersioni sportive (dove tra l'altro non esiste una "scatola nera", ma l'unico strumento di rilevazione dei dati è il computer del subacqueo) può risultare più complicato che in ambito aereonautico. Sono tante... troppe le cause e le concause scatenanti un incidente subacqueo. E più facile parlare di "fatalità" o di un generico "malore" come fanno i giornalisti.

Fatte tutte queste considerazioni sulle cause degli incidenti, è evidente però che – a parte fattori imponderabili – la principale regola, che è quella del "buon senso", viene troppe volte disattesa. Questa regola andrebbe osservata sempre, specialmente quando si tratta di immergersi su un relitto profondo come la Haven, magari penetrandovi all’interno. Immergersi sul relitto della Haven non è semplicissimo.

Bisogna avere la necessaria preparazione tecnica e una buona dimestichezza con immersioni che comportano una lunga decompressione nel blu. Certo, il possesso di un adeguato brevetto "tecnico" che abiliti all’uso del Trimix sicuramente aiuta, ma oltre a ciò è necessario un costante allenamento e soprattutto la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti.

Soltanto così la "maledizione della Haven" può essere scongiurata e si può godere dell’immersione sul più grande e affascinante relitto del Mediterraneo, un’immersione che regala sempre grandi emozioni.

 

 

 

NOTE

 

(1) Il "diving reflex" (riflesso di immersione o diving response) è un insieme di reazioni a carico del sistema cardiovascolare e respiratorio che hanno luogo in tutti i mammiferi, soprattutto marini, al momento dell'immersione del volto nell'acqua e che sono finalizzate alla riduzione del consumo di ossigeno dell'organismo.

Tali reazioni sono: riduzione del battito cardiaco fino al 50% del valore normale; vasocostrizione periferica e concentrazione del sangue in alcuni organi, principalmente cuore e cervello; aumento medio della pressione arteriosa.

La rapidità e intensità del riflesso è inversamente proporzionale alla temperatura dell'acqua: più questa è fredda, più le reazioni sono forti. In caso di immersione in profondità ha luogo un ulteriore effetto detto "scostamento ematico": il sangue viene richiamato all'interno dei polmoni, per compensare l'aumento della pressione esterna e impedirne il collasso.

(2) La Capitaneria di Porto di Genova con l’ordinanza n. 305/99 in data 28 settembre 1999 ha dettato delle regole precise per immergersi sull’Haven. In particolare l’art. 2 prevede che l’effettuazione di attività subacquee sul relitto della Haven deve essere svolta in conformità delle seguenti prescrizioni:

- scrupolosa osservanza delle disposizioni di sicurezza di cui all'ordinanza n. 18/99 in data 16 febbraio 1999;

-soltanto con immersioni guidate con accompagnatore e supporto di unità navali di appoggio (n.d.A. di fatto la guida è responsabile sia penalmente che civilmente delle persone che accompagna, ed è riconosciuta come guida un subacqueo che abbia un brevetto da Divemaster o equivalenti, o Istruttore);

- a modifica dell’art. A-4 dell'ordinanza n. 18/99, con accompagnamento in immersione di non più di tre subacquei simultaneamente;

- con attività di immersioni guidate riservate ad imprese ed associazioni che prevedano  espressamente tali attività nella loro "ragione sociale" ovvero nel loro statuto.

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