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Maggio 2006. Sto trascorrendo un bel weekend di immersioni
in Toscana, all’Argentario. La domenica mattina decidiamo di immergerci sulla
bellissima secca di Capo d’Uomo. Siamo appena in 6 subacquei. La mia
compagna d’immersione (Angela, mia moglie) è rimasta a terra
all’ultimo momento, perché ha detto di non aver ancora digerito bene
l’abbondante cena di pesce della sera precedente e preferisce
aspettarmi al diving. Poco dopo, arriviamo con il nostro gommone sulla secca e la guida s’immerge con
4 sub AOWD per fare un giretto sui 30 metri di profondità, dove ci
sono le gorgonie rosse da vedere. Io dovrei chiudere il gruppo (sono anch’io guida
subacquea e conosco molto bene quelle acque), ma, in realtà, dato che è il
mio ultimo tuffo prima della partenza, preferisco fare la mia
immersione da solo, stando vicino al gruppo, senza però avere un mio
compagno.
Dopo appena 5 minuti di immersione, mentre mi trovo a
circa 35 metri e sto ammirando degli splendidi rami di gorgonie,
sono colto da quelli che penso essere i sintomi di un’improvvisa e potente narcosi d’azoto,
probabilmente causata dal freddo (ci sono appena 12 C°) e dalla non
perfetta digestione della cena della sera precedente. In quel
momento la guida con il suo gruppo è 7-8 metri più sopra di me e,
ovviamente, non si accorge di nulla. In un
attimo mi trovo a scivolare rapidamente sul fondo (che, per fortuna, in quel
punto è a solo... 45 metri), e, quasi senza rendermene conto, mi
ritrovo inginocchiato sulla sabbia, a vomitare.
Da quel momento si
innesca una sequenza di errori, dovuti alla mia perdita di lucidità.
Sgonfio completamente il gav e cerco invano di risalire. Dato
che non ci riesco, continuo disperatamente a sgonfiare il gav...
convinto di gonfiarlo. Ormai sicuro che il vis non funzioni, libero
dall’elastico di ritenzione il corrugato del secondo sacco del mio
gav e provo insistentemente a gonfiarlo, premendo... il pulsante di
sgonfiaggio! Ovviamente, non mi stacco dal fondo nemmeno di un
centimetro e comincia a
prendermi un senso di angoscia che mi rende difficile la
respirazione. Il mio desiderio di risalire rapidamente in superficie
comincia a diventare irrefrenabile. L’ansia iniziale sta rapidamente
trasformandosi in panico: mi trovo da solo sul fondo del mare a 45
metri e non capisco assolutamente perché non riesco a sollevarmi con
l’aiuto del gav. Sono irrazionalmente convinto che entrambi i
comandi vis
del mio jacket si siano rotti e, data la mia agitazione, non sono
in grado di sollevarmi dosando l’aria nei miei polmoni. Non mi passa
neppure per la testa di provare a gonfiare il gav a bocca! I pensieri
si accavallano nella mia mente, mentre mi dico che “devo
assolutamente risalire subito!”. Allora comincio a pinneggiare come
un forsennato e, issandomi a forza di braccia sulla parete della
secca, riesco faticosamente ad arrivare sino a 35 metri. Ovviamente,
sono in completo affanno e quasi allo stremo delle forze.
Fortunatamente, arrivato a quella quota, la guida - che non si è
nemmeno accorta che io sono sparito e che staziona con il suo gruppo intorno
ai 30 metri - vede i lampi della mia strobo (che fortunatamente tengo sempre accesa
anche di giorno) e si rende conto che sono in difficoltà perché mi
muovo molto scompostamente. Perciò, lascia immediatamente il suo
gruppo e mi raggiunge poco più sotto di lui. Afferra il mio gav e
cerca di capire che cosa può essermi accaduto. Io, di fronte a lui,
con gli occhi sbarrati e quasi incapace di respirare, riesco solo a
spiegargli a gesti che… il mio gav non si gonfia! Dopodiché, riesco
con grande fatica a togliermi la cintura con 6 kg di zavorra che,
essendo posizionata per errore sotto l’imbracatura del mio gav,
ovviamente non si sgancia facilmente. Così, mentre il mio compagno
mi sostiene afferrandomi per gli spallacci, per evitare che
precipiti di nuovo (preso dall’agitazione di vedermi così in
difficoltà, non prova nemmeno a gonfiare il mio gav!!), io, sempre
più in affanno e ormai
allo stremo delle forze, riesco finalmente a sganciare i fastex
dell’imbraco del mio gav e a passargli la mia cintura di zavorra.
A quel punto,
per un attimo, si crea persino una situazione comica, perchè con la
mia cintura penzolante dalla mano destra, il mio soccorritore mi fa
segno se voglio davvero che la lasci cadere a fondo... Gli faccio segno
disperatamente di sì con la testa, e lui molla la mia cintura.
Immediatamente cominciamo letteralmente a volare verso la superficie,
alla velocità di 25 metri al minuto! Nel frattempo, passati i
sintomi della narcosi, riprendo rapidamente il controllo della mia
respirazione e, soprattutto, della situazione. Sempre aggrappati
agli spallacci dei rispettivi gav, ci mettiamo nella posizione
allargata dei paracadutisti per frenare almeno un pò la risalita incontrollata e,
quasi per miracolo, ci fermiamo a circa 6 metri di profondità.
Sospesi a mezz’acqua, con assetto decisamente positivo, riusciamo
fortunatamente a sostare per circa un minuto e mezzo, mentre la mia
respirazione è ritornata finalmente regolare. Dopodiché, riemergiamo
in superficie tra lo stupore generale di chi è rimasto sul
gommone ancorato sulla secca.
La mia immersione dura in tutto 11
minuti, ma gli ultimi 4 minuti di risalita non li scorderò per tutta
la mia vita! Arrivato sul gommone mi sento davvero stanco.
Una grande spossatezza e un certo stordimento alla testa.
Rifiuto l’ossigeno offertomi dalla guida e mi bevo una bottiglia di
acqua. Poi mi distendo all’ombra sul fondo del gommone, aspettando
che riemergano anche gli altri quattro subacquei, che non si sono
accorti di nulla.
Una volta arrivato a terra, non faccio nessuno
sforzo e attendo che Angela (preavvertita telefonicamente dal
gommone), sciacqui e riponga tutta la mia attrezzatura, carichi i
bagagli sulla macchina e mi riporti a casa.
Durante il viaggio di
ritorno verso casa, durato circa quattro ore, ho sonnecchiato per tutto il tempo e
la notte ho dormito come un sasso. Non
essendomi eccessivamente saturato, data la brevità della mia
sfortunata immersione, ho accusato soltanto una gran spossatezza,
che è durata sino al giorno dopo, ma nessun altro sintomo di MDD.
Perciò direi che, tutto sommato, mi è andata molto bene e che è andata bene
anche al mio soccorritore, che ha rischiato di fare una pallonata da 35
metri assieme a me.
Tranquilli prima
dell'immersione... |
La partenza per
l'immersione. |
Un saluto alla mia buddy
rimasta a terra.
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Cerchiamo adesso di tirare delle
conclusioni da questa vicenda, dato che dagli errori si impara
sicuramente qualcosa. Infatti, noi possiamo essere andati in acqua
centinaia di volte, ma se non ci è mai successo nulla, nemmeno un
piccolissimo inconveniente, non possiamo essere davvero preparati ad
affrontare emergenze e problemi seri.
Sicuramente questa esperienza
mi è servita a qualcosa. Però mi sono anche chiesto: se il mattino
sulla barca mi sentivo bene e se il freddo mi ha bloccato la
digestione a 35 metri, facilitando l’insorgere della narcosi e
facendomi vomitare, obiettivamente, come potevo evitare di trovarmi
in quella brutta situazione? L’unica cosa che ora so che non avrei
mai dovuto fare, è stata quella di nuotare da solo una decina di metri più sotto della
guida. Però lui, conoscendomi bene, non si è affatto stupito o
preoccupato del fatto che io andassi verso la base della secca dove
c’erano le gorgonie più belle da vedere, mentre lui conduceva il suo
gruppo intorno alla secca. So perfettamente che fare il “solo diver” non è previsto da
nessuna didattica subacquea e che non è prudente, ma, forse, Io ho
sopravvalutato le mie capacità. Nel 2003 ho frequentato un
corso di speleosubacquea: in questa disciplina non esiste il "sistema di
coppia" e si deve riuscire a cavarsela da soli in ogni situazione
d’emergenza, dato che, in un ambiente ostruito e spesso angusto, non si può certo
contare sull’aiuto del proprio buddy. Inoltre mi sono fidato troppo della mia attrezzatura ridondante,
che conosco alla perfezione (gav "tecnico" con doppio sacco ed erogatori con
doppio primo stadio DIN).
Penso che il mio problema sia stato causato da un
attacco improvviso di narcosi d’azoto, innescato dal freddo e
soprattutto dalla
cattiva digestione, fattori che mi hanno portato alla pressoché
immediata perdita di lucidità. Ora, è chiaro che, per riconoscerla,
la narcosi bisogna almeno averla provata qualche volta. Ma la sua
intensità e le sue conseguenze sono assolutamente variabili e
imprevedibili (può determinare euforia, senso di angoscia, perdita di lucidità,
prostrazione, confusione mentale, ecc.) e non si sa a priori che
cosa ti prenderà. Perciò, sono giunto alla conclusione che quella
volta io dovevo solamente stare molto più vicino alla guida, anche
se non era il mio compagno d'immersione. Questo, probabilmente, gli avrebbe permesso di accorgersi dall’inizio delle mie difficoltà, appena ho
cominciato a sentirmi male e a vomitare, impedendomi di precipitare da solo sul
fondo. Non avrei certo potuto evitare di sentirmi male sott’acqua,
ma, quasi sicuramente, stando più vicini, le conseguenze del mio
malessere sarebbero state minori e non si sarebbe innescata quella
catena di errori che hanno rischiato di costarmi davvero cari.
Un’altra cosa che a distanza di tempo ho capito, è che, una volta
tornato in barca, sarebbe stato meglio se avessi
attivato la procedura di primo soccorso
con somministrazione di ossigeno. Invece, un po’ per vergogna
(....già!), un po’ per leggerezza, l’ho rifiutato e mi sono
limitato a bere parecchia acqua per reidratarmi e a non fare più alcuno sforzo per
diverse ore.
Oggi
sono perfettamente consapevole di essere stato davvero fortunato,
per il fatto che non mi sia capitato nulla e che non si siano
manifestati sintomi di MDD. Probabilmente, se avessi rispettato il
sistema di coppia, tutti gli altri problemi ed errori li avrei
evitati, grazie all’intervento tempestivo del mio compagno. La
presenza del compagno, infatti, determina una situazione di doppio
controllo delle varie fasi dell’attività subacquea, a tutto
vantaggio della tranquillità e della sicurezza dell’immersione.
Affidarsi solo a se stessi e pensare che “a me non capiterà mai
nulla e, in ogni caso, so come affrontare il problema...” non è
sicuramente la cosa giusta. Come ho imparato sulla mia pelle, un
malore o un imprevisto può sorprenderti sempre, che tu sia un
espertissimo subacqueo o un principiante.
Mi sono
anche reso conto dell’importanza dell’addestramento tecnico e degli
esercizi ripetuti in acqua nel corso degli anni. Se non fossi stato
opportunamente preparato e addestrato non avrei certamente pensato
al rischio di MDD e non sarei riuscito a frenare la mia risalita
incontrollata in superficie. Inoltre, non sarei riuscito ad effettuare una breve
sosta di sicurezza a mezz’acqua in assetto completamente positivo,
regolandomi solo con il mio respiro e questo avrebbe senz’altro
agevolato l’insorgere dei sintomi di MDD. E’ pur vero che le
situazioni reali sono differenti dalla teoria e dagli esercizi fatti
in piscina, ma questi sono sempre importantissimi, perché grazie
alla nostra preparazione, all’esperienza e alla pratica, certi gesti
diventano automatici e possono fare uscire da situazioni
potenzialmente molto pericolose. Infatti, una volta raggiunto il mio
compagno a 35 metri di profondità, ho applicato inconsciamente
un’altro insegnamento che viene ripetuto fin dal corso OWD: il
famoso “fermati
- pensa - respira - agisci”. Solo facendo questo, ho potuto
riprendere il controllo, recuperare la situazione ed evitare
conseguenze peggiori.
Ho anche appreso e sperimentato
personalmente qualcosa in più sulla narcosi d’azoto, un fenomeno
subdolo e non ancora del tutto chiaro scientificamente.
Avevo letto e sentito dire da più parti
che, con l’esperienza, si impara ad avvertire i primi sintomi della
narcosi che sta arrivando e si riesce a contrastarli. Sapevo che, risalendo di qualche
metro, i sintomi passano rapidamente. In effetti, è vero: io sono
risalito di una decina di metri a forza di pinne e braccia e la
narcosi è sparita, ma l’affanno e la fatica sono stati enormi e mi sono
trovato in una situazione di panico (mai provata prima), che sono
riuscito a controllare solo con la forza della disperazione e con
tanta determinazione. Inoltre, una volta raggiunto dal mio
soccorritore, ho dovuto cercare di gestire io la sua evidente paura,
rassicurandolo sulle mie condizioni e, subito dopo, ho dovuto
gestire la nuova emergenza che ha messo in pericolo anche lui.
Abbiamo rischiato entrambi una pallonata tremenda in pochi secondi
in assetto completamente positivo, dopo avere fatto un’immersione
profonda. Un errore iniziale ha scatenato una sequenza di emergenze
che, per mia fortuna, si sono risolte positivamente. Ripensando a questa esperienza a distanza di tempo, mi sono reso
conto che evidentemente avevo imparato qualcosa nei vari corsi di
brevetto e nelle centinaia di immersioni fatte in precedenza e
questo ha fatto sì che scattassero in me degli automatismi sino ad
allora sconosciuti che mi hanno salvato la pelle.
In
definitiva, sono tante le cose che ho imparato da questa brutta
esperienza. Innanzitutto, che non c’è nessuno che non sbaglia mai e
che non bisogna mai sopravvalutare le proprie capacità, nemmeno se
si hanno moltissime immersioni alle spalle. Inoltre, ho
capito che, anche quando ci si sente “sicuri”, non bisogna mai
abbassare la guardia, perchè la narcosi ti può prendere in un attimo
e, anche se ti conosci bene, non sei mai certo di quali effetti
potrà avere su di te. Se invece che a 45 metri il fondo lì fosse
stato a 60 o 70 metri, come poco più al largo di quella secca, non
ce l’avrei fatta a risalire… e di questo ne sono assolutamente
consapevole!
Ma,
forse, la cosa più importante che ho imparato da questa vicenda, è
che quello che ti insegnano nel corso AOWD – cioè che “il subacqueo
esperto e maturo è quello che sa rinunciare ad un’immersione” – è
assolutamente vero! Se non si è perfettamente a posto
fisicamente e mentalmente bisogna sempre saper rinunciare
all’immersione, anche se l’andare sott’acqua è la cosa più bella che
ci sia e per farlo magari abbiamo dovuto fare un lunghissimo
viaggio. La pelle vale molto di più di qualsiasi immersione!
Spero sinceramente che questa mia esperienza possa servire a
qualcuno... così come è servita a me.
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