incidente subacqueo sfiorato... secca dI capo d'uomo - Argentario (gr)

7 Maggio 2006

Quanti errori commettiamo immergendoci, convinti che “tanto a me non capiterà mai niente”…  Nel maggio del 2006 mi è capitata una brutta avventura subacquea, che ha rischiato di trasformarsi davvero in un grave incidente. Ho raccontato questa storia anche in alcuni forum di subacquea e ho ricevuto tante critiche per il mio comportamento, ma anche apprezzamenti per il fatto di essermi messo in discussione pubblicamente. Gli apprezzamenti non mi interessano. Le critiche, invece, mi sono servite per rianalizzare serenamente a mente fredda quanto mi è accaduto, per comprendere bene i miei errori e metterli tutti in fila e, soprattutto, per trarre un insegnamento da ciò che mi è capitato e che fortunatamente si è risolto senza conseguenze.

Adesso, vorrei condividere questa mia esperienza con tutti i visitatori del mio sito, perchè ormai ho la piena consapevolezza del fatto che quella volta “mi è andata bene” e che, davvero, “poteva capitarmi il peggio”. Inoltre, leggere questa mia storia può servire a far sì che ogni subacqueo rifletta su quello che è accaduto a me, per evitare di commettere degli errori simili ai miei.

Prima di raccontare la mia brutta avventura, premetto - per chi non mi conosce - che ho una certa “dimestichezza” con il mare, sia sopra l’acqua (dato che ho navigato in barca a vela per una ventina di anni, anche a livello professionistico), sia sotto… infatti, mi immergo dal 1995 e ho accumulato diverse  centinaia di immersioni, molte delle quali a profondità molto superiori a i fatidici 40 metri (cioè il limite delle cd. "immersioni ricreative"). Però, come leggerete, tutto questo bagaglio di esperienza non mi ha impedito di trovarmi in una situazione davvero poco simpatica.

 

Ed ecco qui il racconto della mia brutta avventura…

 

7 Maggio 2006. Sto trascorrendo un bel weekend di immersioni in Toscana, all’Argentario. La domenica mattina decidiamo di immergerci sulla bellissima secca di Capo d’Uomo. Siamo appena in 6 subacquei. La mia compagna d’immersione (Angela, mia moglie) è rimasta a terra all’ultimo momento, perché ha detto di non aver ancora digerito bene l’abbondante cena di pesce della sera precedente e preferisce aspettarmi al diving. Poco dopo, arriviamo con il nostro gommone sulla secca e la guida s’immerge con 4 sub AOWD per fare un giretto sui 30 metri di profondità, dove ci sono le gorgonie rosse da vedere. Io dovrei chiudere il gruppo (sono anch’io guida subacquea e conosco molto bene quelle acque), ma, in realtà, dato che è il mio ultimo tuffo prima della partenza, preferisco fare la mia immersione da solo, stando vicino al gruppo, senza però avere un mio compagno.

Dopo appena 5 minuti di immersione, mentre mi trovo a circa 35 metri e sto ammirando degli splendidi rami di gorgonie, sono colto da quelli che penso essere i sintomi di un’improvvisa e potente narcosi d’azoto, probabilmente causata dal freddo (ci sono appena 12 C°) e dalla non perfetta digestione della cena della sera precedente. In quel momento la guida con il suo gruppo è 7-8 metri più sopra di me e, ovviamente, non si accorge di nulla. In un attimo mi trovo a scivolare rapidamente sul fondo (che, per fortuna, in quel punto è a solo... 45 metri), e, quasi senza rendermene conto, mi ritrovo inginocchiato sulla sabbia, a vomitare.

Da quel momento si innesca una sequenza di errori, dovuti alla mia perdita di lucidità. Sgonfio completamente il gav e cerco invano di risalire. Dato che non ci riesco, continuo disperatamente a sgonfiare il gav... convinto di gonfiarlo. Ormai sicuro che il vis non funzioni, libero dall’elastico di ritenzione il corrugato del secondo sacco del mio gav e provo insistentemente a gonfiarlo, premendo... il pulsante di sgonfiaggio! Ovviamente, non mi stacco dal fondo nemmeno di un centimetro e comincia a prendermi un senso di angoscia che mi rende difficile la respirazione. Il mio desiderio di risalire rapidamente in superficie comincia a diventare irrefrenabile. L’ansia iniziale sta rapidamente trasformandosi in panico: mi trovo da solo sul fondo del mare a 45 metri e non capisco assolutamente perché non riesco a sollevarmi con l’aiuto del gav. Sono irrazionalmente convinto che entrambi i comandi vis del mio jacket  si siano rotti e, data la mia agitazione, non sono in grado di sollevarmi dosando l’aria nei miei polmoni. Non mi passa neppure per la testa di provare a gonfiare il gav a bocca! I pensieri si accavallano nella mia mente, mentre mi dico che “devo assolutamente risalire subito!”. Allora comincio a pinneggiare come un forsennato e, issandomi a forza di braccia sulla parete della secca, riesco faticosamente ad arrivare sino a 35 metri. Ovviamente, sono in completo affanno e quasi allo stremo delle  forze.

Fortunatamente, arrivato a quella quota, la guida - che non si è nemmeno accorta che io sono sparito e che staziona con il suo gruppo intorno ai 30 metri - vede i lampi della mia strobo (che fortunatamente tengo sempre accesa anche di giorno) e si rende conto che sono in difficoltà perché mi muovo molto scompostamente. Perciò, lascia immediatamente il suo gruppo e mi raggiunge poco più sotto di lui. Afferra il mio gav e cerca di capire che cosa può essermi accaduto. Io, di fronte a lui, con gli occhi sbarrati e quasi incapace di respirare, riesco solo a spiegargli a gesti che… il mio gav non si gonfia! Dopodiché, riesco con grande fatica a togliermi la cintura con 6 kg di zavorra che, essendo posizionata per errore sotto l’imbracatura del mio gav, ovviamente non si sgancia facilmente. Così, mentre il mio compagno mi sostiene afferrandomi per gli spallacci, per evitare che precipiti di nuovo (preso dall’agitazione di vedermi così in difficoltà, non prova nemmeno a gonfiare il mio gav!!), io, sempre più in affanno e ormai allo stremo delle forze, riesco finalmente a sganciare i fastex dell’imbraco del mio gav e a passargli la mia cintura di zavorra.

A quel punto, per un attimo, si crea persino una situazione comica, perchè con la mia cintura penzolante dalla mano destra, il mio soccorritore mi fa segno se voglio davvero che la lasci cadere a fondo... Gli faccio segno disperatamente di sì con la testa, e lui molla la mia cintura. Immediatamente cominciamo letteralmente a volare verso la superficie, alla velocità di 25 metri al minuto! Nel frattempo, passati i sintomi della narcosi, riprendo rapidamente il controllo della mia respirazione e, soprattutto, della situazione. Sempre aggrappati agli spallacci dei rispettivi gav, ci mettiamo nella posizione allargata dei paracadutisti per frenare almeno un pò la risalita incontrollata e, quasi per miracolo, ci fermiamo a circa 6 metri di profondità. Sospesi a mezz’acqua, con assetto decisamente positivo, riusciamo fortunatamente a sostare per circa un minuto e mezzo, mentre la mia respirazione è ritornata finalmente regolare. Dopodiché, riemergiamo in superficie tra lo stupore generale di chi è rimasto sul gommone ancorato sulla secca.

La mia immersione dura in tutto 11 minuti, ma gli ultimi 4 minuti di risalita non li scorderò per tutta la mia vita! Arrivato sul gommone mi sento davvero stanco. Una grande spossatezza e un certo stordimento alla testa. Rifiuto l’ossigeno offertomi dalla guida e mi bevo una bottiglia di acqua. Poi mi distendo all’ombra sul fondo del gommone, aspettando che riemergano anche gli altri quattro subacquei, che non si sono accorti di nulla.

Una volta arrivato a terra, non faccio nessuno sforzo e attendo che Angela (preavvertita telefonicamente dal gommone), sciacqui e riponga tutta la mia attrezzatura, carichi i bagagli sulla macchina e mi riporti a casa.

Durante il viaggio di ritorno verso casa, durato circa quattro ore, ho sonnecchiato per tutto il tempo e la notte ho dormito come un sasso. Non essendomi eccessivamente saturato, data la brevità della mia sfortunata immersione, ho accusato soltanto una gran spossatezza, che è durata sino al giorno dopo, ma nessun altro sintomo di MDD. Perciò direi che, tutto sommato, mi è andata molto bene e che è andata bene anche al mio soccorritore, che ha rischiato di fare una pallonata da 35 metri assieme a me. 

Tranquilli prima dell'immersione...

La partenza per l'immersione.

 

Un saluto alla mia buddy rimasta a terra.

 

Cerchiamo adesso di tirare delle conclusioni da questa vicenda, dato che dagli errori si impara sicuramente qualcosa. Infatti, noi possiamo essere andati in acqua centinaia di volte, ma se non ci è mai successo nulla, nemmeno un piccolissimo inconveniente, non possiamo essere davvero preparati ad affrontare emergenze e problemi seri.

Sicuramente questa esperienza mi è servita a qualcosa. Però mi sono anche chiesto: se il mattino sulla barca mi sentivo bene e se il freddo mi ha bloccato la digestione a 35 metri, facilitando l’insorgere della narcosi e facendomi vomitare, obiettivamente, come potevo evitare di trovarmi in quella brutta situazione? L’unica cosa che ora so che non avrei mai dovuto fare, è stata quella di nuotare da solo una decina di metri più sotto della guida. Però lui, conoscendomi bene, non si è affatto stupito o preoccupato del fatto che io andassi verso la base della secca dove c’erano le gorgonie più belle da vedere, mentre lui conduceva il suo gruppo intorno alla secca. So perfettamente che fare il “solo diver” non è previsto da nessuna didattica subacquea e che non è prudente, ma, forse, Io ho sopravvalutato le mie capacità. Nel 2003 ho frequentato un corso di speleosubacquea: in questa disciplina non esiste il "sistema di coppia" e si deve riuscire a cavarsela da soli in ogni situazione d’emergenza, dato che, in un ambiente ostruito e spesso angusto, non si può certo contare sull’aiuto del proprio buddy. Inoltre mi sono fidato troppo della mia attrezzatura ridondante, che conosco alla perfezione (gav "tecnico" con doppio sacco ed erogatori con doppio primo stadio DIN).

Penso che il mio problema sia stato causato da un attacco improvviso di narcosi d’azoto, innescato dal freddo e soprattutto dalla cattiva digestione, fattori che mi hanno portato alla pressoché immediata perdita di lucidità. Ora, è chiaro che, per riconoscerla, la narcosi bisogna almeno averla provata qualche volta. Ma la sua intensità e le sue conseguenze sono assolutamente variabili e imprevedibili (può determinare euforia, senso di angoscia, perdita di lucidità, prostrazione, confusione mentale, ecc.) e non si sa a priori che cosa ti prenderà. Perciò, sono giunto alla conclusione che quella volta io dovevo solamente stare molto più vicino alla guida, anche se non era il mio compagno d'immersione. Questo, probabilmente, gli avrebbe permesso di accorgersi dall’inizio delle mie difficoltà, appena ho cominciato a sentirmi male e a vomitare, impedendomi di precipitare da solo sul fondo. Non avrei certo potuto evitare di sentirmi male sott’acqua, ma, quasi sicuramente, stando più vicini, le conseguenze del mio malessere sarebbero state minori e non si sarebbe innescata quella catena di errori che hanno rischiato di costarmi davvero cari.

Un’altra cosa che a distanza di tempo ho capito, è che, una volta tornato in barca, sarebbe stato meglio se avessi attivato la procedura di primo soccorso con somministrazione di ossigeno. Invece, un po’ per vergogna (....già!), un po’ per leggerezza, l’ho rifiutato e mi sono limitato a bere parecchia acqua per reidratarmi e a non fare più alcuno sforzo per diverse ore.

 

Oggi sono perfettamente consapevole di essere stato davvero fortunato, per il fatto che non mi sia capitato nulla e che non si siano manifestati sintomi di MDD. Probabilmente, se avessi rispettato il sistema di coppia, tutti gli altri problemi ed errori li avrei evitati, grazie all’intervento tempestivo del mio compagno. La presenza del compagno, infatti, determina una situazione di doppio controllo delle varie fasi dell’attività subacquea, a tutto vantaggio della tranquillità e della sicurezza dell’immersione. Affidarsi solo a se stessi e pensare che “a me non capiterà mai nulla e, in ogni caso, so come affrontare il problema...” non è sicuramente la cosa giusta. Come ho imparato sulla mia pelle, un malore o un imprevisto può sorprenderti sempre, che tu sia un espertissimo subacqueo o un principiante.

Mi sono anche reso conto dell’importanza dell’addestramento tecnico e degli esercizi ripetuti in acqua nel corso degli anni. Se non fossi stato opportunamente preparato e addestrato non avrei certamente pensato al rischio di MDD e non sarei riuscito a frenare la mia risalita incontrollata in superficie. Inoltre, non sarei riuscito ad effettuare una breve sosta di sicurezza a mezz’acqua in assetto completamente positivo, regolandomi solo con il mio respiro e questo avrebbe senz’altro agevolato l’insorgere dei sintomi di MDD. E’ pur vero che le situazioni reali sono differenti dalla teoria e dagli esercizi fatti in piscina, ma questi sono sempre importantissimi, perché grazie alla nostra preparazione, all’esperienza e alla pratica, certi gesti diventano automatici e possono fare uscire da situazioni potenzialmente molto pericolose. Infatti, una volta raggiunto il mio compagno a 35 metri di profondità, ho applicato inconsciamente un’altro insegnamento che viene ripetuto fin dal corso OWD: il famoso “fermati - pensa - respira - agisci”. Solo facendo questo, ho potuto riprendere il controllo, recuperare la situazione ed evitare conseguenze peggiori.

Ho anche appreso e sperimentato personalmente qualcosa in più sulla narcosi d’azoto, un fenomeno subdolo e non ancora del tutto chiaro scientificamente. Avevo letto e sentito dire da più parti che, con l’esperienza, si impara ad avvertire i primi sintomi della narcosi che sta arrivando e si riesce a contrastarli. Sapevo che, risalendo di qualche metro, i sintomi passano rapidamente. In effetti, è vero: io sono risalito di una decina di metri a forza di pinne e braccia e la narcosi è sparita, ma l’affanno e la fatica sono stati enormi e mi sono trovato in una situazione di panico (mai provata prima), che sono riuscito a controllare solo con la forza della disperazione e con tanta determinazione. Inoltre, una volta raggiunto dal mio soccorritore, ho dovuto cercare di gestire io la sua evidente paura, rassicurandolo sulle mie condizioni e, subito dopo, ho dovuto gestire la nuova emergenza che ha messo in pericolo anche lui. Abbiamo rischiato entrambi una pallonata tremenda in pochi secondi in assetto completamente positivo, dopo avere fatto un’immersione profonda. Un errore iniziale ha scatenato una sequenza di emergenze che, per mia fortuna, si sono risolte positivamente. Ripensando a questa esperienza a distanza di tempo, mi sono reso conto che evidentemente avevo imparato qualcosa nei vari corsi di brevetto e nelle centinaia di immersioni fatte in precedenza e questo ha fatto sì che scattassero in me degli automatismi sino ad allora sconosciuti che mi hanno salvato la pelle.

 

In definitiva, sono tante le cose che ho imparato da questa brutta esperienza. Innanzitutto, che non c’è nessuno che non sbaglia mai e che non bisogna mai sopravvalutare le proprie capacità, nemmeno se si hanno moltissime immersioni alle spalle. Inoltre, ho capito che, anche quando ci si sente “sicuri”, non bisogna mai abbassare la guardia, perchè la narcosi ti può prendere in un attimo e, anche se ti conosci bene, non sei mai certo di quali effetti potrà avere su di te. Se invece che a 45 metri il fondo lì fosse stato a 60 o 70 metri, come poco più al largo di quella secca, non ce l’avrei fatta a risalire… e di questo ne sono assolutamente consapevole!

Ma, forse, la cosa più importante che ho imparato da questa vicenda, è che quello che ti insegnano nel corso AOWD – cioè che “il subacqueo esperto e maturo è quello che sa rinunciare ad un’immersione” – è assolutamente vero! Se non si è perfettamente a posto fisicamente e mentalmente bisogna sempre saper rinunciare all’immersione, anche se l’andare sott’acqua è la cosa più bella che ci sia e per farlo magari abbiamo dovuto fare un lunghissimo viaggio. La pelle vale molto di più di qualsiasi immersione!

Spero sinceramente che questa mia esperienza possa servire a qualcuno... così come è servita a me.

 

I postumi dell'immersione...

 

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