Manerba del Garda, 17 febbraio 2008
Siamo sul Garda, in prossimità di Manerba, sulla sponda
bresciana del basso lago. Sono le dieci del mattino e il sole è
già alto, ma la temperatura non si è alzata neppure di un grado: ci
sono appena 5 gradi. La barca si ferma sopra la Secca della Croce,
proprio sotto alla Rocca di Manerba e viene gettata l’ancora. Si spegne il
motore.
Silenzio. Un silenzio rotto solo dal leggero sciabordio
dell’acqua che batte contro lo scafo della barca. Sei subacquei si
preparano in silenzio, mentre un cielo grigio che non promette niente di
buono incombe sulla loro testa. Intorno a loro non c’è nessuno.
si muovono in silenzio.
Preparano la loro attrezzatura con gesti metodici ripetuti
centinaia di volte. In pochi minuti sono pronti a tuffarsi.
Una
leggera brezza increspa appena le acque del lago, altrimenti
immobile. Intorno ai sub le cime delle montagne sono imbiancate di
neve. Lo spettacolo del lago d’inverno ha comunque un suo fascino
particolare.
Sento un brivido, ma la cosa che
"sento" di più è il silenzio. Un silenzio
irreale, che al mare non è possibile sentire, che mi permette di
ascoltare la mia anima. L'acqua sotto di
noi è limpidissima. Si vedono parecchi metri della cima dell’ancora
che scende giù fino al cappello della secca, a 16 metri di
profondità.
Poco
dopo le dieci e un quarto saltiamo in acqua dalla barca e ci
raduniamo attorno alla cima dell’ancora: è l’unico
riferimento visivo possibile, dato che siamo ad oltre 150
metri dal ripido costone roccioso che sta proprio sotto alla
Rocca di Manerba. L’impatto con l’acqua gelata ci da come una sferzata,
destandoci dallo stato di torpore dovuto alla giornata grigia e
fredda che
non invoglia per niente ad un tuffo nell’acqua. |
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Nemmeno una
parola. Un cenno circolare di ok e poi, in un attimo, scendiamo
tutti giù, inghiottiti dalle acque del lago, come fossimo attratti
da una mano invisibile che ci attira verso il fondo. Arrivati sul
sommo della secca, ci fermiamo solo un istante e poi saltiamo oltre
la scarpata che precipita nelle profondità del lago. Formiamo le
coppie e iniziamo la nostra navigazione lungo la parete,
incominciando a scendere. La discesa è veloce: -25, -30, -35... -42
metri. Assumiamo un assetto orizzontale perfettamente neutro e manteniamo la nostra quota
attorno ai 40 metri di profondità. E’ un’immersione tranquilla: nessuno ha voglia
di strafare stamane.
Il silenzio è
assordante. L’atmosfera ovattata e surreale del lago ci avvolge
completamente. I fasci delle nostre torce squarciano le tenebre.
Piccoli puntini luminosi nell’immensa oscurità del lago.
Sento il
mio respiro lento e cadenzato, che diventa sempre più regolare con
il passare dei minuti. Sento il rumore delle mie bolle che salgono
verso la superficie. E’ l’unico rumore che infrange il silenzio
impenetrabile di questo lago. Sopra di noi un leggero chiarore
verdognolo e sotto… il nero più cupo. La parete rossiccia è molto
frastagliata: ci sono tetti, guglie, spaccature, rientranze. E’
bello nuotare senza peso lungo la parete di questa montagna
sommersa. Lo scenario è davvero bello La roccia ha un colore
particolare, restituitoci dalle nostre lampade che penetrano
l’oscurità profonda del lago. |
Ancora
silenzio. Trattengo per un attimo il respiro per interrompere il
flusso delle mie bolle, ed ecco che sento forte e distinto il
battito del mio cuore. Spengo per un istante la mia torcia e mi
lascio avvolgere dall’assoluta oscurità che mi circonda. Eccomi di
nuovo qui nel profondo di quell’elemento liquido che mi da la pace
che io cerco continuamente. Acqua. Non importa se è dolce o salata.
L’acqua mi avvolge completamente, mentre volteggio senza peso e mi
copre, mi circonda, mi abbraccia, mi protegge. Io sto davvero bene
quaggiù. Non sento particolarmente il freddo. Soltanto le mani sono
un poco intirizzite e mi fanno ricordare che ci sono appena 6 gradi
di temperatura. Per il resto, provo solo una sensazione di grande
benessere. Del resto, è quello che io provo sempre, quando mi sento
abbracciato dall’acqua che mi circonda e mi fondo completamente con
essa.
Do un’occhiata
al manometro. Indica 100 bar. Di colpo esco da questo sogno in cui
vagavo felice con la mente e mi ritrovo proiettato nella realtà
dell’immersione nel lago. Una realtà dura, fatta di buio e di
silenzio. Ormai è il momento di ritornare. Ripercorriamo
a ritroso lo stesso percorso, guadagnando lentamente quota. Sgonfio
il mio gav e gonfio leggermente la muta stagna. Mi rimetto in
assetto neutro e nuoto lentamente fino al cappello della secca, dove
scorgo da lontano la lunga cima bianca dell’ancora che conduce fino
alla nostra barca.
Incominciamo una
lenta risalita. Poi una breve sosta a 3 metri di profondità. E poi
di nuovo fuori, in “questo mondo”, così diverso e così estraneo al
mondo che c’è laggiù. Sono passati solo 35 minuti. Siamo già fuori. Fa
molto freddo, ma dentro di me sento quel calore che si prova solo
dopo aver fatto una cosa bella. Prima immersione dell’anno. Prima
immersione nel lago fatta in febbraio. Un’altra perla da aggiungere alla
mia collana di ricordi. |
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